Billy don't fall (1989). Un clip coraggioso sui gay e l'Aids, di Terrence Trent d'Arby

Questo è un video contraddittorio, ma proprio per questo ancor più significativo dell'epoca in cui fu prodotto.

La colpa è in parte anche della canzone, che vuol essere una denuncia delle tragedie che, nell'indifferenza di troppi, stava causando l'epidemia di Aids, esplosa da non molti anni. Poiché gli attori sono tutti neri (e questo è anche il primo video d'un cantante nero ad affrontare il tema dell'omosessualità), è indubbio che questo clip possa vantarsi di aver contribuito allo sforzo di coscientizzazione della comunità nera (e non solo di quella).
Ovviamente, però, a parlare di drammi umani si finisce per fare una canzone drammatica. E questa lo è...

Billy era un ragazzo solare e positivo, che amava i ragazzi, e non capiva perché lo si prendesse di mira per questo. Ciò lo aveva portato ad appoggiarsi sempre più al suo amico, l'io narrante della canzone, al punto che questi era stato costretto a rivolgergli una preghiera: quella di non innamorarsi di lui, dato che non essendo gay non sarebbe stato in grado di corrisponderlo.

Purtroppo però un giorno Billy si ammalò e

la sua vita sfumava nel grigio;
cercò di aggrapparsi a briciole di famiglia
ma tutti i suoi cari cacciarono Billy.
Billy morì giovane,
la faccia nel vento,
e fra tutto, ciò che m'è spiaciuto di più,
è stato vedere odio e paura uccidere un amico.
Ebbene: a mio parere il linguaggio poetico della canzone permette l'anacoluto logico di passare senza ulteriori spiegazioni dal racconto dell'omosessualità di Billy a quello della sua morte per malattia, perché il linguaggio parlato è una "macchina pigra" che può trasmettere poche informazioni soltanto, lasciando a chi ascolta il compito di riempire i vuoti della narrazione, secondo la sua sensibilità.
Viceversa, il linguaggio delle immagini produce contorni molto più netti e drastici, meno "interpretabili". Specie poi se è il regista a scegliere di drammatizzare ulteriormente la narrazione. Per esempio, la tenera invocazione del cantante affinché Billy non s'innamori di lui perché lui "non è quel tipo di persona", è trasformata dal regista in una scena in cui il cantante getta letteralmente in mare Billy, colpevole d'avere reso un po' troppo "solidale" un abbraccio di solidarietà del suo amico. Billy, bontà sua, la prende sul ridere, ma avrei voluto vedere io se fosse stata una donna a fare lo stesso al cantante...

Ma anche senza questa scelta di drammatizzare, sarebbe stata comunque la pregnanza emotiva delle immagini a rendere assai più brutale lo stacco brusco fra le scene di Billy che frequenta il cantante, o che passeggia di notte abbracciato a un altro uomo (ed è aggredito da un gruppo di omofobi!!!) e quelle in cui è in un letto d'ospedale a tossire a morte, o quella conclusiva in cui il cantante passeggia in un cimitero in cui appare il nome di Billy su una croce... Immagini "pesanti", non c'è che dire: molto più delle parole.

Ciò detto, non credo che il regista possa essere accusato alla leggera d'omofobia. Da parte sua si nota infatti lo sforzo sincero di uscire dagli stereotipi, a partire dalla scelta di presentare Billy agli antipodi dell'immagine stereotipica del gay: un bel ragazzo, sportivo, virile, che tira di boxe.... (come non innamorarsi di lui?).
Concluderò quindi, tutto soppesato, che nella drammaticità di quel frangente occorreva fare una scelta drastica fra il bisogno di combattere lo stereotipo che dice "chi sceglie quel tipo di vita è destinato a fare presto una brutta fine", e il bisogno di combattere un'epidemia che stava facendo fare una fine orrenda a decine di migliaia di persone, nell'indifferenza generale.
A mio parere il cantante e il regista fecero la scelta giusta: occorreva denunciare, anche a costo di rischiare di rafforzare certi stereotipi, per salvare con urgenza vite umane. E quindi qui abbiamo una canzone e un clip di denuncia. Un bel video ed una bella canzone, oltre tutto.

Il problema è solo che oggi è più difficile capire d'impulso le motivazioni profonde di quelle scelte artistiche, dato che ormai la drammaticità stessa dell'epidemia causata dall'Hiv è stata in gran parte arginata. All'epoca una diagnosi di sieropositività era quasi sempre una condanna a morte entro pochi anni, oggi invece per fortuna, almeno in Occidente, non lo è più. E quindi l'impatto emotivo d'un video come questo ci risulta ben diverso, rispetto al 1989.

Un fan ha scritto sulla pagina di Youtube di questo video:
"Sananda" [Sananda Maitreya è il nuovo nome d'arte che s'è scelto oggi Terence Trent d'Arby, NdR] "era troppo avanti rispetto al suo tempo per noi persone terra-terra. Che grande canzone, e lezione, per noi...".
Ovviamente i fans esagerano sempre un po'. La canzone non era infatti "troppo avanti" per i suoi tempi: al contrario, era perfettamente centrata per quel tempo e quel contesto.
E pazienza se proprio questa sua adeguatezza al momento per cui fu prodotta la rende lievemente sfasata rispetto alla sensibilità dei giorni d'oggi, dato che se non teniamo presente il contesto di allora rischiamo di leggerlo solo come un messaggio che dice che, se sei gay, ti becchi l'Aids e crepi...

Ma farlo sarebbe un errore, e sarebbe anche un peccato, dato che - sia pure con qualche contraddizione (buttare in mare uno che t'ha baciato sulla guancia resta pur sempre un comportamento da babbuino!) - rimane un bel video, scritto per una bella canzone.
Da guardare.
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