Manuale pratico per omosessuali che non vogliono essere internati in case di cura, né subire elettroshock, né essere infilati in una camicia di forza
È stato presentato come esposto, in data 8/2/78 al Tribunale di Napoli e trasferito per competenza al Tribunale di Salerno
Meta di Sorrento, 6 Gennaio 1978
La seguente testimonianza è rilasciata da Carlo D. M., nato a Salerno il XX.X.1954 da Vincenzo D. M. ed Olga R., residente in Salerno in Via ..., attualmente domiciliato presso lo studio dell'avvocato Granata, Via ..., Napoli, Tel. .... (pomeriggio).
Durante il mese di novembre, in seguito allo studio intenso per vari esami, ed a motivi di carattere personale, ho avuto un forte esaurimento nervoso accompagnato da insonnia ed eccitamento.
Sono stato visitato dal cardiologo Valerio S. (Salerno) che mi diede una cura farmacologica che non mi soddisfece. Di conseguenza, in data 11 novembre, mi recai a Roma dal Dott. Guglielmo M., neurochirurgo presso l'Ospedale S. Camillo di Roma, che dopo una approfondita visita durata tre ore mi diede una cura tranquillante che migliorò immediatamente la mia condizione, ma mi consigliò di trovare un lavoro e rendermi indipendente, in quanto il mio problema principale era di non trovarmi a mio agio presso la mia famiglia, che non accettava la mia omosessualità, anzi la considerava una malattia da curare.
Poiché la cura del Dott. M. mi aveva guarito dall'insonnia ma permaneva un certo eccitamento, i miei genitori mi condussero dal Dott. Domenico V., di Salerno, che mi consigliò farmaci diversi, cui mi sottoposi con un certo sospetto, avendomi il dottore dedicato un colloquio di pochi minuti.
Ho in seguito saputo dai miei genitori che il dottor V. dichiarò loro che io ero curabile solo con l'internamento forzato, e progettò con loro e con mio zio, Dott. Ciro G., ufficiale sanitario al Comune di Cava dei Tirreni, di condurmi con un pretesto alla clinica Villa Chiarugi (di cui il dottor V. è direttore e comproprietario).
Infatti il giorno lunedì 28 novembre i miei genitori mi condussero insieme al Dott. Ciro G. alla suddetta clinica (situata in Nocera Inferiore) facendomi credere che si trattasse della casa privata del dottore, che mi avrebbe visitato con più attenzione della volta precedente.
Arrivammo alla clinica verso le ore 18:30. Il dottor V. non mi visitò affatto, né mi fece domande, invece mi consigliò un periodo di cura in una clinica (io ancora non mi ero reso conto che ci trovavamo nella clinica e non in una sua villa). Io risposi che non avevo nessuna intenzione di essere internato, non ritenendolo necessario, e dissi: "Papà, paga il Dott. V. e andiamocene. Non ho fiducia in lui, voglio tornare dal Dott. M. a Roma".
Il Dott. V. mi chiese di entrare nella stanza a fianco, il suo studio, ed aspettare lì da solo, mentre lui discuteva coi miei genitori.
Dopo che avevo aspettato un po' di tempo, entrarono quattro infermieri (del Primo Reparto Uomini, diretto da Suor Domenica), guidati dal dottore di turno quella sera, il Dott. C. I cinque mi chiesero di seguirli al piano di sopra dove, dicevano, mi aspettava mia madre.
Io risposi che mia madre era invece nella stanza a fianco e che non intendevo seguirli. A quel punto, tre infermieri mi afferrarono sollevandomi, mentre il quarto (che sono in grado di riconoscere) mi passava il braccio attorno alla gola per non farmi gridare. Mi misero nell'ascensore. Il Dott. C. intervenne facendo togliere il braccio da attorno alla mia gola, essendosi accorto che stavo soffocando.
Arrivammo nel Primo Reparto Uomini. Io feci subito notare che si trattava di sequestro di persona e chiesi di parlare coi miei genitori. Il dottore, invece, ordinò agli infermieri di praticarmi un'iniezione. Io mi rifiutai. Mi fu risposto: "Vuoi che te la facciamo con le buone o con le cattive?". Allora io lasciai che mi facessero l'iniezione. Io continuavo a sostenere che si trattava di sequestro di persona e che ero stato internato solo per la mia omosessualità.
