saggio diMichel Rey
Il matrimonio del fabbro
La sottocultura dei sodomiti nella Parigi del Settecento
Un grande movimento sembra innestarsi nella storia della famiglia, che diviene luogo di felicità possibile, si richiude lentamente su se stessa e rifiuta l’intruso.
I nobili, a Corte, si sono già riuniti in base al loro gusto. Così, il matrimonio simbolico di un ragazzo fabbro ferraio, mostra come i sodomiti parigini, spinti dalla loro epoca, abbiano cominciato ad ospitare un'identità ed una cultura che li differenziavano dai contemporanei.
Nel gennaio del 1748, un certo Pinson, di professione cameriere, confessa alla polizia che “l’estate scorsa si è trovato in numerose assemblee di gente della Manchette, sia alla Courtille, sia all’Insegna dei Sei Monaci, in via dei Giudei. In queste riunioni, la conversazione è stata quasi sempre sullo stesso tono. Ci sono quelli che si mettono un tovagliolo in testa e contraffanno le donne, facendo dei gesti e delle riverenze come loro. Quando capita qualche nuovo giovanotto, lo si chiama la maritata, ed in questo caso quello diventa l’oggetto di tutti. In queste assemblee ci si sceglie per toccarsi e per farsi delle infamità. Talvolta, tutto questo succede dopo essere usciti dal cabaret”.
E’ dal 1706 che gli archivi della polizia rilevano l’esistenza di queste riunioni, che sembrano moltiplicarsi a partire dal 1735/1740, in particolare nei cabarets dei sobborghi: questi quartieri, meno sorvegliati della stessa cité, sono dei luoghi di liberazione dalle restrizioni per tutto il popolo.
Un mese più tardi, un certo Rousseau, mastro sellaio, racconta che l’anno prima al “Ferro di Cavallo” della Courtille, aveva assistito al “matrimonio di un giovane fabbro, cioé, l’avevano corrotto a fare un’infamità per la prima volta”. Questa cerimonia è riportata da numerosi testimoni. Altri racconti di simili assemblee completano la nostra informazione. Il ragazzo può essere carezzato da tutti, poiché non si celebra la sua unione con qualcuno, ma il suo ingresso in un gruppo. L’assemblea oscilla tra i 15 e i 30 partecipanti. Le tende del cabaret vengono chiuse. Si balla, si mangia, si beve, ci si traveste ma, anche se queste riunioni sono delle occasioni di rimorchio, tuttavia sembra che più spesso l’infamità non venga commessa sul posto: “Ha voluto smaneggiare un suonatore di violino, e la compagnia lo ha rimproverato per la sua sfrontatezza”.
Riti di passaggio
Queste cerimonie del 18° secolo somigliano molto, nella loro forma, alle descrizioni dei “riti di passaggio” analizzati dagli etnologi, e la loro rete di interpretazioni ci può aiutare a capire quello che vi succede. Questi riti marcano lo sviluppo sociale dell’individuo (nascita, pubertà, matrimonio, morte). Sono caratterizzate da un abito speciale (divisa elegante o travestimento scherzoso), un cibo speciale (bisboccia o astinenza), un comportamento speciale (sobrietà o licenza). Il matrimonio è spesso considerato come un’iniziazione: è l’aggregazione di un estraneo ad un gruppo, ed i riti ne rendono testimonianza. Pasti in comune, regali di abiti, attaccamenti reciproci... Nella maggior parte delle cerimonie il sesso è vietato, ed il coito finale può ancora essere interpretato come un rito di aggregazione. Questo breve riassunto dei costumi matrimoniali in uso presso i popoli cosiddetti primitivi, permette di scorgere una certa somiglianza con il matrimonio parigino.
Dunque, i sodomiti capivano che il posto riservato al loro gusto dalla società nella quale vivevano, li isolava come un popolo particolare. Il novizio subiva una iniziazione che metteva fine al suo stato di uomo naturale, per introdurlo in una cultura. Ma si può dire che costituisse una cultura propria dei sodomiti parigini? Il fabbro è diventato altro dopo il suo matrimonio?
