Trentasette anni di contatti con gli omosessuali, un processo, molte polemiche col movimento gay, poi la rappacificazione negli ultimi tempi. È la storia, assolutamente unica in Italia, di Gino Olivari, morto durante l'estate del 1988.
Eccone le linee essenziali in un'intervista inedita [nel 1989] risalente al 30 aprile 1987.
Abbiamo incontrato Gino Olivari nella sua casa tappezzata di libri e riviste dedicate alla sessualità e all'omosessualità. Olivari era un personaggio noto nel mondo dei militanti gay milanesi: per anni aveva frequentato le riunioni dei collettivi.
La sua cortesia d'altri tempi, i suoi modi pacati e signorili, la sua bontà d'animo, lo avevano fatto apprezzare da tutti, nonostante le roventi polemiche contro certe tesi esposte nel suo libro Omosessualità [edito in proprio, 1958].
Fu un'accettazione meritata e conquistata: non solo per essere riuscito a impadronirsi dell'essenziale delle critiche mosse ai suoi scritti, ma per l'indefessa opera di aiuto morale che egli svolse nei confronti di centinaia di omosessuali.
Sono molte le persone, specie fra quelle di una certa età, che devono l'accettazione della loro omosessualità all'incoraggiamento e al sostegno di Gino Olivari.
A ricordo di questa figura così anomala, quasi d'altri tempi, ecco una intervista inedita, vero "faccia a faccia" con due militanti gay.
Domanda: Come ha iniziato a interessarsi di omosessualità?
Risposta: È successo tutto nel 1951. Due ragazzi si son tolti la vita in un pensionato di religiosi di Milano: li hanno scoperti a letto assieme e li hanno terrorizzati dicendo: vi sbattiamo fuori dal pensionato, siete degenerati, avvisiamo i genitori... Insomma, li hanno talmente spaventati che si sono uccisi.
Non avevano ancora celebrato i funerali, che i giornali hanno cominciato a vomitare veleno su questi due poveretti. Le faccio alcuni esempi di titoli: "La notte": Il fetido fiore dell'omosessualità; il "Corriere della sera": Torbida tragedia in un pensionato... Alla fin fine il succo dei commenti era: "due di meno".
All'epoca abitava vicino a me un editore, Piero Milesi, il quale incontrandomi per le scale un giorno mi disse: "Ma lei ha letto i giornali?". E mi raccontò quel fatto. Milesi mi conosceva perché presso di lui facevo stampare le mie relazioni tecniche (sono stato per quindici anni consulente tecnico della Maserati).
Milesi mi disse: "Lei non lo sa, ma fra le mie pubblicazioni io ho anche una rivista intitolata 'Problemi sessuali' [1]. Lei che ha la penna facile, mi faccia un favore, mi scriva due righe per la rivista, richiamando a un maggior senso di responsabilità questi giornali, dicendo loro che così non risolvono il problema". Accettai, e preparai quattro articoletti, che uscirono nel 1952.
Quando mai l'ho fatto!... Ebbi cinquantaquattro denunce e un processo penale per direttissima.
Ebbi un processo tale che c'era gente fin nei corridoi!
Purtroppo fu coinvolta anche altra gente: l'allora direttore del quotidiano "La stampa", un medico di Torino e un giornalista di Napoli furono coimputati per aver detto di condividere le mie opinioni.
D.: Come andò a finire?
R.: Che furono condannati l'editore e lo stampatore; l'unico ad uscire assolto fui io.
D.: Come mai?
R.: Be', avevo avvocatoni e professoroni, i migliori di Milano. Quando vinsi mi dissi: va bene, adesso gli autori delle denunce, tutti porporati e uomini di Chiesa, dovranno pagarmi le spese processuali.
L'avvocato però mi sconsigliò: "Guardi che con la Chiesa noi andiamo avanti vent'anni", mi disse. "Di sicuro alla fine vinceremo, ma per vent'anni lei avrà grattacapi. Lasci perdere". Io risposi: "Va bene, pago io, però da quest'oggi prendo a cuore la questione" [2].
Ormai ero alla fine del mio contratto con la Maserati, andavo in pensione, e mi dissi: da quest'oggi divento il difensore degli omosessuali. E poiché il problema dell'omosessualità a quell'epoca mi era completamente sconosciuto, dovetti cominciare dall'inizio.