Arrivò Suor Domenica, responsabile del reparto, con alcuni miei indumenti.
Compresi subito che i miei genitori erano quindi complici con il Dott. V. (in seguito ho saputo da mia madre che il Dott. V. firmò davanti a lei, mio padre e mio zio, un certificato di internamento. Inoltre, il Dott. C. mi confessò in seguito di aver ricevuto l'ordine di "ricevermi" dal Dott. V.).
Fui portato in una stanza a tre letti, uno dei quali era un letto di contenzione a cui era completamente legato mani e piedi un uomo anziano sulla settantina, di cognome Paolillo, da Maiori (Sa), che è probabilmente ancora internato. Egli urlava disperato, implorando di essere liberato, e la scena mi spaventò. Mi coricai subito seguendo gli ordini brutali degli infermieri, con la paura di essere legato anch'io. Il Paolillo continuò a gridare per tutta la notte senza che gli infermieri di turno facessero nulla, non facilitandolo neppure quando egli chiedeva di poter espletare le funzioni corporali.
Non riuscii a chiudere occhio.
Il mattino dopo continuai a protestare per l'illegalità della mia detenzione, con Suor Domenica, e gli infermieri, i quali rispondevano di dover obbedire a ordini superiori. Inoltre, fui maltrattato e trattato in modo vigliacco e volgare da vari infermieri a causa della mia dichiarata omosessualità.
Più tardi arrivò il dottor P., medico di turno, da Cava dei Tirreni, che io già conoscevo di vista. Pur avendo avuto ordini superiori, egli acconsentì a farmi telefonare a casa e a mio zio, il Dott. Ciro G.
Feci presente a quest'ultimo e a mia sorella che volevo uscire e che ero stato sottoposto a maltrattamenti. (In seguito ho saputo dal dottor P. che per avermi lasciato telefonare, egli fu minacciato dal dottor V. di licenziamento, avendo il V. ordinato che io non avessi qualsivoglia rapporto col mondo esterno).
La stessa mattina (martedì 25 novembre), incontrai l'Assistente Sociale di Villa Chiarugi, Anna Vitolo da Pagani, che ebbe pietà di me e acconsentì a portare un mio messaggio segreto fuori della clinica, che ella consegnò alla mia collega di studi, sig.na Adalgisa Giorgio, e alla prof.ssa Paola Splendore dell'Istituto Orientale di Napoli, le quali sono pronte a testimoniarlo e le quali sono in possesso dei miei messaggi originali, di cui si allega copia fotostatica.
Nel pomeriggio venni visitato dallo psicologo della clinica, Dott. Michelino R., Cava dei Tirreni, al quale feci di nuovo presente che era illegale trattenermi con la forza lì dentro solo in quanto omosessuale, e al quale denunciai i maltrattamenti subiti. Egli mi rispose con arroganza che io non ero normale, come poteva desumersi dai "manierismi nel tuo modo di muovere le mani".
Per tutto mercoledì continuai a protestare con gli infermieri, con Suor Domenica, coi vari medici di guardia, tra cui il Dott. A., e continuai a essere maltrattato dagli infermieri. Notai, inoltre, che gli infermieri tutti commettevano quotidianamente reato di plagio nei confronti di alcuni internati che, in cambio di sigarette, svolgevano al posto degli infermieri le mansioni più umili. (Denunciai più in là questo fatto ai dottori A. e R., chiedendogli di intervenire, ma essi risposero che anche V. ne era a conoscenza).
La mattina di giovedì mi fu messa la camicia di forza con la motivazione che "parlavo troppo", agitando gli altri internati. Solo la sera, verso le ore 6, il Dott. A. mi fece liberare e trasferire al Secondo Reparto Uomini, diretto da Suor Ciprana. Nel frattempo ero sottoposto a vari trattamenti farmacologici contro la mia volontà, cui mi sottoposi solo in seguito alla minaccia di essere riportato all'altro reparto.
