Verso il fotografo Robert Mapplethorpe (1947-1989) ho sempre nutrito idee contrastanti. Eppure quando vidi nel 1978 alcuni suoi scatti sulla rivista Photo Italiana ne rimasi scioccato e morbosamente attratto. Ero un minorenne molto interessato alla fotografia e sbirciavo qua e là per farmi una cultura. Sublimazione e voyeurismo spesso si sposano, specie a quell'età di scoperte. Fu così che tra i soliti servizi flou delle Lolite in fiore di Hamilton, di modelle francesi nude e bisunte con calzerotti a righe e zatteroni, donne perversamente lesbo-fashion di Rebecca Blake o reportage di guerre orrende in giro per il mondo, trovai come un dito nell'occhio una banana, di warholiana memoria, turgida e allusiva con infilato un portachiavi, un ritratto della cantante Patty Smith nuda attaccata ad un termosifone, un allora sconosciuto body builder Arnold Schwarzenegger in bella posa e l'attore porno (gay, anche se il giornale non lo diceva) Peter Berlin con stivali e pacco gonfio dentro un ascensore. Erano foto di un certo Mapplethorpe e non avevo mai visto nulla di simile. Il giornale fu occultato a dovere, tra i libri di scuola, e ogni tanto me lo andavo a sbirciare. Esattamente come oggi mi spio in libreria i volumi dedicati a questo fotografo, pieni d'immagini a tratti scioccanti. Foto che ancora oggi conservano un nostalgico sapore di raffinata trasgressione, un po' stanca ma sincera, malgrado tutto quello di cui, ormai, i nostri occhi si sono nutriti. È la "sincerità" che ne fa un grande artista. Tanto autentico l'autore, quanto i soggetti ritratti. Se n'è riparlato, un po' ovunque, in questi giorni a proposito di una mostra a lui dedicata a Torino (Promotrice delle Belle Arti, Viale Balsamo Crivelli 11, fino al 1 gennaio) in collaborazione con la Mapplethorpe Foundation che ogni anno fattura ben 10 milioni di dollari, in gran parte devoluti alla lotta all'AIDS. Oggi una sua foto è quotata tra i 30 e i 50 mila dollari, sebbene quando fosse in vita il suo exploit nel mondo dell'arte non durò più di sei anni, quattro dei quali impegnati a sopravvivere, mentalmente e fisicamente, alla malattia. Fu l'unico esempio di fotografo "da culto", popolare quanto un divo, che non provenisse dal mondo della moda. Anzi, ne rubò stili e rigori patinati (Avedon, Platt Lynes, Horst, ecc.), finendo lui stesso ad influenzare, di riflesso e profondamente, la creatività del fashion internazionale. Dopo Man Ray, negli anni '20, e Andy Warhol nei '60, si deve a Mapplethorpe lo sdoganamento di tante cose considerate "infotografabili", perché sconvenienti. Sul filone dadaista di Duchamp, che esponeva un vero orinatoio come object d'art trouvé nel 1917, e i provocanti ritratti dei travestiti fatti da Andy Warhol, sulla tela o nei suoi film trash underground. Ecco che con piglio camp, esclusivo della cultura gay, sulla scia della provocazione d'avanguardia punk, Mapplethorpe eleva la propria "spazzatura" ad oggetto d'arte di lusso e voluttà. Ebbe a dichiarare nel 1985:
Ed, in effetti, Mapplethorpe aveva iniziato come pittore, con collages d'illustrazioni prese da giornaletti porno gay. Poi iniziò lui stesso a creare delle immagini con polaroid e capì che quella era la sua strada, senza alcun sotterfugio e mediazione di tele o pennelli. Il suo virtuosismo tecnico divenne sempre più raffinato, ottenendo il doppio effetto di sbalordire ancora di più l'osservatore e d'essere preso sul serio come fotografo "professionista" dai critici. Tutti gli outsider della strada che usa come modelli, venivano così innalzati e santificati alla categoria d'oggetti d'arte. Soggetti, spesso in primo piano, che guardano dritti in macchina e che pretendono attenzione, senza dare via di scampo all'osservatore. E' la sfacciataggine di Mapplethorpe che parla attraverso di loro, togliendo anche a noi ogni barriera difensiva. Modelli che diventano icone immobili nel tempo. Un'a-temporalità che si ritrova già nei primi autoscatti del 1973. Con l'autoritratto usato come mezzo di confessione e, di conseguenza, con l'omosessualità al centro del discorso su se stesso e gli altri. I nudi degli afroamericani, invece, s'impongono prepotentemente come idoli irraggiungibili della perfezione anatomica e, al tempo stesso, ideali prede da portarsi a letto. Un qualcosa che sembra derivare dalla classicità neo-platonica di Michelangelo, fatta d'esseri bellissimi, perfetti e pensanti. Ma le persone di Mapplethorpe non sono al centro di un mondo filosofico astratto e gentile, bensì