D.: Com'era la situazione degli omosessuali in quegli anni?
R.: Terribile. Se io ho avuto un processo penale per direttissima solo per aver difeso quei due ragazzi... immagini lei il resto! Non davano più la caccia all'omosessuale come durante il fascismo, ma la situazione era sempre terribile.
D.: Perché gli omosessuali italiani in quegli anni non riuscirono mai a ribellarsi con un movimento di protesta come si fece in Francia, Svizzera, Olanda eccetera?
R.: C'è da dire che chi si diede da fare in quegli anni furono soprattutto gli eterosessuali, un po' come nel mio caso, che come ho detto iniziò, diciamo così, per ripicca... Gli omosessuali non osavano togliersi la maschera ed essere se stessi.
Mi chiede perché? Eh, in Italia abbiamo il Vaticano!
D.: Se non sbaglio fu in quegli anni che operò Luigi Pepe Diaz (1909-1970).
R.: Pepe Diaz era un pittore, era una persona che aveva capito che i tempi erano maturi per una rivista sui temi sessuali e sempre a quell'epoca iniziò a pubblicare "Scienza e sessualità" [3]. Tuttavia fecero di tutto per farlo chiudere (usciva il numero e lo sequestravano, usciva il numero successivo, e lo sequestravano) finché gettò la spugna.
Certo: oggi se ne può parlare. Oggi non c'è più nessuno che pensi di denunciarmi come allora. Faccio anche parte del Centro Italiano di sessuologia, un'emanazione dell'Università di Roma... Ma quelli erano anni difficili.
D.: Dopo aver sposato "la causa" degli omosessuali, lei iniziò a pubblicare articoli ed anche libri.
R.: Ho scritto di omosessualità per molte riviste, da "ABC" a "Il Ponte", ed anche di altri problemi sessuali delicati, come la masturbazione. Ho scritto due libri, Omosessualità, e Bisessualità, nuova frontiera dell'Eros.
Ho scritto anche per le prime riviste omosessuali, come "Homo" e "Con noi": a dir la verità sono stati loro a chiedermi di collaborare.
Ma mi hanno un po' strumentalizzato, nel senso che i miei articoli venivano spesso stravolti.
Era una speculazione, era tutta gente che voleva guadagnare sulla pelle degli omosessuali.
D.: Perché allora collaborò?
R.: Collaboravo per dire almeno qualcosa di scientifico, ma a loro la parte scientifica non interessava, a loro interessavano le notizie leggere, che possono far colpo sul popolino...
D.: Come mai fu chiusa una rivista come "Homo"?
R.: Anche lì perché aveva collezionato diverse denunce, ma sa, per quei tempi erano riviste pornografiche...
D.: Negli anni Settanta lei fu coinvolto nella fondazione dell'Airdo, "Associazione italiana per il riconoscimento dei diritti degli omofili". Perché fu fondata? Non esisteva già il Fuori!. [4], in quegli anni?
R.: Innanzitutto l'Airdo fu fondata con atto notarile, ed è stata l'unica associazione per gli omosessuali riconosciuta dalla legge. E le assicuro che fu un problema trovare un notaio: tutti si rifiutavano di registrare un'associazione omosessuale.
Quanto al Fuori!... Aveva un programma molto diverso dall'Airdo. Nel senso che il Fuori! era politico, mentre l'Airdo non lo era.
D.: E perché mai voleva essere apolitico?
R.: Perché voleva essere libero, non sottostare a nessuno: il Fuori! era aggregato al partito radicale, c'era di mezzo la politica, insomma.
D.: Per questa ed altre idee, lei fu fatto segno di commenti verbali piuttosto "vivaci" da parte del movimento gay dell'epoca.
R.: Sì, perché io davo molta importanza alla parte scientifica, mentre loro vedevano un nemico in chi non era omosessuale.
Nel 1976 successe perfino che la rivista "Guarire" decise di interrogare una serie di studiosi sul problema dell'omosessualità e iniziò da me. Ebbene, dopo il mio intervento gli omosessuali hanno tempestato di lettere la rivista; li hanno addirittura minacciati di bruciare la sede.
