recensione diGiovanni Dall'Orto
Negro, Il [1895] - Passioni "esotiche" fra marinai esotici.
La casa editrice gay "Playground" continua con la sua linea di scelte azzeccate, e ci propone qui, per la prima volta in italiano, un classico brasiliano del 1895, già disponibile in altre lingue da decenni: Bom-crioulo (letteralmente "Buon-negro", soprannome dato al protagonista in un periodo in cui era normale ritenere "cattivi" tutti i negri).
Non so se la scelta del disegno di copertina, moderno, sia stata felice, dato che l'interesse di questo libro sta in buona parte nel profumo "datato" di opera scritta a fine Ottocento. In effetti la copertina potrebbe forse forse un po' in inganno chi si aspettasse la solita storiella interrazziale ambientata nella New York dei nostri giorni. Magari una storiella politicamente corretta...
Niente di tutto questo. Il negro è una storia nata per essere politicamente scorretta, dato che narra di un erculeo negro, nato schiavo in un Brasile che la schiavitù abolì soltanto nel 1888, diventato marinaio, che s'innamora di un mozzo quindicenne ed un po' ambiguo, di razza bianca.
L'autore, un bianco, ufficiale di marina, rivela qui l'impossibilità di sfuggire ai preconcetti del proprio tempo, dato che la scelta di un negro è compiuta anche per rendere vieppiù più scandaloso per il piccolo borghese il suo romanzo di passioni contronatura (ci riuscì talmente bene che esso fu praticamente ostracizzato e dimenticato per decenni), ma un po' anche per avere a disposizione una figura stereotipica di forza bruta quasi animale, dalla passione istintiva e capace di violenza (ma anche di coraggio), non filtrata dalla cultura e quindi spontanea... il ritratto stereotipico del negro, insomma...
Stereotipico e datato anche il ritratto del ragazzetto amato, "callipigio", dai tratti un po' ermafroditi... un tipo di bellezza alla von Gloeden, insomma, che oggi non sarebbe più molto di moda. Ma ogni epoca ha i suoi canoni estetici.
Ma se un romanzo del 1895 viene giudicato degno di traduzione dopo tanto tempo, quando dei celebri romanzieri che fecero sognare milioni di contemporanei di Adolfo Caminha nessuno ricorda più nemmeno il nome, una ragione c'è. E sta nella sapiente mancanza di "misura" della narrazione, che se ci fosse stata, dati i tempi, sarebbe stata una misura piccoloborghese noiosissima.
Qui invece le passioni sono tutte eccessive, ivi compreso l'amore possessivo del negro per il mozzo, quando finalmente riuscirà a sedurlo e farne il suo ragazzo (mettendo perfino in piedi un piccolo "ménage" famigliare in una stanzetta vicino al porto), e la cieca gelosia che porterà all'inevitabile catastrofe finale, che non voglio svelare (il lieto fine, per una coppia "contronatura", era fuori discussione, nel 1895).
Caminha non è un grandissimo narratore (forse perché morì terribilmente giovane, ad appena trent'anni, nel 1897, e non ebbe il tempo per maturare). La vicenda procede a scatti, e spesso salta senza alcun avvertimento, letteralmente nel giro di due righe, da un tempo all'altro, dal presente a un flashback, e occorre un poco per riorientarsi e capire cosa sia successo alla narrazione. Lo svolgimento manca di fluidità, e momenti in cui le descrizioni della natura o della nave indugiano lenti, precedono e seguono scene concitate in cui succede "di tutto e di più", e all'improvviso.
Ma a parte questo difetto, la narrazione della vita di mare, che prende una metà del racconto, è ben scritta e si legge come un romanzo di avventura alla Salgàri, o alla Pierre Loti, con quel pizzico d'esotismo in più dovuto al fatto che dopo tutto stiamo leggendo della Belle époque, però vista dal punto di vista degli schiavi e dei proletari!
