recensione diGiovanni Dall'Orto
Troppo bello per essere vero [1991]. Un falsario gay a Roma
Autobiografia assolutamente deliziosa d'un grande falsario inglese (1934-1996), che non tace sulla propria omosessualità e sulle sue relazioni con uomini.
Il fascino del libro (che si divora tutto d'un fiato nonostante le 387 pagine) sta nel divertimento che Hebborn prova (e comunica al lettore) nel descrivere come, per decenni, sia riuscito ad ingannare critici d'arte ed esperti spacciando fiumi di opere d'arte false.
Lui però sostiene di non aver mai "falsificato" nulla: si limitava a proporre i suoi disegni "nello stile di...", privi d'attribuzione, ai mercanti ed agli esperti, ed erano poi a loro a "riconoscere" e "certificare" la mano di un altro artista. E a volte, dopo esser state vendute, le sue opere "sviluppavano", grazie all'acquirente, firme che lui s'era ben guardato dal mettere.
La descrizione fatta da Hebborn della fabbrica dei falsi e della rete di complicità che ne permette lo smercio, è assolutamente affascinante. I ragionamenti che fa sul concetto di "vero" e "falso", la sua difesa dell'arte figurativa (oggi disprezzata, a meno che non sia antica) è convincente, i termini della sua sfida, se non onesti, sono almeno divertenti. Il libro merita comunque la lettura per questi racconti, oltre tutti fatti con stile vivido e scanzonato.
Oltre a ciò Hebborn ha vissuto in Italia gran parte della sua vita (e a Roma fu assassinato da ignoti, nel 1996), prima come studente e poi come mercante d'arte e antiquario, e in Italia è morto (il suo problema con l'alcol, di cui parla senza imbarazzo, gli è stato fatale). Descrive quindi un'Italia che in parte non esiste più, con uno sguardo e un'ottica decisamente non convenzionali.
Infine, Hebborn introduce con garbo gli uomini che ha amato, prima specificando chiaramente che rapporto ci fosse fra loro e lui, e poi facendoli apparire accanto a sé senza più insistere sul loro rapporto, che è (giustamente) dato per scontato come la cosa più ovvia del mondo, che non merita ulteriori discorsi.
Per scendere nei dettagli:
- alle pp. 27-31 Hebborn racconta i suoi primi amori di riformatorio (no, non fu un ragazzo modello) e a p. 65 l'innamoramento per il sedicenne Stan,
- a p. 101 introduce Graham Smith, il suo partner per 14 anni (fra le tavole c'è un suo bel ritratto, tav. 24),
- alle pp. 108-109 è introdotto il pittore Spencer Churchill, che sta in coppia con un bellissimo lottatore John Minton, (e che lo accompagna a bere in un bar gay);
- a p. 180 accenna alle avances fatte in Italia a chi facesse l'autostop;
- alle pp. 194-195 descrive il suo incontro a Venezia con David, bisessuale, che lo abborda (e lo presenta a Peggy Guggenheim);
- alle pp. 202-204 descrive un suo amico omosessuale greco, Stavros, e il proprio amore per un ragazzo italiano, Gianni, nel periodo in cui era studente d'arte a Roma;
- a p. 212 racconta della sua conoscenza di sir Anthony Blunt (1907-1983), la celebre spia, anch'egli omosessuale;
- a p. 279 racconta dei primi segni di crisi nella sua relazione con Graham, che vive e lavora con lui a Roma (siamo nel 1968);
- alle pp. 290-291 la fine della relazione arriva (sempre nel 1968) e Hebborn inizia una nuova storia con un ragazzo orientale, Edgar (vedi tav. 84);
- a p. 321 presenta una coppia di mercanti d'arte, gay; infine a p. 339 spiega un po' indiscretamente che il bel ritratto di "Peter" (tav. 86) gli fu commissionato da tre "clienti" del giovane.