recensione diGiovanni Dall'Orto
Notti selvagge, Le
Il protagonista del romanzo, incapace di amare, viaggia verso l'autodistruzione saltando da un "eccesso" all'altro, inizia una storia contemporaneamente con un uomo e con una ragazza (che viene spinta sull'orlo della folia) in una serie di "notti selvagge" in cui l'uso del preservativo (e il rispetto degli altri) è un optional. Il romanzo è tutto qui.
Cyril Collard pubblicò questo libro nel 1989, svelando la propria sieropositività, quando pochissimi avevano avuto il coraggio di farlo, e ne trasse anche un film. Il successo del film e del libro fu soprattutto, io credo, un tributo al suo coraggio. Almeno: io lo penso, perché non capisco altrimenti come abbia potuto essere così sopravvalutato un libro così insulsamente cupo, masochistico e carico di senso di colpa, con squarci di horror compiaciuto (cfr. le pp. 43-45).
Sia chiaro: non è che la disperazione (che avvolge i personaggi di questo libro) e lo squallore non possano essere oggetto di scrittura: il punto è che qui si tratta di disperazione stilizzata, estetizzante, autocompiaciuta ("oh, quanto sono maledetto!"); è brutta perché falsa ed esibita solo per strappare facili brividini al lettore e per "fare letteratura".
È insomma una posa: ecco perché il libro soffoca quello che di vero, probabilmente, aveva da dire l'autore, e che non ha detto: non è un essere umano con i suoi problemi ma solo la maschera stereotipata del "maledetto", così inflazionata in letteratura.