È un documento di eccezionale importanza per vari motivi, ma soprattutto perché è il più antico poema epico, e perché offre un’immagine inaspettata della società mediorientale duemila anni prima di Cristo.
Il re di Uruck, Gilgamesh, ama Enkidu, al quale rende omaggio baciandogli i piedi e abbracciandolo «come uno abbraccia una donna».
All’inizio dell'epopea, la madre del re ne interpreta i sogni; più tardi lo farà Enkidu, a simboleggiare il trasferimento dell’uomo dalla società femminile durante l’infanzia, alla società maschile nell’adolescenza, in una cultura in cui i due sessi vivono separati sì, ma con compiti complementari.
Molti autori hanno preso alla lettera le allusioni a Enkidu come «bestia». Probabilmente questo fatto rappresenta il passaggio dei nostri progenitori dalla condizione animale alla condizione umana, accentuata proprio dalla relazione affettiva e sessuale tra uomini, visto che questo rapporto stimola la conoscenza e la tolleranza reciproca. Dove non esiste questa attrazione, gli animali (e gli uomini) si respingono e rifiutano di conoscersi e di rispettarsi, cercando di sopraffarsi con la violenza.
Più tardi i due amici lotteranno contro una donna (“la” donna), nelle sembianze di Ishtar, dea babilonese del piacere, che vuole vendicarsi perché la escludono dal loro amore.
Ishtar oppone loro un toro celeste che sconfigge prima cento guerrieri e poi altri trecento, ma viene a sua volta sconfitto e ucciso dai due amici insieme.
La dea maledice Gilgamesh, ma Enkidu la schiaffeggia con gli organi dell’animale mentre minaccia di castrarlo. Allora Gilgamesh recita quello che è stato definito «uno dei più grandi canti della misoginia maschile»:
Tu non sei più di un mucchio di rovine che non danno ospitalità contro il brutto tempo, tu sei solo una porta che sbatte e che non può opporsi all’uragano, tu sei solo una trappola che nasconde nient’altro che trucchi, tu sei solo pece fiammeggiante che brucia la mano di chi la tocca, tu sei solo una bottiglia d’acqua che affoga chi la porta, ..... Quale dei tuoi amanti hai mai amato per sempre? Chi, tra quelli che hai posseduto, è mai stato fortunato? Ascolta, io racconterò l’elenco senza fine dei tuoi infiniti amanti, a cominciare da Dumuzi...È sintomatico sapere che Dumuzi era stato un dio morto giovane a causa di una donna. La simbologia sembra insinuare che l’eterosessualità accorcia la vita, e questo perché, com’è noto in biologia, quando un organismo elementare si riproduce ha esaurito la sua funzione e può scomparire. Al contrario, l’amore virile è eterno ed immortale, proprio perché non si basa sulla riproduzione, ma sull’impulso culturale.
L’intuizione sembra confermata dal prosieguo dell’epopea, tutta basata sulla ricerca dell’immortalità da parte di Gilgamesh, ormai rimasto solo dopo la morte dell’amato Enkidu ma con il quale, di tanto in tanto, continua a dialogare.
Un significato simile a quello appena illustrato si può attribuire all’episodio biblico di Sansone e Dalila, dove il potere della donna sull’uomo diminuisce il potere dell’uomo sui suoi simili.
Tra l’altro, questa storia permette di notare una cosa curiosa: nella Bibbia i rapporti amorosi tra uomo e donna sono spesso forieri di sventure, quelli tra uomini (quando non c’è violenza) sono di buon auspicio.
E si potrebbe anche fare un'altra osservazione: i rapporti d'amore tra maschi sono accettati ed esaltati, mentre quelli violenti sono condannati.
La storia di Gilgamesh torna pure nella Bibbia, dove la figura del selvatico Enkidu è schizzata sul re di Babilonia, Nabucodonosor, in occasione del suo sogno (Daniele, IV, 22, 30).
Infine, Enkidu precede Cristo nel tornare per un breve periodo tra i vivi, dal regno degli inferi nel quale è ormai condannato per l'eternità.