Spazi di sociabilità
Le diverse assemblee degli anni 1730/1740, non sembrano assumere un ruolo di luoghi deputati al sesso (numerosi spazi per battere già esistevano nella Parigi di allora), ma piuttosto quello di luoghi sociali. Chi li frequentava? Vi si scopre poca gente senza arte né parte. I provinciali celibi appena arrivati nella capitale, che non hanno trovato ancora un minimo di stabilità sociale, frequentavano soprattutto i giardini alla ricerca di qualcuno disposto a pagare per riceverne i servizi. Spesso si definivano “domestici senza condizione”, per evitare di essere rinchiusi all’”Hôpital Général”. Le riunioni mettono insieme soprattutto quelli che hanno conquistato un minimo di rispettabilità sociale. Tra i tanti, vi si trova un fabbricante di nastri, un impiegato della Compagnia delle Indie, un ebanista, uno scultore, un ufficiale del porto delle granaglie, un chincagliere, un ragazzo pasticciere, un muratore, un pittore, un orologiaio, un vinattiere... Certo, sono delle condizioni molto più instabili dei giorni nostri, e ognuno di loro può ben presto precipitare nella miseria, ma non sono rappresentativi di quelli che non hanno veramente niente, così numerosi a Parigi che, ad ogni cattivo raccolto, ad ogni periodo di crisi negli approvigionamenti, si gonfia d’una massa di provinciali affamati. Qui siamo piuttosto nel mondo dell’artigianato, del piccolo commercio, della bassa amministrazione. Nel 1749, molti abitano nel quartiere Saint-Antoine e nella sua periferia, da una parte all’altra della Bastiglia. L’affermazione dei diritti, anche particolari, dei loro corpi, è forse una delle forme primordiali della loro coscienza di classe.
Aristocratici e plebei
Un pamphlet apparso alla fine del 17° secolo e attribuito a Bussy-Rabutin, “La Francia Diventata Italiana”, afferma che a Versailles esisteva un’associazione segreta di cortigiani sodomiti. Avevano scritto degli statuti, costituito una gerarchia, e cercato di farvi partecipare qualche principe di sangue reale. Anche se la storia non fosse vera, dei nobili si sono effettivamente riuniti in consorterie intorno al loro gusto, sviluppando delle abitudini comuni di linguaggio e di pensiero, appoggiandosi all’entourage di Moensieur, il fratello del Re, e talvolta incoraggiando le nuove idee filosofiche. Quando gli appartenenti al popolo si riuniscono a Parigi, a loro volta, e forse in altre grandi città (ma questo è da verificare, poiché non ci sono studi sul 17° secolo), con uno spostamento nel tempo, riprendono questo modello aristocratico per conto loro. “Mi ha detto: Voi non amate le donne non più di me, ed è di moda a corte. Non ci sono più che uomini che vi presiedono. Le donne non vi hanno più scelta” (1736).
Nel 1784, Mouffle d’Angerville sostiene che questa peste ha guadagnato tutta la città a partire dalla gente “di condizione”. “Questo vizio, che una volta si chiamava il bel vizio perché non colpiva che i gran signori, le genti di spirito o tra gli adoni, è diventato così di moda che oggi non c’è nessuno, tra gli Ordini dello Stato, dai duchi ai lacché, che non ne sia infettato”. Illusione tenace e generale: la verginità del popolo. Dal 1723, su 44 arresti, non ci sono che 8 persone “di condizione”. Mouffle d’Angerville pensa che ci siano più sodomiti alla fine del secolo che all’inizio. Ma forse ciò dipende dal fatto che i sodomiti del popolo si distinguono più di prima. Tuttavia conferma un’impressione: la diffusione del modello aristocratico tra i sodomiti parigini.
