A oltre trent'anni dal processo Braibanti, ricordiamo uno dei casi più clamorosi di condanna della "diversità" riproponendo un articolo-intervista apparso su "Lambda" nel 1979.
Torino - 1979
Chi è Aldo Braibanti? Mi ha sempre incuriosito sapere chi fosse: quando fu condannato per "plagio" nel 1968 avevo appena 12 anni e non seguivo i quotidiani. La mia intenzione è quella di riproporre un breve sommario dei fatti e un'intervista con Braibanti, e per documentarmi meglio ho letto il suo libro Le prigioni di Stato, edito da Feltrinelli.
Nato nel 1922 a Fiorenzuola d'Adda (PC), Braibanti è laureato in Filosofia all'Università di Firenze, senza una professione precisa ma di fatto poeta, autore di saggi, testi teatrali e cinematografici, regista d'avanguardia e pittore.
Partecipa attivamente alla Resistenza, subisce sevizie e torture; aderisce al PC e diventa membro del comitato centrale; nel 1946/47 è tra gli organizzatori dei festival mondiali della gioventù a Firenze e Praga. Di lì a poco si dimette da tutte le cariche e abbandona la vita politica militante...
Nell'estate del '60 è in vacanza sul lago di Como in compagnia di Piercarlo Toscani, elettricista 19enne... Passano due anni e Braibanti si trasferisce a Roma, dove condivide una stanza con un altro giovane, il 18enne Giovanni Sanfratello, che aveva conosciuto quattro anni prima: era stato il fratello maggiore Agostino a presentarglielo, dato che la famiglia Sanfratello viveva a Piacenza.
Giovanni attraversa un periodo di crisi coi genitori e assieme a Braibanti viaggia per l'Italia, disegnando e studiando. Il ragazzo sa che il padre minaccia di farlo interdire e fa sparire le sue tracce, ma l'indirizzo della pensione romana viene scoperto e ricomincia l'assedio.
Il procedimento penale nasce da una denuncia presentata nel 1964 da Ippolito Sanfratello, il padre di Giovanni. Il 1° novembre 1964 l'uomo, assieme al figlio maggiore e altri due uomini, irrompono nella pensione dove Giovanni abita con Braibanti, lo caricano con la forza in auto e lo portano a Modena in una clinica privata per malattie nervose.
In seguito il ragazzo viene trasferito al manicomio di Verona, dove gli infliggono una serie di elettroshock. A 25 anni, dopo quindici mesi di internamento, Giovanni viene dimesso con una serie di clausole che andavano dal domicilio obbligatorio in casa dei genitori al divieto di leggere libri che non abbiano almeno cent'anni!
Al processo il "plagiato" spiega tranquillamente di "non essere stato soggiogato da Braibanti", mentre Piercarlo Toscani fornisce una versione del tutta diversa: "con forte potere suggestivo, appoggiato alla sua cultura di grado assai più elevato del mio, ha tentato di introdursi nella mia mente con le sue idee politiche... prese gradatamente a staccarmi da ogni svago, cominciò ad impedirmi le letture a me usuali dicendo che non servivano".
Il dr. Antonino Lojacomo durante la requisitoria del '68 afferma: "parlare di Braibanti è parlare di degenerazione, di ossessione, di miseria morale, di giovinezze macchiate e sciupate. Due ragazzi sono stati ridotti in totale stato di soggezione da un uomo che ha voluto plasmare le loro menti quasi distruggendole per sete di possesso e dominio, prima ancora che per perversione sessuale. Gli ha addirittura sottratti alla famiglia, agli amici, agli studi, li ha isolati e assorbiti con pazienza... Braibanti ha invaso il mondo intimo dei due ragazzi, immettendo in essi ciò che voleva venisse immesso. Chiedo una pena esemplare, affinché nessun professoruncolo domani possa venire a togliere la libertà a un innocente...".
Pochi giorni fa ho potuto conoscere Aldo Braibanti; non credevo di riuscire ad avere un rapporto personale con lui, immaginavo di poterlo intervistare e poi chiudere, invece abbiamo avuto la possibilità di rivederci, di frequentarci e diventare amici. Qui di seguito riporto le risposte alla mia intervista.
Al processo sei stato condannato a nove anni di carcere, però non hai scontato tutta la pena. Per quale motivo?
Perché il processo, che era stato costruito con un'operazione alchemica affinché servisse a certe operazioni del potere in un determinato momento, usciva dal suo scopo. Bisognava trovare un compromesso secondo cui potevo essere rimesso in libertà e i giudici non ci facessero una figura di m... Hanno fatto coincidere la condanna d'appello con i giorni della mia liberazione. Sono stato condannato a sei anni, di cui due trascorsi in prigione, due di condizionale e due condonati perché partigiano.
Secondo te qual è il vero motivo per cui ti hanno condannato?
Penso che sia la conseguenza inevitabile di un certo tipo di barriera: si voleva bloccare quella che si credeva un'ondata di ribellione e distruzione delle istituzioni. Il processo non era altro che un tentativo per salvare i baroni. Non dimentichiamo che avveniva prima della lotta contro il divorzio, contro l'aborto e soprattutto che la possibilità di rimettere in funzione il plagio poteva servire a una certa Italia.
In questo processo ti sei sentito una vittima?
Credevano tutti di riuscire a farmi sentire tale, ma non è accaduto. Ho sentito vittima quelli che subivano la mia stessa situazione senza rendersi conto che erano strumenti docili in mano al potere. Non ho sentito il mio processo diverso da quello del più umile ladro di polli: vi assistevo come uno spettacolo al quale ero completamente estraneo.
