recensione diGiovanni Dall'Orto
Simun. I turbamenti masochistici d'un omosessuale cattolico
Henry Furst (1893-1967), americano, sposato con la scrittrice Orsola Nemi, visse in Italia e scrisse (anche) in italiano. Come impiegato editoriale di Longanesi, nel dopoguerra ebbe un ruolo non piccolo nella pubblicazione di narrativa a tema omosessuale, rilevante quantitativamente e qualitativamente, da parte di questa casa editrice non certo di estrema sinistra.
Qui si cimenta in proprio, con un libro (il classico "manoscritto ritrovato"... ovviamente!) in cui esprime la sua condizione di cattolico ed omosessuale... cercando di conciliare le due cose come lo si poteva fare nell'oscurantistico 1965.
Non si tratta d'un romanzo, quanto di una lunga riflessione autobiografica sull'amore, ben scritta e di gradevole lettura, che s'interroga sul perché noi "diversi" non riusciamo mai mai mai a mettere in piedi un amore "benedetto da Dio" e siamo alla ricerca eterna quanto vana del Principe Azzurro...
Per la storia della letteratura gay italiana questo libro ha una sua importanza, perché le opere italiane tanto esplicite e coraggiose sul tema si contano su due mani.
Il tono con cui Simun affronta il tema è però oggi un tantino pesantuccio da digerire, visto che ondeggia tra fremiti masochistichi e aneliti da sagrestia (a tratti, oltre tutto, pure noiosi):
"Natura, mia natura,
cittade senza strade,
e senza porto, mare.
Natura dis-natura,
a te non chiedo guida,
Arianna senza filo!
nel labirinto tuo
contento di morire.
No, gridai con tutta la mia forza. No, la mano ha sbagliato, non morire, non morire. Contento di soffrire. Soffrire e gioire" (p. 201).
Peccato, perché Furst non scrive male.