Dolcezza, La. Quando l'ossessione amorosa uccide

19 luglio 2008

Mi ha lasciato con l'amaro in bocca, la lettura di questo romanzo.

Non tanto per il fatto che la vicenda ruota interamente attorno all'assassinio - con mutilazione e occultamento di cadavere - di un bambino, quanto per il fatto che si tratta dell'ennesimo romanzo che ha come tema il far letteratura. Un tema che so benissimo che ha i suoi appassionati, alcuni dei quali entusiastici... che però non includono me.

Tutto gira infatti attorno all'idea, che nella letteratura francese ha una lunga tradizione, dell'"atto gratuito", ossia del delitto compiuto per motivi estetici, fini a se stessi. L'autore arriva al punto di citare nel testo qualche autore di riferimento, come Jouhandeau, tanto per rendere esplicito il gioco, nel caso ci fosse sfuggito...
Ma avevamo davvero bisogno di un ulteriore romanzo sul tema (l'ennesimo), sia pure condito in salsa gay? Personalmente, io, no.

Intendiamoci, come molti iper-appassionati della letterarietà, anche questo autore conosce l'arte dello scrivere. Confeziona quindi un prodotto con tutti i crismi per essere "letterario", con tanto di stream of consciousness nel punto giusto, ed alternanza pirandelliana di punti di vista dei diversi protagonisti a perfetta regola d'arte, e poi colpi di scena piazzati nell'esatto punto in cui ci stava bene che ci fossero... E meritatamente, quindi, "è stato selezionato nel 1999 tra i finalisti del prestigioso premio Renaudot", come sottolinea orgogliosamente il risvolto di copertina.

Ciò detto, però, dal mio punto di vista la vicenda non "decolla" mai. Tutto è esattamente come ci si aspetta che "debba" essere, però il colpo d'ala che potesse sorprendermi non è arrivato mai.

L'ho letto con pazienza, raccogliendo gli indizi che diligentemente e con navigata capacità letteraria l'autore disseminava via via, sempre in attesa di un'illuminazione che mi spiegasse il senso di questo scritto. Che però non è arrivata.

Non c'è niente da fare: non ci si può mettere a tavolino dicendosi: "Adesso mi metto a scrivere un capolavoro letterario". Cosa costituisca un capolavoro lo decide il nostro momento storico, lo decidono gli altri, e non noi che scriviamo. Chi scrive può metterci la tecnica, che ovviamente deve esserci, può metterci la diligenza, che ovviamente deve esserci, ma l'arte è un "di più", è un ingrediente volatile la cui confezione non esiste in nessun libro di cucina letteraria...

È inutile illudersi sul fatto che raddoppiando la diligenza raddoppierà automaticamente anche l'artisticità. Il risultato potrebbe essere infatti levigato e perfetto e a tratti perfino squisito... ma del tutto gelido e spento, come questo libro.

La cui vicenda ci è narrata attraverso l'alternarsi di punti di vista dei protagonisti, appunto, di un delitto avvenuto in un campeggio estivo per l'infanzia.

Un bambino è stato ucciso senza alcun apparente motivo, poi il suo cadavere è stato mutilato e nascosto.

La motivazione è stata in realtà l'amore (posso svelarlo perché lo rivela il brano in quarta di copertina), ma i dettagli esatti della vicenda emergono solo a poco a poco, e non senza qualche "falsa pista" lasciata diligentemente dall'autore per aumentare la suspence.

Nel racconto si alternano più voci; la principale è quella di Steven, uno dei due bambini di undici anni coinvolti nel fattaccio, che è stato ricoverato in un qualche tipo di struttura manicomiale e vi è cresciuto a poco a poco, fino a raggiungere la maggiore età.

Steven è stato innamorato del suo complice, con il quale aveva rapporti sessuali, ed ha coltivato negli anni il ricordo di questo amore, in attesa di uscire dal manicomio e ritrovarlo. Ma l'uscita dal manicomio coincide invece, oltre che con la maggiore età, con l'uscita da quest'ossessione amorosa, e con un rapporto (più sessuale che affettivo, a dire il vero) con un altro ragazzo.

Accanto alla vicenda di Steven corre quella del fratello Baptiste, che ha iniziato una relazione con la direttrice della colonia, Aude, incontrata casualmente nel momento in cui la famiglia era stata convocata dopo il delitto, quella di Aude, e quella della famiglia di Steven e Baptiste, in primis la madre: tutte vite che sono state sconvolte e riempite di dolore e infamia dall'evento di quel momento.

Anche alla madre della vittima (Antoine) è concesso un breve monologo, che la rivela ossessionata e ancora imprigionata dall'evento. So che è stato giudicato da altri uno dei momenti più intensi del romanzo, mentre io l'ho trovato esattamente quel che mi aspettavo che dovesse essere un pagina del genere. "Bella letteratura", ma solo letteratura e null'altro.

A Jérémy, il piccolo complice di Steven, non viene invece data la parola.

Peccato per questo esito. Presa da sola, la vicenda dell'amore fra i due bambini è interessante e ben descritta, anche se non proprio nuovissima dopo Le amicizie particolari. Il mio problema è che non riesco a liberarmi dall'incombere dell'assassinio sul racconto, fin dalla prima pagina, e a prendere a cuor leggero quel sentimento.

Intitolare La dolcezza il romanzo è, a mio modo di vedere, del tutto inadeguato. Fosse stato La passione o La cecità amorosa, La follia che uccide, L'ossessione o La gelosia, avrei capito, ma la dolcezza è il solo elemento che in questo romanzo è del tutto assente.

A meno che - ed è purtroppo possibile - per "dolcezza" non s'intenda il soliloquio autoreferenziale di un piccolo assassino rinchiuso in un manicomio. In tal caso, mi dispiaccio per Honoré, che evidentemente non ha mai scoperto in vita sua cosa sia la dolcezza.

Riprovi, forse sarà più fortunato.

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