recensione diRosanna Fiocchetto
Lesbo pulp. Nei romanzi pulp il lesbismo anni Cinquanta
I am a woman (1959) della scrittrice americana Ann Bannon è il secondo di un ciclo di cinque romanzi (con Odd girl out, Women in the shadows, Journey to a woman e Beebo Brinker) che tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta circolarono con grande successo in un mondo gay criminalizzato dal maccartismo, costituendo un esempio di "letteratura lesbica popolare". La casa editrice Mondadori lo ripropone adesso al pubblico italiano con un diverso titolo che è anche una etichetta: Lesbo pulp.
"Pulp", in inglese, è la pasta con cui si fanno i libri; e "pulp fiction" significa romanzo da quattro soldi, alludendo alla qualità scadente della carta con la quale si stampano i tascabili, ma anche alla distinzione tra "alta" e "bassa" letteratura.
La popolarità di Ann Bannon all'interno di questo "genere" è legata sia alla sua bravura artigianale, sia alla sua capacità di creare personaggi in sintonia con le paure e i condizionamenti di quel periodo ancora profondamente segnato dal maccartismo e da una spietata "caccia alle streghe".
I suoi protagonisti - Laura, Beth, Beebo, Jack - appartengono al plumbeo scenario "prima di Stonewall", all'America della "guerra fredda" soffocata dal perbenismo, dalla segregazione e dal pregiudizio, ben ritratta dal regista Todd Haynes nel film Lontano dal paradiso.
Distanti anni-luce dall'era del "coming out", si muovono sullo sfondo dei bar gay semiclandestini del Greenwich Village e di un "privato" prigioniero dei ruoli butch-femme o checca-macho.
Bollati dallo stigma di una "insanità istituzionale", sono costretti ad una umiliante doppia vita, a matrimoni di facciata.
L'aggressività che gli eterosessuali manifestano nei loro confronti è terrificante ed ha un parallelo nelle pellicole hollywoodiane contemporanee, gremite di linciaggi materiali e morali: per citare solo due celebri esempi, in Gioventù bruciata di Nicholas Ray (1955) il ragazzo omosessuale viene crivellato di spari dalla polizia, mentre in Quelle due di William Wyler (1962) la lesbica si suicida. L'umanità è divisa rigidamente tra straight e queer (normali e pervertiti): il confine tra le due categorie sembra invalicabile ed è implacabilmente sorvegliato dallo Stato.
Il prototipo virile "made in Usa" non deve correre il rischio di incrinarsi. E la "mistica della femminilità" impone alla donne l'espulsione dal mercato del lavoro, la casalinghità e la procreazione.
Nell'immaginario caratterizzato da questo clima di controllo e di sospetto, aprono una falla i paperbacks venduti nelle drogherie all'angolo, nei supermercati, nelle edicole delle stazioni, grazie ad una sentenza della Corte Suprema che nel 1957 sancisce una definizione meno restrittiva di "oscenità". Gli editori ne approfittano largamente, riversando sulle masse tonnellate di "spazzatura erotica".
Tra di essa (insinuandosi a fatica fra i sottoprodotti scritti da uomini con pseudonimi femminili) si conquistano uno spazio di pubblicazione molte scrittrici lesbiche, da Vin Packer a Paula Christian, Randy Salem, Valerie Taylor e March Hastings.
Le lettrici consumano avidamente i loro romanzi e trovano soprattutto in Ann Bannon un'icona.
Sono attratte dal suo realismo e dalla sua tecnica narrativa simile a quella della soap opera, tesa a creare una sorta di "famiglia" di personaggi lesbici, il cui percorso viene seguito da un libro all'altro.
Inoltre nelle sue storie di "amore proibito" il desiderio femminile è esplicito, attivo e forte.
Le donne rifiutano di seguire le istruzioni della norma dominante e scelgono la propria integrità, ad ogni costo. Uscendo dall'isolamento, si legano ad altre donne e portano la marginalità al centro della loro esistenza, facendone un valore guida.
Nata nel 1932, anche l'autrice era all'epoca una giovane casalinga, con due figli, che di lì a poco, travolta dalle sue stesse trame (il marito sapeva che scriveva, ma non cosa scriveva), avrebbe divorziato e si sarebbe guadagnata l'indipendenza insegnando linguistica all'università della California.
Negli anni Ottanta, quando venne riscoperta dall'editoria e dalla critica lesbica (che vedevano nella sua opera un "sito archeologico" per lo scavo della cultura omosessuale precedente ai movimenti di liberazione) confessò in un'intervista di aver abbandonato il lesbo pulp solo per mancanza di tempo, e promise di tornare al romanzo da pensionata.