Roma world pride 2000. Le immagini.

4 settembre 2005

Se mai è esistito un libro capace di simboleggiare nella sua stessa struttura un evento, allora si tratta di questa raccolta di fotografie del "World Pride 2000" a Roma.

Il "World Pride" dell'anno del Giubileo:

  • È stato l'evento che ha fatto "scattare" un grilletto, una molla che accumulava energie da molti anni, senza mai riuscire ad esprimerle per via dell'inadeguatezza del movimento gay così com'era strutturato fino a quel momento.
  • È stato un evento che ha cambiato la percezione sociale dei gay da parte degli italiani, che hanno visto per la prima volta la questione omosessuale sulle prime pagine dei giornali per mesi e mesi, a causa dell'arrogante pretesa cattolica di proibire per legge il gay pride del 2000 a Roma perché, a loro dire, offensiva del Giubileo cattolico.
  • È stato soprattutto un evento che ha cambiato la concezione di sé per centinaia di migliaia di lesbiche e gay, convincendole/li del fatto di essere persone che avevano un problema sociale, e non solo "individuale", "privato".
  • Infine, è stato un evento che ha dato coraggio a decine di migliaia di giovani, perché fu una inequivocabile vittoria che mostrò che quando le persone omosessuali si uniscono e sono solidali, e hanno coraggio, sconfiggono i loro nemici.
    Fra i giovani, credo si possa ormai parlare di una generazione di "prima" ed una "dopo" il World Pride di Roma. La mentalità è cambiata, il coming out è oggi meno terrorizzante che sei anni fa, il movimento glbt è meno malvisto, l'azione politica glbt è meno disprezzata, i gay pride meno scherniti... tutto questo grazie alla vittoria schiacciante del World Pride.

Il World Pride registrò infatti una partecipazione quale non s'era mai vista (e non si sarebbe poi più vista...) a un evento glbt: fino a 300.000 persone (anche se poi si gridò, con un "pizzico" di "ottimismo", al milione...), molte delle quali eterosessuali, ma presenti per solidarietà contro il clericalismo.


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Ogni successo ha sempre un elemento legato alla fortuna, ed uno legato all'abilità di chi vince.

La parte dovuta alla fortuna, in questo caso, fu la decisione dell'ala destra della Curia vaticana, con il cardinal Ruini in testa, di provare ad usare l'evento per mettere in difficoltà i cattolici del centrosinistra (all'epoca al governo) per favorire il centrodestra, che offriva ai preti ancora più potere e ancora più denaro (come in effetto s'è visto nella legislatura successiva, effettivamente vinta dal centrodestra).

L'ala destra della Curia fece questa mossa nella convinzione erronea di cavarsela alla fine con la solita ininfluente manifestazioncina all'italiana, da 10-15.000 persone (come tutte quelle degli anni precedenti... e quelle degli anni successivi).

La cosa le sfuggì però di mano (e qui c'è la parte di abilità da parte nostra), anche perché questa fu una delle pochissime occasioni in cui il popolo italiano (gay ed etero assieme) potè per una volta esprimere il proprio fastidio verso lo strapotere dei preti, e verso una classe politica terrorizzata alla sola idea di non essere vista come un puntello del clericalismo.

Il presidente del consiglio Amato divenne addirittura celebre per la sua frase in risposta ai cattolici che gli chiedevano di vietare tout-court l'evento: "Purtroppo", in Italia c'è la Costituzione... Il capo del governo di "sinistra" disse proprio così: "purtroppo"...


La marea di folla ha spiazzato e preso di sorpresa i nostri nemici (e noi stessi): il mio World pride è stato per 3/4 passato fermo in piedi, in attesa che il corteo si muovesse: il tragitto assegnato dal questore (deliberatamente corto e angusto!) non era riuscito a contenere tutta la gente affluita, e quando sono arrivato io al Circo Massimo (che segnava sia la metà del percorso, sia la mèta finale del corteo) la testa del corteo ci era già tornata e stava preparando il comizio conclusivo. Questo per dare un'idea dell'affollamento.