Venerdì, 2 dicembre, verso le ore 18.30, il Dott. V. passò per i tavoli mentre mangiavamo (egli visitava la clinica ogni lunedì e venerdì sera). Gli feci presente per iscritto (il foglio era stato precedentemente letto dal Dott. R.) che volevo uscire, in quanto il giorno seguente dovevo sostenere un esame decisivo presso l'Overseas School of Rome, essendo risultato primo nel concorso nazionale per borse di studio per gli usa. Alla presenza di Suor Cipriana e del medico di guardia, il V. rispose: "Non posso impietosirmi. I tuoi genitori mi hanno dato carta bianca su di te". A quelle parole io scoppiai a piangere, disperato.
I seguenti pazienti dello stesso reparto possono testimoniare della mia detenzione forzata: Francesco C., di Napoli, e Gennaro F., residente in Roma. Entrambi sono stati dimessi alla vigilia di Natale. Il C. è stato anch'egli internato col dolo contro la sua volontà. Entrambi possono, inoltre, insieme a me testimoniare del reato di plagio commesso quotidianamente dagli infermieri contro il paziente Z., probabilmente ancora detenuto, che veniva da essi adibito a tutte le funzioni più umili, quali lavare per terra, in cambio di qualche sigaretta. Io stesso ho denunciato il grave reato alla presenza simultanea dei dottori A. e R., i quali ne risero e non presero provvedimenti anzi, dissero che lo stesso V. ne era a conoscenza.
Nel frattempo io continuavo a mandare messaggi segreti ai miei amici attraverso l'assistente sociale Anna Vitolo, la quale può testimoniare che per ordine di V. mi era vietato spedire lettere, fare telefonate, e ricevere visite.
Il giorno 7 dicembre, tre miei amici, Paola Splendore, docente presso l'Orientale di Napoli, Gordon Paole, lettore in inglese presso l'Orientale, Antonella Russo, vennero a Villa Chiarucci, chiedendo di vedermi, ed ebbero un lungo colloquio col dottor R., il quale si rifiutò di farmeli vedere e di rivelare a quali terapie fossi sottoposto.
Nel frattempo, la mia forza di volontà crollava, e sotto la continua intimidazione da parte degli infermieri, mi sottoponevo a varie terapie, quali 11 iniezioni di insulina, fattemi praticare dal Dott. Pasquale G. di Pompei, il quale si disse disposto a testimoniare che gli avevo denunciato il mio internamento forzato, e 2 elettroshock, fattimi praticare dal Dott. M. di Napoli e dal suo assistente, terapie che mi hanno lasciato un trauma da cui ancora non mi sono ripreso.
Questo è un elenco dei vari infermieri del Reparto di Suor Cipriana: Luigi R., Luigi D.P., O., C., B., S., ed altri, che sono in grado di riconoscere. In particolare il S., un giorno che rifiutai una pasticca, minacciò di portarmi nel Reparto Agitati.
Il giorno 17 dicembre, la summenzionata testimone Antonella Russo da Meta di Sorrento, invitata telefonicamente dal Dott. R., veniva a Villa Chiarucci per ritirare il mio piano di studi universitario. Ella arrivò verso le ore 11:30, orario delle visite, ma il Dott. R. si rifiutò di farmela vedere e disse la seguente gravissima frase alla suddetta signorina: "Ne faremo un bel maschione"!
In precedenza, sulla base delle indicazioni da me fornite nei messaggi segreti consegnati dall'assistente sociale, la sig.na Russo avvertiva il mio medico curante di Roma, il Dott. Guglielmo M., neurochirurgo al San Camillo di Roma del mio internamento forzato e delle terapie in corso.
Egli si disse stupito, in quanto io "non ero affatto da internare". Egli telefonò a Villa Chiarucci parlando col Dott. R. e condannando il trattamento da me subito e in particolare gli elettroshock.
La sig.na Russo avvertiva anche mia madre degli elettroshock. Mia madre telefonò al dottor V., il quale mentì, negando che io fossi sottoposto ad elettroshock.
