recensione diMarco Valchera
Giorgio Fontana, Prima di noi
Grande affresco corale e familiare della storia italiana dal Novecento fino ai primi anni Duemila attraverso lo sguardo e le vicende di una famiglia friulana, Prima di noi, mastodontica opera di quasi 900 pagine di Giorgio Fontana si ricollega alla tradizione del romanzo storico italiano: i Sartori, protagonisti delle varie epoche, sono animati spesso da una spinta centrifuga che li allontana dalle loro amate radici per costringerli a cercare fortuna nella grigia e orrenda periferia milanese, l'unico luogo nel quale possano permettersi un affitto e tentare, così, di (soprav)vivere.
La prima parte è la più affascinante: il pater familias Maurizio, soldato allo sbando in fuga da Caporetto, trova ospitalità presso una famiglia contadina invaghendosi ben presto della giovane figlia, Nadia: nonostante il suo tentativo di fuga appena scoperta la gravidanza, i due metteranno su famiglia, dando alla luce tre figli, Gabriele, Renzo e l'empatico Domenico.
Si arriva, pertanto, alla seconda parte, dedicata al consolidamento del regime fascista e allo scoppio della guerra (sezione, che, insieme alla precedente - secondo le parole dell'autore - nasce dai racconti del bisnonno e del nonno): la vita piccolo-cittadina che è sconvolta dal conflitto con la sua folla di personaggi e comparse è piacevolmente delineata anche se è un po' furbetta la spaccatura manichea tra i protagonisti, che sono tutti antifascisti e, quindi, nel giusto, e i fascisti che, spesso, non sono altro che l'evoluzione del bullo dei banchi di scuola. Seguiamo, pertanto, le storie di Giovanni che si nasconde, Renzo che vorrebbe fare la Resistenza riscontrando l'opposizione ferrea della madre e del povero Domenico, prigioniero in Africa in attesa di essere liberato.
A partire dagli anni Cinquanta i personaggi si raddoppiano con i figli e le loro storie ma ciò che inizia pian piano a scomparire è, invece, la Storia: se gli anni di piombo, ad esempio, verranno filtrati attraverso lo sguardo del proletario Renzo e di Eloisa che si unisce a un piccolo gruppo di amici anarchici sognando l'utopia della fine del capitalismo o, degli anni Novanta ci sono due paginette sull'omicidio di Falcone e, poi, una velata critica a Berlusconi e niente più. Ed è un peccato perché la penna di Fontana - al di là di qualche piccolo stereotipo (Milano sempre grigia con persone incattivite mentre il Friuli è un locus amoenus a cui tutti anelano di tornare prima o poi) - ha la capacità di saper intrecciare microstorie e macrostoria con grande abilità (bella la scena del comizio del Duce, ad esempio). Con i nipoti diviene palese la scelta di concentrarsi sulle vicende personali: il tormentato Davide, fotografo e boxeur, incapace di amare realmente e che fugge dall'Italia alla ricerca costante di se stesso; Eloisa, avvocato dai sogni anarchici che si scopre una piccolo borghese; Libero, la cui storia tra miseria, alcolismo e solitudine è un po' fuori fuoco; Diana, "cantantessa" lesbica che cerca di esprimersi guardando a Janis Joplin e volendo vivere a pieno il proprio amore con Sandra, sancito in una toccante cerimonia di fronte a parenti e amici, alcuni sopravvissuti all'AIDS (anche questo tema, purtroppo, appena accennato).
L'ultima parte si concentra sull'ultima generazione, quella di Letizia e Dario, non proprio i personaggi più appassionanti (soprattutto la ragazza) ma quale migliore occasione di un funerale per celebrare la famiglia al motto "siamo friuliani" e cercare di risolvere il mistero di una busta gialla chiusa che ha attraversato epoche e generazioni?
Proprio con Letizia il romanzo si chiude lasciando il dubbio che se si fossero tagliati o accorpati alcuni capitoli minori evitando un continuo saltare, a volte un po' caotico e dispersivo, dall'uno all'altro personaggio, Prima di noi sarebbe il grande capolavoro che Fontana aspirava a raggiungere.