recensione diVincenzo Patanè
Fra fichi e sicomori
Un quesito al quale non è facile rispondere (io personalmente ci ho provato nel mio Arabi e noi - Amori gay nel Maghreb. A giustificare ed avvalorare la scelta iniziale di Pasolini ci ha pensato un bel saggio di Saverio Marconi: Fichi e frutto del sicomoro. Il libro, edito da Fabio Croce, offre anch'esso un contributo inedito all'editoria italiana: uno studio "sull'omosessualità maschile e femminile medioevale islamica nelle Mille e una notte e oltre", come precisa il lungo sottotitolo. Marconi, un antropologo, lambisce solo marginalmente gli argomenti trattati nell'altro libro, in particolare quando esamina la posizione del Corano relativa alla condanna dell'omosessualità, una disapprovazione che, secondo l'autore, viene ampiamente controbilanciata dal fatto che Dio, per definizione, esclude ogni tipo di logica punitiva. Per il resto il discorso, condotto con scioltezza e pieno di spunti interessanti, è focalizzato su Le Mille e una notte; quest'ultimo consiste, è bene ricordarlo, in una raccolta di numerosissimi racconti, unificati innanzitutto dalla lingua araba, concepiti in un'area vastissima, che va dall'India all'Egitto, e la cui elaborazione iniziò attorno al VIII per concludersi poi nel XIII secolo. Attorno al libro, Marconi costruisce, per cominciare, un attendibile scenario storico, ricordando le caratteristiche della società (ma sarebbe più giusto dire "delle società", vista la lunghissima e frammentata gestazione del libro) nelle quali è nato quel capolavoro: società urbane e mercantili, spesso crogiuoli multietnici in cui convivevano, più o meno felicemente, le culture più disparate ed alcune forme sociali tipiche e funzionali al sistema, come gli schiavi e gli eunuchi. La fama de Le Mille e una notte relativa ad un sesso vissuto libertinamente, come mero godimento - una fama costruita in un secondo momento, visto che le prime traduzioni occidentali, a cominciare da quella celebre di Galland, espunsero i punti di scabrosi - non è per niente usurpata. Molti sono i racconti che esaltano il sesso in ogni forma, non escluse l'omosessualità maschile e quella femminile, e senza tralasciare quelli in cui il contenuto trova i suoi momenti cardini nel travestitismo, ancora una volta riguardante ambedue i sessi. Marconi ricorda un po' tutti questi racconti, sottolineandone i momenti topici, quelli in cui ci si sofferma sull'atto sessuale o, più facilmente, sulla bellezza giovanile.
Quest'ultima è in effetti veramente un leitmotiv del libro, che vede le fanciulle e, soprattutto, i fanciulli paragonati in continuazione, per la loro grazia abbagliante, agli astri, ad elementi della natura o ad agili, slanciate gazzelle. A questo proposito viene chiamato in causa Abû Nuwâs, personaggio conosciutissimo all'epoca per la sua poesia, che esaltava trionfalmente il vino, proibito dalla cultura musulmana, e i torniti sederi dei ragazzi, preferibilmente coppieri persiani. Abû Nuwâs è infatti il protagonista di tre racconti de Le Mille e una notte, ambientati nella mitica Baghdad del califfo che più di ogni altro sarà poi esaltato come modello: Hârûn ar-Rachîd (e con lui la principessa Zobeida, il carnefice Masrûr e il visir Jafar). Scelto proprio perché emblema all'epoca dell'omosessualità, il poeta è uno dei pochi a non avere dubbi: preferisce il fico, simbolo dell'omosessualità, al frutto del sicomoro, simbolo dell'eterosessualità.