Il modello aristocratico
Le descrizioni delle assemblee esprimono l’idea di un luogo elitario e chiuso: la Corte, un convento, una famiglia, un popolo. Nel 1733, un libro apparso ad Amsterdam e chiaramente scritto in un ambiente aristocratico, “Aneddoti per Servire la Storia degli Ebugors”, racconta in modo piacevole la guerra del popolo Ebugor (“Bulgaro”), contro le "Citeree", le donne che avevano reagito alla loro crescente intraprendenza sugli uomini.
Gli Ebugors misero l’assedio alla città delle Citeree. Dopo diverse peripezie, le due nazioni firmarono un trattato di pace dov’era stipulato quanto segue: gli Ebugors insieme ai loro alleati Brularnes (Branleurs=Vacillanti), “torneranno nei rispettivi Stati”, “Gli Ebugors non amplieranno di più il loro dominio a causa degli inconvenienti che ne risulterebbero per il bene comune. Potranno vivere secondo le loro leggi ed i loro usi, ma non denigreranno più, come hanno fatto fino ad oggi, il governo delle Citeree”.
L’idea di una nazione con leggi particolari è qui nettamente espressa. Gli Ebugors, d’altronde, si riconoscono grazie ad una “sacra livrea”. ”E’ un nastro di color rosa, o altro, che attaccano ordinariamente di dietro, alla cintura della culotte, a mo’ di fontange (dal nome di M.lle de Fontanges, favorita di Luigi XIV°)”.
Nel 1739 una commedia manoscritta, “L’Ombra di Deschauffours”, mette in scena alcuni nobili e due sottufficiali famosi per aver arrestato dei sodomiti. I responsabili sono chiamati “Conisti” (da “con”, che significa “idiota”, ndt). Tuttavia, “i Bulgari e i Conisti non hanno il loro piacere nel loro amore?”. Un poliziotto descrive dei giovani sodomiti: “Abbiamo arrestato dodici giovani vicino Saint-André-des-Arts, che avevano del fard e dei finti nei al culo, come le puttane ce li hanno in faccia, e poi nodi e fibbie legati alla cintura”. I suoi interlocutori: “Voi siete buffo e clericale nel voler riformare il gusto del genere umano... In natura ognuno ha la sua inclinazione... L’inclinazione ha il suo verso al momento della nascita... Come riformarla, senza avere su di lei piena autorità?”. Dunque, questi esempi mostrano che, nell’aristocrazia, si considerano i sodomiti come un insieme di persone dagli interessi comuni, dal comportamento simile. I personaggi messi in scena difendono i loro gusti spiegando che sono fisiologici.
Nelle riunioni popolari, questa nuova identità influenzata dalla “moda aristocratica” si manifesta con dei soprannomi, dei rituali, con l’adozione di maniere e di espressioni particolari. Nel 1735, J. Baron, un mastro birraio, organizza un dîner nel suo albergo, sulla via della Posta, ai Porcherons. “Gli altri vennero da noi, abbracciandoci e dicendoci: Buongiorno, signore. Baron si coprì il capo con una guarnizione da donna, simile alle acconciature delle dame di Corte. A tutti noi mise dei pompon tra i capelli, dicendo che lui era la maritata. Si mangiò, e durante il pranzo si parlò di mille infamie”. Nel 1737, Auisse, un lavandaio, “tiene assemblea d’infami tutti i martedì pomeriggio, mentre sua moglie è alla Rivière, la chiama Consiglio, e dice pure che da’ udienza in quel giorno”. Tra i soprannomi che ci si da’ a vicenda, dopo il 1706 si trovano: “Il Signor Gran Maestro”, “La Madre delle Novizie”, “La Signora di Nemours”, “La Duchessa Duras” e, più spiritoso, “La Baronessa delle Spille”.