Abbiamo vinto per fortuna, ma anche per abilità e ragionevolezza, senza la quale avremmo potuto anche perdere tutto.

Dietro la facciata unanimistica del World Pride ci fu infatti anche una serie di manovre tutt'altro che lodevoli da parte di chi intendeva usare l'evento come grimaldello per sancire in modo definitivo l'egemonia di Roma sul movimento gay italiano, con la motivazione che Roma è la capitale, "quindi" la capitale del movimento gay "deve" essere Roma.

Ma se i gruppi gay e le persone, fuori Roma, avevano tutta l'intenzione di contrastare lo strapotere omofobo del papa romano, nessuno era entusiasta di andare a Roma per scegliersi un nuovo padrone, o duce che fosse.

Questo fece sì che dietro le quinte si sia giocata una partita al limite del grottesco, guidata da persone dall'ego strabordante, che portò il progetto a pochi millimetri dal baratro del tracollo totale... Basti dire che il comitato organizzatore, messo in piedi da tutti i gruppi italiani, a pochi mesi dall'evento si era ridotto al solo "Mario Mieli"... e basta.

Dopodiché non stupisce il fatto che, per colpa delle polemiche, il "Pride" romano del 1999 (preparazione al World Pride del 2000), avesse raccolto il galvanizzante numero di 5.000 partecipanti circa... Cioè addirittura meno dei 10.000 dell'anno precedente! (E fu probabilmente questo dato a trarre in inganno Ruini e soci).

Il World Pride fu possibile solo perché, grazie agli attacchi papali, all'ultimo istante tutti rinsavirono e fecero la loro parte.

Furono messe da parte sia le ambizioni ducesche, sia le polemiche (non sempre condotte all'insegna del fair play) antiducesche.

Tutti i gruppi si diedero appuntamento a Roma, e nessuno, per fortuna, chiamò al boicottaggio (come invece ha fatto nel 2004 Imma Battaglia nei confronti del Gay Pride romano, sbagliando clamorosamente, a mio parere), e insomma, non solo ci salvammo per un pelo, ma riuscimmo perfino a vincere...

Purtroppo, però, subito dopo l'evento i romani iniziarono a litigare fra loro e a cercare di farsi pagare a vicenda il fallimento del progetto d'egemonia sul movimento gay: l'evento infatti era stato un successo strabiliante, sì, ma lo era stato per tutti, e non, come era stato nelle intenzioni, soprattutto per i gruppi di Roma. Che si trovavano ora tantissimi debiti da pagare, ma nessun monopolio sul movimento per compensare lo sforzo.


Fu così che la presidente del Mario Mieli, Imma Battaglia, che aveva guidato l'evento con piglio sicuro, lungi dal celebrare il suo trionfo, nel giro di poco tempo (come fu, come non fu) non solo non era più presidente, ma non faceva nemmeno più parte del Mario Mieli, ed anzi dava vita a un nuovo gruppo, "Di'gay project"... che come se non bastasse iniziò a fare concorrenza su quanto di più caro aveva il Mario Mieli al mondo: le sue iniziative commerciali...

Il sito del World Pride, con la sua preziosissima rassegna stampa, dopo un po' sparì dalla Rete, nonostante fosse il documento della più grande vittoria del movimento gay italiano. Ma era diventato "imbarazzante" perché documentava chi avesse detto e fatto cosa (il sito www.worldpride.it è recente, ed è legato al libro qui recensito, e al suo editore).

E la stessa memoria dell'evento, a Roma, è stata rimossa fra quanti non gradivano che si ricordasse che Imma Battaglia era stata (onore al merito) uno dei motori dell'evento...


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Così, oggi ci ha pensato lei, la Imma, a pubblicare nel giugno 2005 questa celebrazione in immagini, decisamente tardiva, di quell'evento. A cura, guarda tu il caso, di Di'Gay project, gruppo che all'epoca non esisteva, e non del Mario Mieli, che invece esisteva e gestì l'evento.

Con le elezioni del 2006 in vista, vedi mai tu che lucidare le proprie medaglie possa venire utile...