sopravvivono in un habitat scosso da tormento interiore tutto novecentesco. Non vergognandosi affatto di soffrire d'un "disturbo" esistenziale che, dietro un'apparenza banale e ordinaria, fa d'ognuno di un loro un caso clinico freudiano. Ferita che nobilita ma che li rende assai più comprensibili, vulnerabili e indifesi. Forse più teneri e meno mostruosi ai nostri occhi. La catalogazione del mondo, in chiave di lettura dal punto di vista sessuale, in Mapplethorpe, è totale ed implacabile. Persino quando fotografa cose inermi, come statue o fiori, il suo è uno sguardo che uccide ogni finzione. Una carica sensuale, vitale e violenta, che si ritrova anche nei quadri del Caravaggio, specie nelle sue nature morte cristallizzate e perfette. A quel livello sono gli organi sessuali, quasi commestibili ma minacciosi, fotografati da Mapplethorpe nel suo tipico modo vitreo e scarno. Uno stile ossessivo, in bianco e nero, che sfocia nel cimiteriale con le pose esibizionistiche del sado-maso. Aspetto che alcuni hanno paragonato al neo-classicismo del Canova, con l'eterna attrazione e rifiuto tra Eros e Thanatos, tra vita e morte, tra fisico e mente. Dove il bruto dolore del corpo convive borderline col piacere sottile e mentale. Le foto di Mapplethorpe possono risultare claustrofobiche. Anche perché scattate sempre all'interno dello stesso studio. Estensione territoriale della camera da letto dell'artista, o stanza dei giochi che spia il paese dei balocchi newyorkese. Quel poco di dinamismo nelle foto è raggiunto con regole di composizione geometrica classica. A secondo del formato del fotogramma usato, giocando con cerchi inscritti dentro un quadrato o lungo le diagonali del rettangolo. Senza Mapplethorpe non sarebbero potute esistere le provocazioni, di molti altri artisti, gay e no. Jeff Koons, Terry Richardson e Wolfang Tillmans tra i primi venuti in mente. Non ultimi i neo-barocchi Pierre et Gilles, grandi aristocratici del cattivo gusto e gaia dissacrazione. Ma al di fuori di questi girotondi gratuiti e giocosi dell'oltraggio al pubblico pudore, unico vero erede di Mapplethorpe è il newyorkese Andres Serrano (nato nel 1950). Specialmente per il rapporto che ha con la realtà fotografata, sempre più cupa dei nostri giorni. Una scomoda eredità distillata ed elevata ad ennesima potenza, tutta fotografata a colori e ormai ben distante dalle sottigliezze di Mapplethorpe. Sia che si tratti di un crocefisso immerso nell'urina o di schizzi di sperma in pozze di sangue, oppure che fotografi nella maniera più estetizzante possibile i cadaveri dopo l'autopsia e le più strane varianti d'accoppiamento sessuale che non si siano mai potute immaginare in ambito umano. Non scandalizzatevi, quasi trent'anni fa pure Mapplethorpe vi avrebbe gettato nello stesso brutale sconcerto. Ah, i bei tempi andati!L'unica cosa che m'interessava da ragazzo era la pornografia. A 16 anni ho scoperto la 42ma strada di New York e non avevo abbastanza anni per frequentare i porno-shop e il mio divertimento maggiore stava nello sbirciare attraverso le vetrine.(...)Era il classico interesse di un teenager che guarda una cosa proibita(...)Era un tipo d'interesse che mi penetrava nello stomaco, tanto era pieno di energia, così incominciai a pensare che se fosse stato possibile trasferire questo sentimento in un'opera d'arte sarebbe stato molto importante.(...)Il sesso è sempre stato fondamentale nella mia vita.Se avessi una sola notte da vivere e dovessi scegliere tra soldi, il sesso e l'arte, non avrei dubbi, io sceglierei il sesso.(...)Quanto più si ha esperienza del sesso meno se ne conosce. Negli anni passati ero coinvolto in situazioni più severe di tipo sado-maso ed anche le foto di quel periodo sono molto diverse dalle attuali. Dico questo per far capire che l'elemento autobiografico è tutto nel mio lavoro.(...)Fare fotografie e fare sesso sono due cose ben distinte. Qualche volta mi è capitato di scopare mentre facevo foto, ma non ha aggiunto niente al sesso.(...)Warhol scruta la gente da voyeur ed io non sono un voyeur.(...)Il voyeur è chi certe cose non le ha mai fatte e tenta d'esprimerle usando gli altri. Quando ho fatto foto sado-maso, immagini molto esasperate, la gente faceva delle cose vere, reali. Non c'era alcuna finzione teatrale. L'esperienza è già più importante della foto in sé.(...)Io non faccio foto, faccio parte dell'evento, in questo senso non mi considero un fotografo. La fotografia per me è uno strumento per fare un oggetto.