Certe maniere sono egualmente copiate dalle dame di Corte: riverenza en femme, uso della parola madame. Nel 1737, un informatore della polizia si sente chiedere se al Lussemburgo “c’erano persone dell’ambiente”. Le parole che rinviano a un codice, a un mondo parallelo, si moltiplicano: “Dunque, è una sorella (1736)”. “Eccone uno che ha proprio l’aria di esserlo. Separiamoci e vediamo che cos’è quella sorella. E’ un termine d’infame (1748)". Poiché un ragazzo non risponde alle avances, “si son detti l’un l’altro, lasciamolo andare, non capisce il latino (1748)”. Infine, nell’aprile del 1749, un certo Feuillon, mastro scultore, si sente chiedere ad una “partita”, prima che ognuno si tolga i pantaloni, se vuol essere massone. Il modello è chiaramente una società segreta, dai poteri occulti importanti sotto Luigi XV°, e dalle idee filosofiche avanzate.
Una identità minoritaria
L’elaborazione di un’identità minoritaria conduce certe persone a escludersi dal movimento. “Si era ritirato da quell’assemblea poiché c’erano troppi scandali. Parecchi contraffacevano le donne e facevano dei gesti che denotavano ciò che erano. Spesso ne riprendeva parecchi dicendo: Non potreste assumere le maniere d’un uomo, invece che quelle di una donna?" (1748, Mandrel, pittore). Lo stesso anno, un chincagliere di nome Thomas, disse ch’era dispiaciuto d’essere andato a quell’assemblea della Courtille, “perché non gli piaceva la compagnia e perché tra quella gente c’era qualcuno che aveva delle intenzioni troppo licenziose”. Nel 1749, nel corso di una partita a sette durante la quale lo avevano chiamato “zia”, e si erano dati dei nomi femminili, Boudin, un venditore di stracci, esclamò: “Come! Siete degli uomini e vi date dei nomi di donne?”. Queste persone raggiungono quelle che, per prudenza, si escludono da ogni gruppo. “Gli ho chiesto se non conosceva nessuno. Mi ha risposto di no, che succedeva solo durante gli incontri" (1738, sposato). “Ha sempre preso le sue precauzioni per non essere conosciuto da quelli che hanno fatto delle infamie con lui ed è questo che lo impegna ad isolarsi dal suo quartiere" (1748, un vinattiere vicino la Bastiglia). Gli altri accettano il taglio che questa identità particolare impone con l’ambiente, identità della quale la forma più esteriore è l’effeminatezza. Uno studio particolare sarà necessario per comprendere il senso, in Occidente, di questa particolare auto-trasformazione. Bruno Bettelheim suggerisce che l’effeminatezza o il travestitismo marchino il rifiuto del ruolo maschile adulto prescritto dalla società. Ma l’utilizzazione delle teorie psicologiche contemporanee è delicata, nella Storia. Si trovano poche persone veramente rivendicative; soltanto delle punte di aggressività contro la polizia. Tuttavia, negli anni dopo il 1720, molta gente dichiara: “E’ stato di quel gusto per tutta la sua vita” (parecchi esempi nel 1723), oppure, “I suoi piaceri ce l’aveva nel sangue” (1724). E’ un modo di contraddire la tesi poliziesca della corruzione provocata da un estraneo. Utilizzano la stessa idea dei nobili nell’”Ombra di Deschauffours”: poiché il suo gusto è congenito, nessuno può nulla contro di lui, quindi non è un peccato. Ma a partire dal 1730, qualcuno afferma in modo più aggressivo i buoni fondamenti del proprio gusto: “Non c’è più mistero a dormire con un ragazzo che con una donna” (Abbé Clisson, 1738). “E’ un buggero e se ne fa’ onore” (1748, il figlio di un sarto). Nel 1749, un certo Martin di 28 anni, vinattiere, dichiara ad un commissario che “sebbene non abbia alcuna vergogna di fare delle azioni indecenti, se n’è vergognato quando le ha dovute confermare l’anno scorso”, davanti al luogotentente di polizia. E’ la riprovazione sociale che lo disturba, non l’atto. Qualcuno (studente di medicina, prete) che si trova in mezzo tra la piccola borghesia e la gente “di condizione”, distingue tra “quelli che pensano in quel modo”, e quelli che “pensano