Del resto anche Mario Mieli nel suoi Elementi di critica omosessuale non dice forse di me: "quel farabutto di Olivari" [5]?
D.: Quali erano secondo lei le ragioni di questi screzi?
R.: Mah, chi lo sa? Forse perché io ero l'autore di una metodica sul condizionamento dei riflessi sessuali.
D.: Ce la può spiegare?
R.: Ancor prima di occuparmi di omosessualità mi aveva colpito la scoperta dei riflessi condizionati da parte di Pavlov, e un bel giorno mi sono chiesto: ma non è possibile applicare questa metodica all'omosessualità?
Alla fine, a furia di pensarci, ho messo a punto questa metodica, che consente all'omosessuale di allargare il proprio orizzonte affettivo e sessuale, fino a includervi anche la donna.
Però l'omosessualità rimane, e io l'ho sempre detto e ripetuto: l'omosessualità rimane. Semplicemente, da omosessuale esclusivo si può diventare bisessuale.
D.: In che modo?
R.: Se si associa uno stimolo inefficace a uno stimolo efficace, dopo un certo tempo lo stimolo inefficace diventa a sua volta efficace.
D.: Qual era nel suo caso lo stimolo "efficace"?
R.: Il piacere orgasmico.
D.: Si trattava insomma di associare una fantasia eterosessuale a un piacere orgasmico omosessuale?
R.: Esatto.
D.: Cioè pensare a una donna nel fare l'amore con un uomo?
R.: Anche quello.
D.: Lei dice "anche": cos'altro c'era?
R.: No, più che altro è proprio quello.
D.: E funzionava?
R.: Funziona benissimo. Anche se come le ho detto l'omosessualità rimane.
D.: E non sospetta che fosse proprio quest'aspetto della sua "metodica" a creare ostilità da parte dei gay militanti?
R.: È esattamente così; ma a torto, però.
D.: Non pensa che assomigli un po' troppo ai tentativi degli psichiatri di "guarire" o "convertire" gli omosessuali?
R.: Guardi, finora con la psicoanalisi non c'è stato nessun medico al mondo che sia riuscito a trasformare un vero omosessuale in un eterosessuale: questo l'ho sempre detto a chiare lettere. Si può però fare di un omosessuale esclusivo un bisessuale, se lo vuole, se lo desidera.
In tutti questi anni io ho assistito quasi un migliaio di omosessuali, che venivano a dirmi "io mi sparo una revolverata," "io voglio uccidermi perché voglio sentire anche la donna".
Li ho sempre aiutati dicendo loro di accettarsi, spiegando che siamo tutti un po' omosessuali e quindi non c'è nulla di cui vergognarsi nel vivere l'omosessualità...
E li ho sempre aiutati gratuitamente, non ho mai voluto speculare sulla pelle degli omosessuali: la mia la considero una missione.
Le dirò: qualche anno fa mi hanno operato di un tumore alla prostata; ero in ospedale, non ero messo bene, avevo le cannule delle fleboclisi dappertutto. Però allora mi veniva a trovare una studentessa che stava preparando una tesi sull'omosessualità. E quando la vedevo, io rinascevo, e tutti se ne meravigliavano.
A casa mia c'è stato per decenni un andirivieni di omosessuali bisognosi di aiuto. Con gli anni il loro numero è molto diminuito: man mano che l'opinione pubblica diventava più tollerante verso gli omosessuali, diminuiva ovviamente il numero di coloro che volevano essere aiutati ad essere se stessi, a liberarsi. Mentre è andato aumentando il numero di coloro che aspirano alla bisessualità.
D.: Cosa vuol dire?
R.: Che coloro che vengono oggi sono più che altro omosessuali giunti a un certo momento che si accorgono che manca loro "qualcosa". Vogliono tutti fare un figlio, insomma.
D.: Che età hanno?
R.: Non giovani: dopo i trentacinque anni. Si accorgono di un vuoto esistenziale: nella loro vita manca un figlio.
Di solito sono dei "velati", persone che hanno raggiunto una posizione sociale di rilievo, gente che ha spesso fatto fortuna.
D.: Questo "vuoto esistenziale" non sarà una forma di conformismo sociale?
