recensione diGiovanni Dall'Orto
Bacio della donna ragno [1976]
Messa nella stessa cella con un duro maschio guerrigliero, con il compito di estorcergli confidenze sui suoi compagni di lotta in cambio della libertà, Molina, una checchina del tutto priva di coscienza politica (è in carcere per corruzione di minore) inizia il suo compito irretendo il compagno (da qui il titolo "donna-ragno", versione terra-terra della donna-pantera di uno dei suoi film preferiti) nella lussureggiante descrizione di film hollywoodiani.
E non solo quelli: tra le visioni che l'hanno fatta sognare da piccola nel suo paesello sperduto nella pampa argentina c'era anche una buona dose di ciarpame propagandistico nazista, di cui non ha percepito il messaggio, limitandosi a notare la bellezza esteriore di uomini e donne, schiava a sua volta dell'aspetto glamorous del cinema, del suo potere "irretente".
La capacità di affascinare con questo mondo di sogno, del tutto distaccato dalla realtà in cui il guerrigliero è (fin troppo) immerso, riesce infine a far breccia nel compagno di cella, fino al punto da portarlo a fare sesso con Molina.
Ma a questo punto Molina, lungi dal trionfare, cade vittima della sua dipendenza dall'ideologia dei fotoromanzi di cui si è nutrito: innamoratosi del suo compagno, l'amore gli rende impossibile il ruolo di spia, e infine lo porterà a perdere la vita per questo. Come in un dannato film hollywoodiano.
Un'opera magistrale, provocatoria, giocata sul contrasto fra un personaggio tutto razionalità e niente sentimenti, e un altro che ascolta in primo luogo la voce del cuore.
Sfortunatamente il celebre film che ne è stato tratto annacqua eccessivamente la dimensione di opera polemica filo-omosessuale di questo romanzo, trasformando a mio parere la "checca" in una semi-macchietta, per quanto magistralmente recitata da William Hunt.