Il giorno martedì 20 dicembre, evidentemente intimoriti dalla telefonata del giorno precedente, il Dott. M. e il Dott. R. adottavano verso di me un atteggiamento improvvisamente più gentile, ed ammettevano alla presenza del Dott. P. da Cava dei Tirreni, che io ero da dimettere.
Probabilmente anch'egli intimorito, anche per le mie continue minacce di sporgere denuncia non appena libero, il dott, D'Amato, capo del Reparto Maschile, acconsentiva finalmente a farmi telefonare a casa dopo che mi era stato impedito per ordine del V. dal giorno 29 novembre.
Il giorno 23 dicembre telefonavo a casa denunciando a mia madre i maltrattamenti subiti e chiedendole di vernirmi a prendere la mattina seguente.
La mattina del 24 dicembre vennero i miei genitori e finalmente uscivo, ritrovandomi estremamente indebolito nel fisico e nella mente e fortemente depresso a causa delle terapie e della detenzione forzata.
Il sottoscritto autorizza il direttore di "Ompo" a pubblicare la testimonianza qui acclusa.
Carlo D. M.
19/2/78
RELAZIONE SANITARIA in persona del Sig. Carlo D.M., nato a Salerno il XX.X.1954, ivi residente...
Noi sottoscritti Dott. Gianmario BORRA ed Alberto MONACORDA, medici-chirurghi specialisti in malattie nervose e mentali, abbiamo sottoposto a numerosi colloqui psichiatrici il Sig. Carlo D. M..
Detti colloqui si sono svolti tra il 24.12.1977 ed il 4.1.1978.
Dati biografici del soggetto.
Nato in ambiente del ceto medio (il padre è insegnante di materie letterarie degli istituti superiori di istruzione media), Carlo ha una sorella e due fratelli,
Fin da piccolo ha avuto un rapporto molto difficile con la figura paterna, vissuta al tempo stesso come distante ed ostile. Ha invece instaurato un rapporto di relativa confidenza con la madre. Frequenta con buon profitto le scuole elementari e medie, poi il liceo scientifico, ed infine l'Istituto Universitario Orientale (corso di laurea in lingua inglese).
Verso i 14 anni, dopo una fase di inquietudine psicologica legata anche alle tematiche sessuali, identifica in se stesso una situazione di tipo omosessuale.
Questo tipo di consapevolezza gli provoca forte tensione psichica, in quanto egli percepisce con tutta chiarezza l'ostilità dell'ambiente verso le persone con una problematica di questo tipo, e riferisce ovviamente anche a se stesso questa ostilità, pur se mantiene assolutamente celata anche all'ambiente familiare la sua condizione psico-sessuale.
Trascorre così nell'angoscia di essere "scoperto" e rifiutato gli anni dai 14 ai 21. Nel 1975 (a 24 anni), rivela la propria condizione alla madre: ella reagisce con marcata angoscia e tentando di negare anche a sé il problema.
Nel gennaio 1976 compie una prima esperienza di vita autonoma, e si reca a Londra, dove si rende autosufficiente lavorando e perfezionandosi nella lingua inglese.
A Londra trova anche un ambiente in cui la sua omosessualità non viene vissuta come "scandalosa": si sente accettato e stimato, instaura validi rapporti affettivi. Rientra a Salerno per essere sottoposto ad intervento chirurgico di circoncisione a causa di una fimosi.
Il rientro nell'ambiente salernitano e familiare viene vissuto in maniera negativa: nell'ambito della sua città sente di non poter essere accettato in quanto omosessuale, e lo stesso accade in famiglia.
Nell'ambito familiare la sua condizione è di volta in volta occasione di tensioni e di scontri, oppure di offerte di "aiuto per curare questa malattia".
Nel frattempo, Carlo prosegue con eccellenti risultati gli studi universitari. A fine ottobre 1977, dopo una fase di studio intenso, ed in coincidenza con la lontananza anche epistolare di un amico residente negli Usa, comincia a sentirsi ansioso ed astenico.
I familiari lo conducono da un medico a Roma: questi gli consiglia una terapia farmacologica ansiolitica ed antidepressiva da cui Carlo trae giovamento.
I familiari poco dopo lo portano da un altro medico (prof. V., di Salerno), il quale consiglia un diverso trattamento farmacologico.