R.: No no no, ce n'è molti che si accettano senza problemi: si tratta di un autentico vuoto esistenziale. Noti che io non li incoraggio affatto: dico loro: "Siamo già troppi al mondo, cosa va a farne un altro?".
Del resto in passato quando parlavo della paternità ai collettivi gay dicevano che ero matto; adesso invece una delle rivendicazioni degli omosessuali è l'adozione...
D.: Come furono i suoi rapporti col "Fuori!" quando nacque?
R.: Pessimi.
D.: Perché?
R.: Ricordo una conferenza, una volta, a cui erano presenti Angelo Pezzana ed Elio Modugno [6]. Pezzana disse: "Se fate parlare Olivari io me ne vado". Modugno, che pure era mio amico, disse anche lui: "Non lasciate parlare Olivari".
Questo perché sapevano che avrei detto cose su cui non sarebbero stati d'accordo. Tanto che ci fu anche chi mi difese dichiarando che non ero quello che si diceva ch'io fossi.
D.: Perché, cosa si diceva di lei?
R.: La parola più gentile era "farabutto" o "fascista". Elio Modugno me lo diceva anche in faccia (però ridevamo): "Lei è un reazionario e arteriosclerotico". Al che io mi facevo una risata e gli dicevo: guardi, lei mantenga le sue convinzioni, io non cambio.
Riconosco che il momento d'urto che ci fu allora ci voleva, però dal mio punto di vista bisognava seguire la via maestra: non mettersi contro la società eterosessuale, bisognava convincerla, responsabilizzarla.
D: Quindi il suo giudizio sul movimento gay di allora qual è?
R.: Che effettivamente hanno cambiato i tempi con le loro idee d'urto, ma oggi vede anche lei che sono state abbandonate.
D.: Come mai i suoi rapporti col movimento gay sono oggi così buoni? Lei ha frequentato per anni i collettivi gay, va a parlare alla trasmissione gay di "Radio Popolare", ha fra i suoi amici più di un militante. Cosa è cambiato?
R.: Ah, sono cambiati loro, non io. Io non sono cambiato!
Oddio, forse ripensando oggi a quello che ho scritto penso che in passato mi attenevo esageratamente alla parte medica, quello sì, mentre avrei dovuto attenermi di più alla problematica, diciamo così, sociale, umana.
Nessuno può però dire che io abbia insistito perché gli omosessuali si "normalizzassero": io non faccio distinzione fra persone "normali" e persone "anormali".
D.: Non pensa però che porre l'alternativa fra Chiesa cattolica o medicina collocasse i gay fra Scilla e Cariddi? La medicina non ha mai fatto del bene agli omosessuali: che dire degli shock ormonali, le castrazioni, le terapie d'avversione?
R.: Càspita, ho avuto uno scontro nel 1972 proprio con l'inventore della terapia d'avversione [7]. Quando ho visto il film dell'omosessuale legato che riceveva una scossa elettrica ogni volta che vedeva una foto di nudo maschile ho detto no, sono contrario.
Il mio metodo non è d'avversione, è di propensione verso la donna: l'omosessuale deve restare omosessuale, solo così ha un domani la possibilità di optare.
D.: Non pensa allora di essere stato giudicato a lungo proprio in base ai compagni di strada che si era scelto, questi medici che "farabutti" certamente lo erano?
R.: No: tutti i medici del "Centro italiano di sessuologia" sono persone rispettabili.
Semmai sono stato giudicato male perché vedendomi sempre in giro con gli omosessuali, dato che non ho alcuna difficoltà a farmi vedere, gli altri possono avermi pensato male di me... ma per quel che mi riguarda gli altri possono dire di me quello che vogliono.
D.: Pensa di aver commesso errori nella sua valutazione passata dell'omosessualità?
R.: Errori, no. Eventualmente posso aver dato un peso eccessivo alla componente biologica... Anche se oggi danno ragione a me, dato che gli psicoanalisti, che hanno cavato sangue agli omosessuali promettendo guarigioni miracolose, oggi queste cose non le fanno più.
D.: Ci sarebbe qualcosa che non rifarebbe se tornasse indietro?
R.: Forse non getterei via milioni per pubblicare libri: sono stati errori.
Dei quali però non mi pento. Almeno dopo la mia morte lascerò una testimonianza, un ricordo del mio impegno a favore degli omosessuali.