Il mirto e la rosa

5 luglio 2005

"Eccellentissimo signor principe! Baluardo dell'Islâm! Campione dei credenti! A che cosa deve il tuo umilissimo servo l'onore di una tua visita?"
Alto sul suo stallone roano, il principe Hâmid el-Ghâzî sorrise alla lode iperbolica, piegando appena le labbra tra i morbidi baffi bruni e la barba inanellata. Come sovrano di un piccolo stato di montagna e vassallo del Gran Califfo, la sua indipendenza dallo strapotere degli 'Abb­assidi era un fatto problematico, che si reggeva più sul suo prestigio personale che non sulla forza del suo esercito agguerrito ma piccolo.


Così si presenta il principe Hâmid, protagonista di una breve novella di Annie Messina, una storia semplice che narra un amore assoluto e totale.


Annie Messina (1910-1996) era nipote di Maria Messina, una scrittrice siciliana di fine Ottocento. In ogni caso, Annie Messina non è un'autrice molto conosciuta; non ha scritto una grande quantità di romanzi, in verità: quattro in tutto. I più belli dei suoi libri sono pubblicati da Sellerio (la stessa casa editrice che aveva pubblicato quelli della zia): "Il mirto e la rosa" (1982), "Il banchetto dell'emiro" (1997) e "La principessa e il wâlî" (1996). Invece Mondadori ha pubblicato "La palma di Rusafa" (1989) che sembra meno riuscito. Tutta la sua fonte di ispirazione le è venuta dal mondo arabo che lei conosceva assai bene per averci vissuto e al quale era così legata, tanto da aver firmato il primo libro con uno pseudonimo arabo, Gamîla Ghâli. Passò l'infanzia e la giovinezza ad Alessandria d'Egitto e studiò pittura all'Accademia di Belle Arti del Cairo. Nei suoi racconti, una tetralogia immersa in un'atmosfera da "Mille e una notte", emerge la forza prepotente della passione assoluta, inspiegabile e irragionevole che assume forme violente e delicatissime al tempo stesso; domina sempre la grande intensità dei sentimenti che la Messina descrive nei suoi personaggi di fiaba. Infatti, a prevalere è l'amore inscindibilmente intrecciato all'inesorabile.


Le storie di Messina raccontano amori tragici, intrisi di una passione bruciante perché ostacolata dalla società fortemente conservatrice, quale quella musulmana di ogni epoca. La purezza dei sentimenti del principe per il suo protetto è rimarcata dal fatto che lungo tutta la narrazione non si trova alcun accenno ai contatti sessuali. Unica concessione all'eros è la descrizione della gamba bianca e sensuale del ragazzo che colpisce il principe. Ma amore e passione non sono i soli temi presenti.


Il tema della crudeltà, che tutti possiedono in misura maggiore o minore, è racchiuso nel dolore di Hâmid, provato da ragazzino, nel vedere un falchetto, al quale era affezionato, maltrattato da due prepotenti cugini. L'uccello viene accecato, mutilato e gettato a terra ancor vivo. Lo stesso Hâmid, sconvolto dall'agonia dell'uccello ricoperto di formiche, si vede costretto a finirlo con una pietra.


A questo punto si introduce il tema della vendetta. Vent'anni dopo, i due cugini, militanti in un esercito avversario di Hâmid, vengono catturati e condotti davanti a lui, tranquilli nella certezza che la parentela li avrebbe salvati, videro a un cenno del principe due guerrieri armati di sciabola farsi avanti, e sentirono la voce implacabile del vincitore dire: "Ricordatevi del falco". I due perdono così la vita, decapitati.


È una favola che inizia con un tenero innamoramento e termina con la morte di entrambi; scritta con prosa poetica, è una miscela di eros pederastico e thanatos immisericordioso, ambientata in un scintillante cosmo dominato da califfi gaudenti, donne maltrattate e adorate e visir spietati quanto onnipotenti. Infatti, chi legga "Il mirto e la rosa" e conosca anche le "Mille e una notte", proverà la sensazione che vi si uniscano, fungendo da contorno, sensuali odalische, sagaci mercanti, animali parlanti, tutti elementi portanti della tradizione favolistica orientale.


Nelle prime pagine di "Il mirto e la rosa", domina l'incontro del principe con un ragazzino, bello come nessun altro: Hâmid se ne invaghisce subito. Decide così di acquistarlo da un ambiguo mercante di schiavi, salvandolo dalla castrazione e, allo scopo di renderlo suo per sempre, gli sfregia una guancia con il proprio pugnale, deturpandone la bellezza ma anche suggellando il loro amore. Nonostante il passare degli anni, la compagnia del ragazzo, chiamato Falco, sarà sempre motivo di gioia per Hâmid che non ha invece mai trovato consolazione in Shîrin, sposata per ragioni dinastiche e nel figlio Harazad. L'odio e l'invidia che il giovane principe Harazad nutre verso Falco causano nel padre apprensione e timore che il figlio possa organizzare una ribellione di palazzo tesa a rovesciarlo. Harazad morirà in una battaglia contro l'emiro del paese, sopraffatto dalla propria audacia e sfrontatezza.


Il principe Hâmid e Falco, inseguiti dagli scherani dell'emiro, scelgono infine di morire insieme.

-Falco, ti ricordi quel giorno quando eri bambino, legato sul tavolo del castratore, e mi hai visto e mi hai detto "Portami via con te?"

-Sì.

-Ebbene, ora te lo chiedo io, Falco. Portami via con te, là dove tu vai.

- Sì, mio signore, tu verrai con me e saremo insieme per sempre.

Così lanciano i cavalli al galoppo sull'orlo di un burrone, senza fermarsi e precipitano giù, morendo uniti dal loro tenero amore.


Concludendo, sembra di leggere un componimento in versi, il cui pregio, forse intenzionale, è quello di esaltare la potenza dell'amore e del dolore, ma proprio perché i sentimenti sono così marcati, netti, senza sfumature, si ha subito l'impressione, giusta, che sia solo una parabola attingente dai miti orientali.
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