recensione diGiovanni Dall'Orto
Conversazioni con Testori [1993]. L'odio di sé cattolico di un grande scrittore omosessuale.
Quest'intervista, condotta poco prima della morte di Giovanni Testori da un giornalista cattolico, illumina molti aspetti del Testori artista e, purtroppo, anche del Testori uomo.
Untuosità e autoindulgenza si sprecano e sono in azione specie laddove, inaspettatamente, si parla d'omosessualità (pp. 31-33, 129-130 e passim; vedi inoltre le pp. 11 e 19-21).
Ed è patetico il modo in cui Testori reclama più volte l'intangibilità e il valore assoluto, in campo sessuale, di regole (cattoliche), che poi ammette senza problemi di aver infranto per tutta la vita, autoassolvendosi con un'indulgenza che la severità di quelle stesse regole escluderebbe a priori. Evidentemente Testori, da bravo italiano prima che da bravo cattolico, pensava che le regole valessero sempre e solo per gli altri, preferibilmente per quelli meno ricchi e meno potenti e meno famosi di lui...
Che per questo fatto Testori sia stato un uomo infelice (anzi, disperato: cfr. p. 70:
"Sempre, io do il meglio - o il meno peggio - di me nella disperazione e nell'amore.
Ossia: nella disperazione che si fa amore, e viceversa. Ci deve essere sempre qualcosa, però, che suscita amore e disperazione, o che mi riporti in questo stato")
è cosa che egli non vuole ammettere, ma che emerge fra le righe dai cenni alle sue crisi, ai suoi tormenti, ai suoi tentativi di suicidio.
Eppure quest'uomo, grande come artista, decisamente meno grande come essere umano, è presentato dall'intervistatore come esempio che tutti i gay dovrebbero seguire se desiderano far parte dell'Umanità:
"non ha quasi mai parlato della condizione degli omosessuali perché la parola 'omosessuale' gli dà fastidio.
È un'estromissione a priori dal novero degli uomini, un discrimine, un'apartheid" (p. 20).
Da parte sua Testori ritiene "lurida" (sic, p. 129) l'omosessualità vissuta apertamente; lui però si sente un uomo giusto perché quando la pratica, dopo averla praticata, ha la decenza di vergognarsi di averlo fatto.
Patetico.
L'intervista parla anche (pp. 56-61) dello scandalo provocato nel 1960 dall'opera teatrale di Testori, l'Arialda, per avere introdotto un personaggio omosessuale non negativo. Un episodio della nostra storia culturale piuttosto interessante.
Interessanti anche alcuni spunti sull'omosessualità nell'opera pittorica (Testori è stato anche un importante critico d'arte) di Theodore Géricault, Francis Bacon, Ottone Rosai e Filippo De Pisis (pp. 114-116).
Infine: l'attore anonimo di cui si parla a due riprese nel libro come di un amante di Testori è quell'"Alain" a cui sono dedicate molte (e bellissime) sue poesie d'amore.