Pasolini su "Tempo illustrato" afferma che una delle cause della condanna al processo è la tua debolezza, nel senso che tu non avevi valori precostituiti, un aggancio a un sistema di vita, ad un modello culturale...
Penso che una delle cose a cui non vorrei mai rinunciare è la mia impossibilità ad avere dei valori, a costo anche di distruggere volta per volta le maschere che si accumulano su di me, se si tratta di scegliere fra una possibilità di gestire un periodo lungo o breve di potere e quella di commettere il peccato di un gesto d'amore di una sola ora.
Dei ragazzi citati al processo, Piercarlo Toscani e Giovanni Sanfratello, il primo depose contro di te mentre l'altro, nonostante le violenze subite, affermò di non essere stato plagiato. Per quale motivo questa differenza?
Giovanni era libero di urtarsi contro la schiavitù da parte del potere, l'altro era solo un burattino pagato.
Giovanni affermò: "Né io né Braibanti siamo invertiti, debbo escludere che il Braibanti lo sia e a me piacciono le donne". Secondo te disse questo per difesa?
Sì e no, in quanto né io né lui avevamo mai escluso le donne. Anche se per Giovanni era tutta una chiave ossessiva rispetto al problema femminile che aveva un'origine molto lontana nelle sue tradizioni familiari, ma è un altro discorso...
Toscani ti accusò parlando di imposizione da parte tua nel leggere alcuni libri, nel rimanere chiuso in casa... Come poté permettersi di dirlo?
Lui e io stiamo giocando e gli domando se ha fatto il boyscout: mi dice di sì, abbiamo fatto come i pellerossa il rito della fratellanza di sangue. Cos'è in mano ad un uomo che manipola le anime degli altri questo, se non una magia nera in funzione del soggiogamento dell'individuo? Ma cosa vuol dire se gli dico "ti amo"? Come posso dire a lui "ti amo" se io sono io e lui è là. La magia nelle parole! Non c'è gesto di dedizione totale che non possa apparire come una forma di violenza là dove esiste la virtù e quindi esiste il peccato; dove non c'è virtù non c'è peccato.
Perché nel 1947 abbandonasti il Partito comunista?
Perché dalla Resistenza avevo imparato che si poteva costruire un mondo senza centralismo democratico e poi ho scoperto che tale centralismo era un forma di riorganizzazione della società che serviva a scopi che potevano essere considerati utili e buoni, ma che non potevo accettare perché avevo vissuto la Resistenza in chiave libertaria, se vuoi anarchica. Quindi da amico e alleato dei comunisti sono rimasto gelato quando ho capito che avevano già scelto tutto il loro programma. Non mi impegnavano a seguire il loro governo: non lo avevo scelto io che fossimo fratelli, erano i fascisti che ci avevano costretto ad esserlo.
La cultura di Sinistra ti è venuta incontro? Gli intellettuali hanno firmato appelli per la tua liberazione?
È successo che quando uomini come Cartoni, Pannella, Greco hanno cominciato a difendermi, pur non avendo chiesto aiuto a nessuno, pian piano sono arrivati gli altri, quelli della "cultura ufficiale": Moravia, la Morante ecc. Tra questi, chi si è comportata meglio è stata proprio la Morante, che mi ha scritto una lettera molto bella. Il mio processo era una passerella della cultura romana. A un certo punto hanno capito che dovevano fare qualcosa per difendere se stessi; quando si è capito che l'attacco era contro la cultura di Sinistra allora si è mosso anche il PC, quando ha capito che non sbagliava tasto.
Cosa hai in comune con Pasolini?
Abbiamo fatto negli stessi momenti scelte completamente diverse. La sua l'ha portato a distruggersi, quasi a scegliere il momento della sua morte; la mia mi porta ad essere qui a Torino, dove sono ancora libero di non morire.
Tu non hai mai fatto politica in un gruppo omosessuale. Credi nell'utilità del movimento gay?
Non farò mai il militante omosessuale, ma non mi piace dare un giudizio. Però penso che i movimenti gay e gli altri di questo tipo siano molto importanti, hanno la funzione di preparare molte persone che altrimenti sarebbero incapaci di inserirsi nella militanza, a sentirsi pari a coloro che credono di essere già pari e di poter combattere per la rivoluzione.
Noi non chiediamo il diritto all'uguaglianza ma alla diversità...
Il diritto alla diversità è l'anticamera al diritto alla convivenza. Sono d'accordo con te che per combattere la tolleranza i movimenti gay hanno una funzione importante ma sotto la chiave della convivenza i movimenti sono l'anticamera a smetterla con la ghettizzazione che è appunto una fase, che in un secondo momento deve essere superata.
2005
Aldo Braibanti, oggi 83enne, si trova in precarie condizioni di salute ed economiche. Un gruppo di parlamentari ha presentato anni fa un'interrogazione di governo per fargli assegnare un vitalizio. Il primo firmatario fu Franco Grillini, il quale mi ha spiegato: "Non ho ancora avuto risposta all'interrogazione, che pure è stata firmata da 80 deputati, tra cui l'ex ministro per i beni culturali Melandri. Purtroppo non siamo riusciti a fare molto...".
Sul caso, Gabriele Ferluga ha basato la sua tesi di laurea, dalla quale ha poi tratto il libroIl processo Braibanti (Zamorani editore), che l'autore ha presentato lunedì 29 marzo 2004 presso il circolo Tralaltro a Padova.