Femmes sans tain [1975]. Poesie di Renée Vivien

Colette: come quando un cerchio s'allarga nell'acqua generando altri cerchi, il suo nome evoca quelli di Gisele Freund, Virginia Woolf, Anais Nin... donne che sfidando le regole, e vivendo spesso nello scandalo condivisero giorni "formidabili" nella Parigi d'inizio secolo e fino agli anni Venti, respirando la stessa aria e lo stesso sperimentalismo in varie aree artistiche a volte compenetrantesi di Duchamp, Satie, Man Ray, Bunuel, Artaud.


Colette conobbe anche Renée Vivien (1877-1909), pseudonimo di Pauline Mary Tarn, scrittrice di origine anglo-americana. Morta a trentatré anni, sfinita dall'alcool e dall'anoressia.

Régine Deforges, la curatrice di questa raccolta pubblicata ventuno anni fa, si chiedeva già allora il perché dell'oblio attorno all'autrice, la cui personalità fu potente al punto di colpire un personaggio pubblico come Colette , che nel suo libro Le pur et l'impur scrive:

"Nella notte profonda... attraversando un'aria ispessita da tende e fumi d'incenso, Renée errava".

Ricorda così l'eccentricità della Vivien (ma chi non sarebbe stato eccentrico, in quel gruppo?), che la stessa Deforges sottolinea nell'introduzione quando descrive "l'atmosfera cupa, pesante e satura di profumi, la luce vacillante delle lampade accese davanti ai Budda nello strano appartamento al Bois".

Renée scrisse un romanzo, Une femme m'apparut [1904] (il cui titolo è la traduzione in francese del celebre "Donna m' apparve..." di Dante quando vide Beatrice per la prima volta), e varie raccolte di poesie (Cendres, Etudes, Evocations...), la maggior parte delle quali dedicate a Natalie Clifford Barney (1876-1972), americana residente a Parigi, a sua volta scrittrice e cultrice di Saffo, come la stessa Vivien.

Tutte le poesie dedicate a Natalie furono pubblicate all'inizio con la firma maschile René, ottenendo giudizi favorevoli; grande fu lo scandalo quando "monsieur Vivien" rivelò il suo vero sesso.

La relazione tra Renée e Natalie fu abbastanza tempestosa da portarle alla separazione.
La Vivien, dopo una serie di tradimenti che la struggevano, nonostante nascondesse dietro un atteggiamento allegro la sua evidente propensione all'annullamento e alla morte (Colette scrive di non averla mai vista triste; di lei si ricordano i grandi scoppi di risa), lascia Natalie per Hélène Zuylen de Nyevelt, baronessa Rothschild.

Le poesie lesbiche di Renée usciranno per la prima volta ne1 1951 con il titolo Nos secrets amours a cura della stessa Natalie.

In Italia su di lei ha scritto Daniela Danna in Amiche, compagne, amanti (Mondadori, Milano 1994), a cui ho fatto riferimento in parte, e sono stati pubblicati, con traduzione di Teresa Campi, le sue poesie nella raccolta Cenere e polvere (Savelli, Milano-Roma 1981) e il suo romanzo Donna m'apparve (Lucarini, Roma 1989).
Teresa Campi ha pubblicato inoltre uno studio sul modo di comporre della Vivien: Sul ritmo saffico: la vita e le opere di Renée Vivien (Bulzoni, Roma 1983).

Tornando alla domanda della Deforges "perché l'oblio?", Régine vuole che sia la stessa Renée a rispondere, mostrandosi quasi convinta che tutto dipendesse dal fatto che ella "cantava le donne" e "l'amore per loro".
In effetti Solomon Reinach, il più "fervente ammiratore" della Vivien, dopo aver raccolto moltissimi documenti sulla sua vita volle vietarne la consultazione sino al 2000, stendendo su questo amore tra donne, come di consueto, l'oscurità. Ecco dunque la risposta di Renée:

Je suis femme, ie n'ai point droit à la beauté.

On m'avait condamnée aux laideurs masculines...

Et j'eus l'inexcusable audace de vouloir

le sororal amour fait de blancheurs legères.

On m'avait interdit tes cheveux, tes prunelles

parce que tes cheveux sont longs et pelins d'odeurs

et parce que tes yeux ont d'etranges atseurs.

On m'a montrée au doigt en un geste irrité,

parce que mon regard cherchait ton regard tendre,

et nous voyant passer nul n'a voulu comprendre

que je t'avais choisie avec simplicité.

Considère la loi vile que je transgresse

et juge mon amour qui ne sait point le mal

aussi candide, aussi necessaire et fatale.

Da qui il lavoro della Deforges, tesa al recupero, direi alla celebrazione di alcune poesie della Vivien.

La parte iconografica del libro, dall'elegante veste editoriale, fu affidata ad una fotografa - Irina Ionesco - negli anni Settanta altrettanto "scandalosa" quanto la Vivien d'inizio secolo (tra i soggetti preferiti la giovanissima figlia - che vi appare in due fotografie - ritratta solitamente in ambienti cupi e un po' ambigui).

