Tempo fa mi capitò davanti agli occhi una bellissima foto pittorialista, anni '20, con un giovane biondo e nudo sotto una cascata. Era firmata Nelly's e perciò pensai subito fosse opera di qualche sconosciuto artista gay tipicamente americano.
Mi sbagliavo alla grande.
Ci vollero anni perché, casualmente, mi venisse tra le mani un catalogo d'una mostra ateniese dedicata alla fotografa Elli Souyioultzoglou-Seraìdari, nata nel 1899 vicino a Smirne, oggi città turca, fuggita in Grecia con la famiglia a causa del primo conflitto mondiale.
Proprio per praticità, quando aprì un suo studio ad Atene nel 1924, adottò il facile nome d'arte di "Nelly", già usato durante i suoi studi di pittura e musica, e poi di fotografia, nel 1920 a Dresda, in Germania.
Scomparsa nel 1998, praticamente centenaria, aveva donato tutto il suo archivio di trecentomila scatti all'ateniese Benaki museum. Nel 2001 le è stata dedicata una mostra anche a Bolzano.
Malgrado ciò, il suo nome non ha ancora raggiunto la fama internazionale che le spetta. Già celeberrima in patria, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, dal 1939, si stabilì col marito pianista Angelos Seraidari a New York, dove aprì un nuovo studio fotografico.
Nel 1940 persino la prestigiosa rivista "Life" le offrì una copertina, considerandola una vera ambasciatrice nella comunità dei rifugiati greci in Usa.
Lì rimase fino al 1967, dedicandosi a reportages e foto di moda.
Eppure gli scatti per cui è maggiormente ricordata risalgono ai suoi primi anni ateniesi, quando fotografò, nude, ballerine classiche tra le rovine dell'Acropoli, suscitando notevole e involontario scandalo.
Erano gli anni in cui la danza moderna s'era rinnovata sul credo neo-classico fondato da Isadora Duncan e aveva un'importanza fondamentale, oggi del tutto inimmaginabile, nel campo delle arti visive.
Già a Dresda, nel 1923, Nelly s'era esercitata con foto di ballerine nude della scuola della celeberrima modernista Mary Wigman. Lì aveva fotografato, in sfacciati nudi frontali, pure alcuni atleti, ben usi al naturismo, secondo una filosofia salutista tutta nordica.
Dal 1925 iniziò a fotografare nudi gli atleti greci al Partenone e giovani universitari impegnati a Delfi nelle messe in scena "all'antica" di Eschilo.
Nelle sue immagini c'è una continua ricerca del paragone tra i volti delle statue antiche e quelli dei greci moderni, perseguendo l'intento di sottolineare la similitudine tra il moderno e l'antico, per dimostrare la continuità tra i due mondi nella cultura greca contemporanea.
Non a caso fu ingaggiata dall'Ente del turismo greco, per cui rifotografò "ad arte" celebri ruderi del passato, monumentalizzandoli con un punto di vista prospettico in diagonale e "dal basso".
Procedimento appreso dalla Neue kunst d'avanguardia tedesca, che Nelly aveva ben saputo sposare col potente misticismo della pittura accademica simbolista imparato a Dresda.
Nel 1939 Nelly fu incaricata di documentare le olimpiadi di Berlino dove, contemporaneamente, pure la regista-fotografa nazista Leni Riefenstahl (1902-2003) - che curiosamente proprio nel 1923 era ballerina con la Wigman e Nelly forse conosceva bene - stava svolgendo un simile lavoro, ma al servizio di Hitler.
Eppure il processo di "monumentalizzazione" delle due artiste era agli antipodi. L'una, tedesca, inneggiava ai privilegi di razza, all'eroe-macchina da guerra perfetta, che incute rispetto e terrore con una bellezza glaciale impersonale, fatta in serie come un manufatto industriale. Un maschio-automa, senza una volontà propria, dalla sessualità matematica e riproduttiva.
In Nelly, invece, traspare la tranquilla fierezza d'essere gli eredi di una grande civiltà filosofica, fondata su intelligenza e bellezza.
Individui liberi, con Anima, e Corpo.