recensione diGiovanni Dall'Orto
Frammenti di un discorso amoroso [1977].
Roland Barthes (1915-1980) è uno di quegli autori che o si amano o si detestano.
Ed io non appartengfo a coloro che lo amano.
A mio parere la sua compiaciuta oscurità non nasconde, come sostengono i suoi fans, una profondità particolare, ma l'esatto contrario: l'assenza d'una profondità che sia capace, oltre che d'autocompiacersi di se stessa, anche di dialogare con la sua contemporaneità nel linguaggio stesso della contemporaneità.
Nella pretesa di Barthes d'inventare un linguaggio nuovo che tutto il resto della società avrebbe dovuto imparare da lui, nonché nel suo atteggiamento da "guru alla moda" trovo quel tanto di ciarlatanesco che è tipico di qualunque guru, laico o religioso che sia.
In più, per qualcuno che ha preteso in vita d'essere maestro (anzi, Maestro) d'amore per gli altri, pesa il limite d'aver sempre vissuto la propria omosessualità come colpa segreta, da vivere di nascosto, lontano dagli occhi dei discepoli osannanti... e del Potere (accademico, culturale, letterario) da cui dipendeva il suo concretissimo benessere economico.
Ma che Maestro è quello che non è capace di dire o dare nulla di nuovo su un argomento tanto cruciale nel reticolo dei discorsi d'amore quanto l'omosessualità?
Forse un "maestro" che sa di stare bluffando, e d'essere alla fin fine un conferenziere salottiero. Che si limita a confermare i punti di vista e i preconcetti che il pubblico aveva già al momento d'entrare nella sala, ma confezionandoglieli in modo più elegante e prestigioso, in modo che tutti, all'uscita, si sentano molto "colti" e molto "filosofici". Da qui gli entusiasmi dei lettori che dicono, dope aver letto questo libro, "Ma è proprio come scrive lui!".
Di fronte a tanto reboare di Filosofia e Semiologia e Psicoanalisi, le testimonianze postume ci raccontano tutte una storia ben diversa, quella d'un Barthes che "batte", cercando di non farsi riconoscere (lui che la fama l'inseguiva), i cessi parigini alla ricerca di marchette extracomunitarie... E se tutta la filosofia contenuta nelle sue opere sull'Amore serviva per arrivare a questo, allora...
Se almeno Barthes avesse analizzato la contraddizione che generava nella sua vita la sua condizione umana di omosessuale, o la sua condizione di anziano respinto dal "mercato del sesso" giovanilistico gay, avrebbe potuto dire qualcosa di nuovo, e forse anche di rilevante. Ma questa è esattamente la scelta che egli non fece.
Questo Frammenti di un discorso amoroso ha avuto un successo strepitoso negli anni Settanta, al punto che non era quasi possibile una conversazione minimamente colta (specie in ambienti "di sinistra") senza trovarselo citato ad ogni piè sospinto.
Forse la mia antipatia per Barthes è nata da qui, dall'essere stato costretto a leggere come una specie di bibbia dell'amore un libro che stringi stringi era un'antologia d'aforismi di letterati, filosofi e (in dosi massicce) psicoanalisti alla moda, legati da aforismi di Barthes stesso, il tutto infilato come sfilza di voci in ordine alfabetico: "abbraccio", "abito", "adorabile" "affermazione", "alterazione", "angoscia", "annullamento", "appagamento", "ascesi", "assenza"...
Le "spiegazioni" sono di questo tipo:
"INDUZIONE. L'essere amato è desiderato perché un altro o degli altri hanno segnalato al soggetto che esso è desiderabile: per quanto speciale esso sia, il desiderio amoroso viene scoperto per induzione" (p. 112).
Chiaro, no?
In effetti il tono del volume è sempre quello del filosofo che riflette su filosofi (e psicoanalisti, da Freud a Lacan, la cui inopportuna presenza è debordante), cosicché la vita reale coi suoi problemi (e le sue gioie!) non "sporca" mai queste pagine. Non c'è mai l'amore, in queste pagine sull'amore. Si parla non della realtà, ma di quel che i letterati e gli psicoanalisti chiamano con questo nome.
Se a voi piace, il genere è questo: buona lettura. A me però non piace, come è palese fin dalla prima riga di questa recensione.
E l'omosessualità? L'omosessualità qui fa la figura della vecchia fata che ci si è dimenticati d'invitare al battesimo della Bella Addormentata: ci si accorge che manca da questo vortice di frammenti e citazioni solo se qualcuno si chiede dove sia mai, quando cioè è ormai troppo tardi per rimediare alla gaffe. Ed è un silenzio assordante, che rivela il limite dell'autocensura di questo autore.
Certo, mi rendo conto del fatto che se questo libro fosse stato intitolato "Antologia commentata di citazioni di filosofi e psicoanalisti sul tema dell'amore" sarebbe stata più veritiero, però non sarebbe mai diventato un best-seller. Anche il marketing vuole la sua parte...
E mi rendo conto pure del fatto che forse per chi leggerà Barthes oggi, a un quarto di secolo dalla sua morte, sarà possibile giudicarlo solo sulla base del testo stesso, senza l'interferenza fastidiosissima della sua figura mondana di guru tuttologo (se fosse vivo oggi, Barthes sarebbe il tipico intellettuale da "Maurizio Costanzo show").
Ma anche con questi "caveat", non me la sento di suggerire la lettura di quest'opera se non a chi abbia una particolare affinità per lo Strutturalismo francese degli anni Settanta o per la "Queer theory" (che ne deriva), ed è appassionato del "frammento, che tutto evoca e disperde" (come promette la quarta di copertina dell'opera).