Il 28.11.1977, Carlo viene ancora condotto dai genitori in quella che ritiene essere l'abitazione privata del prof. V.
Qui, in una stanza deserta, viene immobilizzato da 4 persone che si dichiarano infermieri e trasferito, manu militari, in un reparto di degenza di quella che egli apprende ora essere la Casa di cura "Villa Chiarugi" di Nocera Inferiore, in cui opera il suddetto prof. V.
Carlo si oppone al ricovero, ma viene sopraffatto con la forza, con la contenzione fisica e con sedazione farmacologica.
Durante il ricovero gli vengono praticate due sedute di terapia elettro-convulsivante (elettroshock), undici di insulino-shock-terapia, nonché trattamento con psicofarmaci.
Per tutta la degenza gli viene impedito di uscire dal luogo di ricovero e di comunicare con chicchessia.
Il 24.12.1977 viene dimesso.
Esame obiettivo.
Soggetto longilineo astenico in discrete condizioni di nutrizione e sanguificazione.
Cute e mucose visibili pallide.
Non si rilevano affezioni in atto dei vari organi ed apparati.
Esame neurologico.
Non si rilevano segni clinici d lesione del sistema nervoso centrale o periferico.
Esame psichico.
Soggetto lucido, ben orientato nel tempo, nello spazio e nei confronti delle persone.
Livello intellettivo ai limiti superiori della norma, con patrimonio culturale adeguato all'istruzione scolare.
Buone le capacità di concettualizzazione, astrazione e realizzazione.
La memoria a breve termine appare nei limiti fisiologici, come anche quella a lungo termine.
Nei ricordi delle settimane corrispondenti all'epoca di degenza appaiono invece lacune mnestiche corrispondenti, sia cronologicamente che come rapporto di causa-effetto, alle applicazioni di elettroshock.
Il tono dell'umore appare lievemente instabile in rapporto ai vissuti personali riferibili alla situazione familiare, al recente ricovero coattivo vissuto come indebolito e punitivo, ed alla consapevolezza della scarsa tolleranza sociale per la sua condizione di omosessualità.
Vi sono discrete note di ansia, da considerarsi reattive alle situazioni esistenziali prima accennate.
Tra i motivi di maggiore tensione psichica che emergono dal colloquio, spiccano le forti contraddizioni con le figure parentali, fortemente reiettive e che rifiutano, con l'orientamento omosessuale, parti irrinunciabili della personalità di Carlo, o nei confronti delle quali figure Carlo palesa tuttavia forte attaccamento ed una notevole dipendenza affettiva.
L'instabilità attuale del tono dell'umore appare fortemente correlata con l'alternanza di speranze e delusioni emergenti dai reiterati tentativi, compiuti da Carlo, di ricostruire un'armonia nei rapporti familiari.
L'orientamento psicosessuale appare di tipo omosessuale.
Indenni le pulsioni istintuali, con appetito regolare e sonno disturbato dall'ansia.
Le senso-percezioni non appaiono turbate da fenomeni illusionali od allucinatori.
Non emergono al colloquio temi deliranti.
Non si rileva ideazione con tematiche autolesive od autosoppressive.
CONCLUSIONI.
Per tutto quanto sopra esposto si può concludere che il D. M. è un soggetto con vive problematiche psicologiche di tipo interpersonale che si riverberano sia nell'ambiente micro-sociale (famiglia), che in quello macro-sociale.
Egli appare dal punto di vista clinico essere attualmente, ed esser stato in passato, del tutto indenne da affezioni psichiche.
Non presenta attualmente, né risulta abbia in precedenza presentato, alcun elemento comportamentale che lo rendesse pericoloso a sé o agli altri o di pubblico scandalo.
La presente relazione è redatta in carta libera, a richiesta dell'interessato, per gli usi consentiti dalla Legge.
Napoli, 4 gennaio 1978.
Dott. Gianmario Borra Neuropsichiatra
Dott. Alberto Manacorda Neuropsichiatra
Il sottoscritto autorizza la pubblicazione di quanto sopra su "Ompo".
Carlo D. M.