differentemente da lui”. All’interno di una parte della nobiltà e della borghesia vengono elaborati dei concetti filosofici che scuotono le vecchie tradizioni morali. Anche se la piccola borghesia segue direttamente queste speculazioni d’avanguardia, certi concetti generali si sono senza dubbio popolarizzati durante il secolo, come i diritti dell’individuo di fronte allo Stato, ad esempio. Andando più lontano, a partire da altre fonti, si scoprirebbe forse che queste persone possedevano altri riferimenti culturali in comune, delle vedettes favorite (attori o ballerini), degli spettacoli sui boulevards dove si ritrovavano. Così, si saprebbe con maggior precisione in che misura la cultura della Corte si era diffusa negli ambienti sodomitici più popolari. Che parte ha avuto la derisione-fascinazione. Questa attitudine portava ad un conformismo sociale o, al contrario (un sogno impossibile: condurre una vita aristocratica), ad una volontà di rovesciamento? Come un segno di questa evoluzione d’identità, a partire dal 1738 i poliziotti non usano più, in generale, la parola sodomita, che ricorda un atto interdetto da Dio, un peccato mortale, ma la parola pederasta (e non nel suo significato etimologico), che non è d’origine religiosa e indica più distintamente un tipo di persona. La parola già esisteva nel 17° secolo (la si trova con Théophile de Viau), ma la polizia non sembra averla usata prima del 1738. Alla fine del secolo, lo scrittore Restif de la Bretonne non parla che di “effeminati” nelle sue “Notti di Parigi”. Un testo poliziesco degli anni 1750 utilizza “antifisista” (“antifisico”), ed il pamphlet “I Figli di Sodoma all’Assemblea Nazionale”, usa “antifisici”. Tanto “pederasta” che “antifisico” verranno largamente usati fino al 19° secolo. Una tappa sembrava esser stata raggiunta nel giudizio portato su questo gusto: la medicina, studiando la natura dei corpi umani, e la polizia, abbandonano definitivamente la vecchia argomentazione religiosa.
Nascita di una razza
“La Francia Diventata Italiana”, il pamphlet apparso alla fine del 17° secolo, e attribuito a Bussy-Rabutin, del quale si è già parlato, afferma che esisteva a Versailles una società segreta, la nuova coscienza di un’identità diversa. “Esaminate la sua formazione: vi troverete delle differenze totali con quella degli uomini che non hanno ricevuto questo gusto da spartire. Le sue chiappe saranno più bianche, più paffute. Non un pelo farà ombra all’altare del piacere il cui interno, tappezzato d’una membrana più delicata, più sensuale, più sensibile, si troverà dello stesso genere che all’interno della vagina di una donna. Il carattere di quest’uomo, ancora diverso da quello degli altri, avrà più morbidità, più flessibilità. Gli troverete quasi tutti i vizi e tutte le virtù delle donne. Vi riconoscerete finanche le loro debolezze. Tutti avranno le loro manie e qualcuno dei loro tratti. Sarebbe possibile, dunque, che la natura, assimilandoli in questo modo alle donne, possa irritarsi se hanno il loro gusto? Non è chiaro che si tratta di una classe di uomini differente dall’altra, e che la natura li ha creati per diminuire questa propagazione, della quale la troppo grande diffusione gli nuocerebbe infallibilmente?”
Nascita del “Terzo Sesso”. Già sembra di vedere Tardieu, e i medici del 19° secolo, pesare i corpi alla ricerca dei marchi fisici dell’omosessualità (l’ano a forma di imbuto, per esempio), o anche le ricerche di Hirschfeld. Il personaggio del corrotto, poco o tanto bisessuale, scompare, così come l’idea comune che ognuno di noi è più o meno buggero. L’elaborazione di una identità particolare conduce alla nascita di specifiche rivendicazioni. Ne “I Figli di Sodoma”, c’è il libero esercizio della sodomia e della non-denuncia all’”Hôpital Général” delle malattie veneree. Ma questo “bel vizio” non è più contagioso, perché è congenito. L’omosessuale resta solo di fronte al medico e al poliziotto.