E' comunque probabile che parecchi esponenti della gerarchia cattolica, in questi giorni di clamori e titoloni sui giornali, rimpiangano i bei tempi, non poi troppo lontani, in cui di omosessualità non si parlava (quasi) mai. E anche quando toccava di farlo, almeno in pubblico, ci si serviva di deliziosi eufemismi, come vizio innominabile o peccato impuro contro l'ordine della natura.. Fa una certa impressione constatare, in una prospettiva storica, l'aumento esponenziale degli interventi omofobi ufficiali negli ultimi quindici anni rispetto ai venti secoli precedenti. E fa ancora più impressione verificare l'intensità dell'impegno diretto e personale del papa e delle persone che lo circondano. L'unico conforto per la coscienza laica è sapere che la quantità degli interventi rivela una certa debolezza e che la loro efficacia è inversamente proporzionale alla loro frequenza, anche se, guardando per esempio all'Italia, non si può certo dire che gli orientamenti del Vaticano non abbiano alcuna influenza sulle scelte di parlamento e governo.
Prima del pontificato di Giovanni Paolo II, negli ultimi cento anni, furono due le principali prese di posizione della chiesa cattolica in materia di omosessualità:
il Catechismo maggiore promulgato da Pio X nel 1905 e un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 29 dicembre 1975, quando sul soglio di Pietro sedeva il chiacchieratissimo Paolo VI. Pio X ribadiva le condanne del passato in modo non troppo originale e poneva il "peccato impuro contro l'ordine della natura" tra quelli che gridano "vendetta al
cospetto di Dio", solo un pochino meno grave dell'omicidio volontario. Più complesso è il contenuto della Dichiarazione del 29 dicembre '75, che costituisce tuttora il nucleo dell'atteggiamento della chiesa. Introduceva infatti una fondamentale distinzione tra il peccato e il peccatore: definiva gli atti omosessuali "intrinsecamente disordinati", ma sosteneva anche che l'omosessuale può essere tale, in certi casi, "per una specie di istinto innato o di costituzione patologica" di cui non può essere considerato personalmente responsabile. All'attività pastorale veniva quindi attribuito il compito di accogliere con comprensione questi omosessuali "nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale" e di "giudicare con prudenza la loro colpevolezza".
La prima uscita pubblica di Giovanni Paolo II risale all'ottobre 1979, durante un viaggio negli Usa. In questa occasione si limitò a ribadire che l'omosessualità è "moralmente disordinata". Decisamente più prolisso appare un nuovo documento della Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal cardinale Joseph Ratzinger, dell'ottobre '86, giustificato dalla necessità di stroncare qualunque interpretazione in senso liberale della Dichiarazione di 11 anni prima. Gli atti omosessuali, sempre intrinsecamente disordinati, "non possono essere approvati in nessun caso", puntualizzava Ratzinger, invitando il clero a "ritirare ogni appoggio" ai gruppi di gay credenti che chiedevano un atteggiamento più aperto. Nel '92 un ulteriore arretramento, sempre a firma di Ratzinger: in una raccomandazione ai vescovi americani, il cardinale condannava le campagne per introdurre leggi a favore degli omosessuali.
Anzi, dichiarava la propria simpatia verso alcune discriminazioni attive "talvolta non soltanto lecite ma anche obbligatorie", come l'esclusione di gay e lesbiche dall'insegnamento e dal servizio militare. Ancora nel '92, il nuovo Catechismo della chiesa cattolica tornava sull'argomento per meglio specificare che, pur in presenza di tendenze innate, le persone omosessuali "sono chiamate alla castità". Il Papa, non pago, ribadiva la condanna nell'enciclica Veritatis Splendor del'93.
Ma il vero exploit oratorio si registra l'anno dopo. Giovanni Paolo II, questa volta, fa proprio sul serio: il 20 febbraio, pochi giorni dopo una celebre risoluzione del parlamento europeo sui diritti di gay e lesbiche, tuona a lungo dal balcone di piazza San Pietro contro l'ex vizio innominabile e le istituzioni
pubbliche che lo incoraggiano. E di nuovo il 19 giugno, stessa ora stesso luogo, avverte che l'apertura alle coppie gay è "un pericolo per l'intera umanità".
Non cambierà opinione nemmeno in successivi interventi, come quello del 9 luglio '98 e del 21 gennaio '99. Di pari passo con la frequenza delle scomuniche papali crescono poi le pubbliche condanne da parte di prelati maggiori e minori e di organismi come il Pontificio consiglio per la famiglia.
L'omosessualità sale anche nella hit parade delle questioni affrontate dalla pubblicistica cattolica, basti ricordare l'inesausta campagna omofoba dell'Avvenire e una poderosa "inchiesta" in quattordici puntate uscita sull'Osservatore Romano tra il primo marzo e il 23 aprile '97. E chi si permette di mostrare troppa comprensione verso i gay, come il direttore di Famiglia Cristiana don Leonardo Zega, viene sollevato dall'incarico.
Recentissima, infine, è la polemica del Vaticano contro la celebrazione mondiale dell'orgoglio omosessuale in programma a Roma per il prossimo luglio, in pieno Giubileo. Persino a un sindaco rispettoso dell'autorità ecclesiastica come Francesco Rutelli tocca di fare la parte dell'apostata,difendendo il diritto di gay, lesbiche e transessuali a manifestare liberamente.
C'è stato qualche cattolicissimo esponente dell'opposizione che si è scagliato contro lo stanziamento di 350 milioni per l'iniziativa degli omosessuali da parte del comune di Roma, soldi che sarebbero potuti andare ai più bisognosi.
Chissà perché, per i più bisognosi, non si può defalcare qualcosa dalle cifre a dodici zeri stanziate dallo stato italiano per il Giubileo. Quando si dice la pagliuzza e la trave...