Accanto alla scabra presentazione della Deforges, emozionante e accattivante al punto giusto, accanto al titolo scelto, Femmes sans tain, che potrebbe divenire "Donne trasparenti" ("tain" è la foglia di stagno che vela i cristalli rendendoli specchi - dunque donne che vogliono essere solo se stesse, forse, visto che la Deforges non spiega la scelta), le fotografie della Ionesco rischiano di apparire meno attuali del contenuto delle liriche, nonostante il recupero ora in atto degli anni Sessanta e Settanta, sia a livello di materiale artistico sia solo stilisticamente.
In alcuni ritratti ella ha circondato le modelle, che dovrebbero rappresentare le belle amanti di Renée, di un' atmosfera in parte barocca, in parte pre-raffaellita: sufficiente ad evocare un che di macabro e quasi decomposto. In altri la fotografa è andata alla ricerca di suggestioni d'inizio secolo con veli, abiti e arredamento d' epoca.
Presenti le bambole funebri, nella loro meccanica e maniacale fissità, e oggetti propri ai riti magici (mazzi di carte, bambole trafitte).

Crisantemi e rose circondano a volte le figure femminili, in qualche caso nude e sdraiate (la Vivien aveva definito le rose "fiori mortuari il cui profumo ossessiona", chiedendo di esserne ricoperta). Infine, osservando attentamente, il fantasma di Man Ray s' aggira tra un fotogramma e l' altro.

Le liriche della Vivien riproposte sono ventuno, tratte dalle raccolte precedentemente ricordate.

In esse ritroviamo lo spirito dei decadenti "poeti maledetti" e torna alla mente "l'amore chirurgico" del quale cantava Baudelaire (il titolo originario dei Fleurs du mal era Les lesbiennes [1851], nonostante contenessero solo tre poesie relative a quel tema): quando Renée parla di "paura" e "terrore" suscitati e cercati nell'atto d'amore, di "lividi", "rantoli", "singhiozzi"; quando ricorda le Amazzoni che godevano della sofferenza dei propri amanti là dove lo spasimo supremo del piacere si univa a quello vero e proprio della morte; quando scrive epitaffi per l'amante che passa dal sonno all'al di là...

Per Baudelaire la donna era creatura angelica e vampiresca al contempo, fonte d'ispirazione poetica, ma essere nella carne del quale vendicare il tradimento della figura materna, padroneggiandolo e possedendolo in un misto di delirio adorante e di violenza.

Per Renée i riferimenti funebri ( "i pallidi capelli", "la pallida carne", le rose, i crisantemi, le violette, i cardi eccetera) sono il presagio della propria morte (che per la verità anche i decadenti cercavano), l'anticipazione di un amplesso ambìto, desiderato, con il nulla. Fino a proiettarsi in immagini di sapore pre-romantico (il fascino delle rovine popolate di pipistrelli e gufi, le tenebre del giorno e i chiarori della notte ), o di stampo gotico quando parla dei "revenants", i defunti che tornano di notte "a sfiorare i vivi che li hanno dimenticati".

Anche la tematica dell'invecchiamento scaturisce dalle riflessioni sulla morte: il disfacimento che preannuncia l'al di là si riassume nel "disonore pubblico delle rughe" e nell' esaltazione della eterna bellezza e giovinezza, miti wildiani.

Lampi laceranti (come quello riportato per intero dalla Deforges nella presentazione) si accendono sulla sua condizione di donna che ama altre donne.

Il suo modo di amare viene osservato nella stranezza e nell'ambiguità ("i miei strani e complessi amori") dell'"enigma che sfugge", a volte quasi esprimendo un senso di profonda disperazione ("Le tombe sono meno impure dei letti di donne"), quasi a ipotizzare nella sua ricerca della morte un tentativo di essere lei, a sfuggire per sempre all'enigma.

Su tutto sempre si erge la figura adorata, inseguita, temuta, amata, odiata, violentata di Natalie con i suoi ossessionanti occhi blu e i pallidi capelli biondi, le sue bianche carni "illividite".

Natalie a volte viene descritta come una preda da catturare, perché fredda e sfuggente. Nello stesso tempo viene presentata come dominante e soffocante, quasi Renée, sentisse il peso di quel legame doloroso ma cercato.

Il tutto è racchiuso in pagine patinate, rilegate da una copertina viola; su di essa tre tondi di foto un po' cimiteriali da cui guardano le figure della Ionesco, della Vivien e della Deforgers. Tuttavia le due curatrici sono ritratte in atteggiamenti quasi spiritosi: in fondo la Vivien amava ridere, e a ben guardare un che di grottesco, forse voluto, aleggia pure tra le foto del libro.

Ma lasciamo che sia Renée a chiudere con queste parole:

Mais que j'importe aussi le souvenir des roses,

lorsqu'on viendra poser sur mes paupiéres closes

les lotus et les lys, les roses et le roses!

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