Sia come sia, a noi interessa che questo libro sia stato, infine, pubblicato, sia pure "a babbo morto" (e seppellito)...

È un documento che rimarrà, e servirà per coloro che a Roma non c'erano quell'anno, per capire cosa significò quell'evento e perché sia stato eccezionale, rispetto ad altri eventi simili.

Il taglio delle foto qui pubblicate non è peraltro quello d'un fotografo abituato agli eventi gay. Manca una visione d'insieme dell'evento, sia nel senso letterale (neppure una immagine permette di osservare l'immensa marea di persone che gremiva le strade: bastava salire su un paracarro per proporre un'immagine impressionante di questo fiume umano, il primo della storia d'Italia) sia in quello simbolico: il World Pride che emerge da questo libro è fatto di eventi isolati, di persone singole, non di un movimento. Non è un evento corale, di massa, non è il frutto di un movimento politico: è un'aggregazione del tipo di un banale concerto o di una partita di calcio.

L'autore si concentra sui ritratti individuali, a volte anche belli, ma questa scelta va bene (appunto) per una partita o per un concerto, dove l'evento si svolge non fra gli spettatori, bensì altrove: sul campo di calcio o sul palcoscenico.

In un Gay pride, invece, il pubblico è l'evento, e la cosa avrebbe dovuto essere tenuta maggiormente presente. In caso contrario si corre il rischio, come qui, di avere tante tessere colorate, ma di farsi sfuggire il disegno del mosaico che esse formano.

Sempre per lo stesso errore di partenza, in queste foto gli "eccentrici" hanno uno spazio spropositato. L'ottica infatti è quella del reporter, che cerca l'insolito a tutti i costi ("l'uomo che morde il cane, non il cane che morde l'uomo"). Questa in sé non è una logica errata; tuttavia in questo modo si rischia di non capire cosa abbia costituito il "solito", in questa occasione.

Tantissime (troppe), perciò , le foto di transessuali iper-siliconati sudamericani a tutti i livelli di nudità (manca solo il filo interdentale sul pube; gli altri ci sono), quelle foto cioè che piacciono tanto tanto tanto ai giornali etero, che fanno a pugni per averle, ma che ai gay invece dicono poco o nulla. Così una pattuglia di un centinaio di persone al massimo, su 300.000, in questo libro si moltiplica per un gioco di specchi fino a rappresentatare un 10% buono delle presenze. E non mi pare corretto: siamo al "colore" a scapito della "verità".

Numerosi poi i ritratti di personalità presenti per solidarietà, e questo è decisamente logico; purtroppo però mancando le didascalie non è detto che tutti le riconoscano (né che fra qualche anno tutti saranno in grado di riconoscerle come tali). La Fama è effimera...


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Al di là di queste osservazioni, il taglio documentale della raccolta di immagini è assai utile. Ogni réportage è soggettivo, e il fatto che anche questo lo sia non è uno scandalo. Quello di "Slim" è semplicemente un punto di vista.

Va inoltre riconosciuta la "buona volontà" documentaria del fotografo, che ha con santa pazienza ritratto ad uno ad uno gli striscioni di vari gruppi presenti.
(E parlando di striscioni, ho notato che in futuro basterà elencare quali striscioni non appaiano mai in questa raccolta, per capire i pesanti filtri censorii con cui è stata messa assieme. Quiz per i lettori: le sigle di gruppi gay italiani assai importanti che non appaiono mai in tutta l'opera, sono per puro caso le stesse che possono fare ombra a Di'gayProject e alla sua autocelebrazione?...).


Per finire, la qualità delle immagini è buona: sono decisamente ben fatte, e se mai un po' sprecate da una fotolito che qui e lì ha "bruciato" i contrasti appiattendo un po' le immagini, ma nulla di grave. Chi non è del mestiere probabilmente non se ne accorgerà nemmeno.


L'opera è insomma preziosa e, al di là dei limiti, pur seri, che citavo, merita appieno le quattro stelle che le ho dato per il suo notevole interesse storico e documentario.

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