recensione diRosanna Fiocchetto
Il giardino di Shahrzad
La protagonista di questo romanzo-verità, Shahrzad, come la celebre eroina delle Mille e una Notte, raccoglie le storie e le libera per salvarsi. Ha ventinove anni, studia archeologia e, dopo oltre un decennio di «esilio volontario» in Italia, ritorna per una estate nella sua città natale, Shiraz.
Punto di partenza della narrazione è il diario in cui la ragazza annota il proprio disagio nel dover indossare di nuovo un velo («il mio lasciapassare, il mio visto d'ingresso»), lo spaesante disorientamento nel ritrovarsi in un contesto insieme familiare ed estraneo; e, soprattutto, l'incontro a lungo atteso con Parvin, l'amica d'infanzia della quale è da sempre innamorata.
Dice: «Mi hanno tolto la voglia di amare».
A Shahrzad, ospite indesiderata nella terra della sua oppressione, non resta che rievocare da sola «quel piacere che per noi non aveva ancora un nome», quel segreto mai dimenticato e che tuttora non può essere svelato.
«Essere single in Iran è una malattia mentale.Essere omosessuali in Iran è una malattia mortale.Non potendo essere curati, i malati vanno direttamente al patibolo».
Il rapporto con Parvin però non è finito e anzi risuscita in modo imprevisto durante una eclisse; ma si allarga, con un graduale cambiamento del registro di scrittura, alla «blogosfera» della diaspora iraniana in diversi paesi, cioè alla rete di contatti che tramite Internet ha dato voce a innumerevoli perseguitati e oppressi che prima non potevano esprimersi.
Il suo diario solipsistico si trasforma in comunicazione, confronto di esperienze, scambio di informazioni, desideri e solidarietà, forum di idee, strumento di denuncia, costruzione di lotta.
Nel grande laboratorio personale e politico degli internauti lgbt di origine iraniana, si arricchisce di consapevolezza e speranza:
«Nel mondo non c'è un conflitto di civiltà, c'è un'alleanza fra integralismi religiosi.Ma l'Iran potrebbe riservare altre sorprese. In fin dei conti sono trent'anni che sorprendiamo noi stessi».