Pur nella virtualmente infinita molteplicità di proposte; nella stratificazione di generi e sottogeneri; nel caos delle relazioni tra supporto e fruizione; ma, soprattutto, nell'epoca della fluidificazione dei percorsi di produzione/distribuzione musicale, che ha permesso e permette visibilità ampia ed immediata pressoché a chiunque (spesso ad onta della qualità, invero, sempre più decrescente), il percorso artistico di Jamie Stewart e del suo progetto principale si è distinto per la sua immediata riconoscibilità. Così che in meno di dieci anni il nome Xiu Xiu è divenuto uno dei più chiacchierati in ambito indipendente, pur rimanendo sempre nel ruolo di band di culto. Un nome che interessa e divide, al contempo, estimatori e detrattori, in virtù di uno stile multiforme e del carattere peculiare del suo frontman: bizzoso, scomodo, dalla penna ruvida e dalla voce inconfondibile.
Il progetto Xiu Xiu (leggasi Sciou Sciou) nasce intorno al 2002 dalle ceneri dei Ten in the Swear Jar, piccola orchestrina in cui sono già presenti, seppur ancora in nuce, tutti gli elementi che prenderanno forma più compiuta in seguito. Forma che potrebbe sintetizzarsi come una crasi tra influssi e stimoli diversi, o anche opposti, in salsa indie-rock: il gay pop anni 80; la new wave, praticamente, in ogni sua espressione; la musica sperimentale contemporanea; il folk ed i gamelan balinesi, il noise e la techno. Il tutto calato in una dimensione torva e dolorosa, agevolata dai testi di Stewart e dalla sua interpretazione sempre sopra le righe, straziata, isterica, continuamente modulata sui registri sussurrato/urlato. Un incrocio tra Robert Smith e Mark Hollis, ma senza requie, nevrotica, apparentemente sempre sul punto di rompersi in un pianto a dirotto.
Jamie canta la disperazione, la marginalità, la sessualità, l'orrore di vivere, il dolore nei rapporti, l'abbandono. Poggiando i suoi lamenti su una girandola di suoni impazziti, iperdistorti e confusi, tra beat elettronici, latrati di synth e sconquassate percussioni acustiche. Eppure fragili e incerti, almeno, quanto le storie che sonorizzano.
Col tempo si chiarisce quanto, in realtà, Xiu Xiu sia una sorta di progetto solista di Stewart, con una serie di collaboratori e comprimari sempre mutevole.
Le sue sofferte parabole, assumono carattere universale, partendo da racconti, minimi, specifici, molto mirati. Spesso prendendo spunto da momenti realmente vissuti da se stesso o da figure reali appartenenti ad un'umanità borderline, reietta e disperata: l'istinto al suicidio, nel dialogo immaginato col cantante dei Joy Division, suo grande riferimento (Ian Curtis Wishlist); la violenza domestica (I Luv the Valley OH); il collasso psichico (I Broke Up); la ferocia nell'amore (Brian the Vampire); l'introversione (Jennifer Lopez). Arrivando a toccare temi sociali e di bruciante attualità: il cannibalismo psicologico insito nelle dinamiche familiari, che è pure una lettura degli USA dell'amministrazione Bush (Saturn); la guerra letta attraverso un fatto di cronaca (Support Our Troops OH); la prostituzione minorile (Pox).
A quest'ultima è legata anche una spinosa vicenda, piccolo caso di gossip underground, che vede Stewart protagonista. La copertina del secondo lavoro degli Xiu Xiu (A Promise), infatti, vede un ragazzino asiatico completamente nudo, che, a detta dello stesso Jamie, altri non è che un ragazzo di vita vietnamita da lui pagato e fotografato. Giurerà di non aver mai fatto sesso con lui, se questo potesse servire a giustificarne il discutibile cinismo.
L'episodio svela ancor più chiaramente cos'è la sessualità per Jamie Stewart: il luogo del conflitto tra i corpi, ma anche tra gli infiniti se che agitano l'uomo. La sessualità nelle canzoni degli Xiu Xiu è, soprattutto, sofferenza; lo scontro con la propria affermazione egotica; l'incapacità di porre freno ad un'ansia distruttiva ed autodistruttiva senza limiti. Una sessualità rivolta sempre, o quasi sempre, a se stessa. E poco importa se tutto questo proviene da un omosessuale dichiarato: ancora una volta il particolare disvela, attraverso uno sguardo lucido e disincantato, una totalità di sentimenti che potrebbero interessare, tranquillamente, anche sessi opposti.
Nelle pieghe della sua musica, si agita l'elegante morbosità di un mondo interiore in frantumi: una 'non-vita' percorsa ai margini della vita stessa, un suicidio perpetuamente rimandato. Un suicidio a rallentatore, un progressivo svuotamento di se.
L'ultimo cd, uscito da un paio di mesi, parla chiaro sin dal titolo: Dear God, I hate Myself. Ma la chiarezza, sin'anche brutale, è sempre stato un elemento imprescindibile, tanto nei testi, quanto nell'immaginario che anima il progetto. Si vedano, oltre alla succitata copertina di A promise, l'Ecce Homo di The Air Force, con i suoi richiami al martirio del diverso e l'iperbole dello scontro tra il titolo (la forza aerea, l'aviazione militare) ed il Cristo addolorato e sanguinante per i 'mali del mondo' lì esposto. Il crudo Fag Patrol ad intestazione di un minialbum spoglio e desolato, in cui Jamie, in memoria del padre morto, rilegge in acustico, e quasi completamente solo, alcuni brani del suo repertorio. O ancora il corpo efebico, nudo e legato, di Women as Lovers; il disegno che decora la copertina di Chapel of the Chimes (un bisturi che sta per incidere un polso, a cui fa eco la t-shirt, con un braccio dal polso già sanguinante, su cui campeggia la scritta: "Xiu Xiu, for life"); le foto promozionali dal taglio feticistico; il merchandising esplicito; ecc.
Perchè a Stewart non è, certo, estraneo un insano umorismo o più che altro un divertito sarcasmo. Evidente quando, ad esempio, gioca con gli stereotipi iconografici del mondo gay: il divismo camp; i colori fluo; Freddie Mercury e, appunto, Jennifer Lopez. Un circo, ora colorato e sgargiante, ora nero e plumbeo.
La fruizione della musica degli Xiu Xiu, in definitiva, è un'esperienza dolorosa e totalizzante, che irretisce per la sua asperità e per il disagio che comunica, che investe e devasta. Disagio che non può non essere recepito: un transfert senza condizioni tra Jamie ed il suo ascoltatore in una spietata seduta psicanalitica.
Tutto questo nella California più gelida, oscura, morbosa, psicotica e ostile che si sia mai vista.