recensione diGiulio Verdi
Castigat canendo mores
Astro nascente della musica country, Kacey Musgraves è amata dal pubblico e osannata dalla critica per aver scelto la via del cantautorato tongue-in-cheek e vocalmente misurato piuttosto che quella, ben più diffusa (da Reba McEntire in giù), degli strilli belluini e dell’eccesso di melismi.
Il suo primo album, “Same Trailer Different Park”, ha destato anche l’inarcamento di qualche sopracciglio: le ragazze tra i 15 e i 25 anni, ideale target commerciale del prodotto, sono anche il bersaglio preferito dell’amara ironia della cantante. Le sue canzoni sono popolate da bambine che si sposano col fidanzato del liceo e fanno due figli entro il passaggio alla maggiore età, da madri ossessionate dai cosmetici e da padri fedifraghi, da una citazione della celebre “Little Boxes” di Malvina Reynolds, da ragazze che sognano in grande ma non vogliono andarsene dalla cittadina di provincia… e quindi finiscono per fare le cameriere a vita.
Il ritratto che Musgraves fa della comunità provinciale è impietoso e sferzante, molto convincente e spassoso – ma, a ben vedere, non è granché di nuovo persino per la musica country. Il vero punto di forza della cantante, oltre che una vena poetica particolarmente vivace, è il messaggio ecumenico e ultralibertario che promuove nei momenti più sbarazzini dell’album. Nove delle dodici canzoni di “Same Trailer Different Park” sono scritte dalla giovane cantante insieme a Shane McAnally, notissimo compositore e produttore di successi per tutti i nomi più importanti e gay-friendly di Nashville (da Reba McEntire in giù) – nonché per se stesso, quando curò la colonna sonora del film a tematica gay “Shelter”. McAnally è gay, fresco di matrimonio e novello padre di due gemelli. Coinvolta nella scrittura dell'album è stata anche Brandy Clark, lesbica dichiarata e altra stella nascente della musica country. Anche Musgraves ha pubblicamente sostenuto l’uguaglianza.
Si gridò al miracolo quando, nel 2011, il video realizzato per “Mean” di Taylor Swift includeva un personaggio omosessuale: si trattava di un adolescente piuttosto effeminato (così si capisce che è gay), vessato dai compagni di scuola (così si capisce che è gay), che poi si vendica idealmente dei soprusi facendo un sacco di soldi e diventando un celebre stilista (così si capisce che è gay). Non c’è motivo di dubitare che le intenzioni fossero buone e che Swift sia una persona al passo coi tempi: “Mean” è comunque un video tatangelescamente realizzato con la convinzione di sostenere la causa, quando invece non fa altro che perpetuare uno stereotipo. Il testo di “Mean”, per giunta, non ha niente a che vedere con l’omosessualità.
Tutto il contrario succede invece in “Follow Your Arrow”, in cui il riferimento all’omosessualità è voluto e schietto, la cantante è cosciente della questione e si affida a un paroliere dichiaratamente gay. “Kiss lots of boys/ Or kiss lots of girls, if that’s what you’re into”: l'invito del ritornello è reiterato nel bridge (“Love who you love/ ‘Cause […] you only live once”). “When the straight and narrow gets a little too straight/ Roll up a joint… or don’t/ Just follow your arrow wherever it points”: è evidente il doppiosenso su “straight”, ed è evidente anche che ormai andrebbe riveduta e corretta la triade “sesso, droga & rock’n’roll”.