Oltre a ciò, la nascita e lo sviluppo di questo amore omosessuale è trattata con un poco di goffaggine, com'era forse inevitabile per chi non avesse nessun modello letterario precedente da seguire, ma in modo tuttora credibile e coerente -- e senza questo, il libro non avrebbe avuto molto sugo, come non lo hanno più certi coevi mattoni estetico-decadenti popolati di trasgressive figure di "depravati", che tanto scandalizzarono i nostri bisnonni, ma che oggi non ci suscitano altra emozione che non sia la noia.
Dalla descrizione di Caminha (che era sposato, ma che a giudicare da come scrive, e da quel che scrive, sul tema doveva avere avuto una presa d'atto "sul campo" e in prima persona), Amaro (il "buon-negro") è un omosessuale, che non possiede i concetti e le parole per capire quel che accade in lui, e che non sa come definire e spiegare l'attrazione che lo muove: la sua freddezza verso le donne lo aveva, semplicemente, convinto d'essere una persona priva d'interessi in campo sessuale. E invece no, ecco l'attrazione sessuale esplodere, come il "calore" di un toro.
Essendo negro ("cioè" un essere sommamente istintivo), Amaro si limita a vivere, a lasciarsi vivere, ad essere felice.
E paradossalmente sta in questo atteggiamento l'aspetto interessante e non caduco del racconto, dato che sentiamo vicina a noi la sua volontà d'essere semplicemente se stesso, senza sovrastrutture culturali o morali buone solo a creare tormento. Se Amaro si fa domande, le risolve alla svelta, a differenza della società borghese e rispettabile del suo tempo. E la donna che gli affitta una stanza, una simpatica ex prostituta, è abituata non giudicare gli istinti umani, e tratta il ménage dei due uomini come la cosa più ovvia del mondo.
Il giovane mozzo, per parte sua, sente svegliare in sé istinti non chiari, come ben mostra la scena di seduzione:
"Cominciava ad avvertire nel sangue istinti mai sperimentati, una specie di volontà innata di abbandonarsi ai capricci del negro, di cedergli perché facesse di lui ciò che voleva, un rilassamento dei nervi, una vertigine di passività".
"Dai, fai presto", mormorò impulsivamente voltandosi.
E il delitto contro natura fu consumato" (p. 42).
Tuttavia più avanti lo vedremo impegnarsi con entusiasmo in una relazione eterosessuale. Omosessualità adolescenziale? Omosessualità di compensazione? Forse si pretende troppo, chiedendo maggiore chiarezza a un autore del 1895. Comunque, ai fini del racconto, basterà dire che il ragazzo "ci sta" e accetta di "darlo" al negro, descritto come un vero, insaziabile toro da monta (ma di vere e proprie descrizioni di sesso, ovviamente, vista la data, non ce ne sono). E che i due formano una vera coppia, per un anno intero, nel loro nido d'amore.
Sullo sfondo appare qualche ufficiale di cui "si dice", "si sa" o "si mormora" nel cicaleccio dei pettegolezzi della nave. Ma il "buon negro" non sente il bisogno di confrontarsi con questi "colleghi": ognuno di loro, separato da invalicabili barriere di classe e di razza, vive la sua condizione nella solitudine, mirando a salvare il proprio onore e la propria reputazione, e avendo per modello le relazioni eterosessuali, i loro modi e i loro limiti (il ragazzo non si rivelerà meno geloso di Amaro, quando vivrà la relazione eterosessuale: il loro modello di comportamento è lo stesso).
Che dire? Un'opera decisamente simpatica, esotica, diversa dal solito, con quel tanto di s/m che sarebbe piaciuta a Genet (ripetute le scene di punizione corporale per le disobbedienze, con tanto di frusta in azione, descritta con una certà voluttà), a tratti ingenua, ma che possiede quel dono raro che ogni scrittore sogna di avere, e raramente ottiene: riuscire a "parlare" ancora al lettore 110 anni dopo la pubblicazione.
Consigliata.