recensione diGiovanni Dall'Orto
Quando hanno smesso di pensare? Forse mai. O forse, come tutti i religiosi, non hanno mai iniziato.
Di fronte alla rozzezza e ignoranza - quando non franco razzismo - dei libri sull'Islam che vanno per la maggiore di questi tempi, leggere il punto di vista d'una donna islamica (di famiglia pakistana emigrata in Uganda e da lì al Canada), e per di più di una donna lesbica e femminista, è una boccata d'aria pura. Perché il limite d'una critica razzista è quella d'essere cieca, e quindi inefficace: se qualunque cosa abbia fatto l'Islam è il Male, e qualunque cosa faccia il papa è al contrario il Bene, come sentiamo dire quotidianamente dai leghisti e fascistelli nostrani, anche gay, allora c'è poco da discutere, e migliorare, e cambiare. Al massimo da combattere (possibilmente, già che ci siamo, invadendo militarmente l'Iraq, che c'ha il petrolio, così prendiamo due piccioni con una pallottola).
La Manji racconta della sua educazione di mussulmana, e di mussulmana che ha riflettuto e combattuto per non abbandonare la sua fede, senza sottomettersi (come donna e come lesbica) alle umiliazioni a cui vorrebbero sottoporla la sua religione e il suo dio.
Ed è assolutamente affascinante, specie per il lettore gay che certe situazioni le conosce e ri-conosce (i catechismi, lo scandalo della famiglia, la pressione sociale...) leggere le domande che l'autrice - affermata e controversa conduttrice d'una trasmissione tv glbt in Canada - pone ai suoi correligionari e a noi.
La prima parte dello scritto, in cui è descritto questo processo, giustifica dal sola l'acquisto e la lettura del libro. Da consigliare.
Purtroppo, tanto è interessante questo libro quando discute di religione (un tema su cui l'autrice ha riflettuto e studiato, palesemente, per anni), tanto è pretenzioso e superficiale laddove, nella seconda parte, parla di politica (un tema su cui l'autrice si dimostra non meglio dotata della media - che già è tutto fuorché alta - dei giornalisti americani, anzi...).
La sua superficialità politica è abbastanza uniforme, ma tocca il picco ogni volta che tratta d'Israele. Sulla cui storia e sulla cui realtà si dimostra d'un'ignoranza pari a quella che rimprovera ai suoi correligionari.
La cosa è, in sé, in parte comprensibile. Non essendo araba bensì pachistana l'autrice prova una giustificata antipatia per la pretesa razzistica degli arabi di essere i soli "veri" mussulmani. E quindi prova per la causa araba, ed arabo-palestinese, una chiara (per quanto se si vuole giustificata) antipatia preconcetta.
Resta il fatto che fra criticare il razzismo arabo a bersi la propaganda dell'associazione sionista che le ha fatto "visitare Israele" (gratis, e chissà perché) ce ne corre. La ragazza dimostra infatti, nel lungo capitolo su Israele, il medesimo senso critico d'un sessantottino in visita nella Cina di Mao, o di Cossutta quando parlava dell'Urss: zero.
La sua ignoranza si spinge al punto da accettare babbeamente l'equazione propagandistica secondo cui arabo = mussulmano, ignorando totalmente le minoranza cristiane e cattoliche arabe, che saranno forse piccole, ma che hanno avuto un'importanza spropositata nella storia del sec. XX del mondo arabo (al punto che il panarabismo e il socialismo arabo pullulano di cristiani, anche e soprattutto fra i "padri fondatori", per non parlare dell'arte e della cultura araba stessa). Eppure i libanesi (di lingua araba, ma fino a pochi anni fa in maggioranza cattolici - di rito maronita) vengono trattati (male) da lei, e ripetutamente, come... mussulmani.
Ma non voglio sembrare a mia volta uno che butta lì accuse, per preconcetto. Ecco allora una piccola serie di esempi - anche se non posso palesemente citare tutti gli strafalcioni, se no scriverei un libro a mia volta.
Pagina 98, parlando dell'area del fu "Tempio ebraico" a Gerusalemme: "I romani avevano raso al suolo [il secondo tempio] nel 70 d.C., saccheggiando Gerusalemme ed espellendo gli ebrei dal regno. I cristiani avevano quindi lasciato che per secoli il monte dei templi andasse in rovina, a testimonianza della caduta del giudaismo. Ma, come già sappiamo alla fine i mussulmani avevano conquistato la città santa e avevano ridato vita al monte, lasciando chiari segni della loro presenza.
Tutto ciò è falso. Gli arabi non costruirono sulle rovine del secondo tempio. Furono i romani a farlo, con un tempio dedicato (da Adriano) a Giove Capitolino. Fu quindi sulle rovine di un tempio pagano che costruirono i musulmani. (A loro volta i crociati avrebbero trasformato le moschee in chiese cattoliche, cosa che rimasero per un buon secolo. Neppure questo fatto è menzionato).
Queste "amnesie" storiche sono tipiche della propaganda faziosa di guerra di cui si nutre la guerra in Medio Oriente (gli ebrei sono "tornati" a "riprendersi" ciò che gli "arabi" avevano "rubato" loro... Ah! Tito Flavio Vespasiano era dunque arabo? Se lo chiedessimo all'autrice di questo libro non dubito che ci direbbe di sì. Miracoli della "cultura" americana...).
Farsi portavoce di falsificazione storiche non depone a favore di un'appartenenza a un'ottica laica e obiettiva, direi. Mi sbaglio?
Pagina 116: "in compenso [noi musulmani] non siamo mai stati capaci di accollarci le nostre responsabilità, per le atrocità del 1915, annus horribilis nel genocidio degli armeni cristiani perpetrato dagli ottomani islamici".
Vero. Ma questo genocidio sono rimasti ormai solo due stati a negarlo, oggi, in Medio oriente: la Turchia laica (e il genocidio avvenne per mano delle forze che laicizzarono la Turchia ed abbatterono il califfato mussulmano: i "Giovani turchi"; quindi da parte di nemici del clericalismo islamico, che agirono per nazionalismo e razzismo, e non per islamismo e fanatismo religioso), e... lo Stato d'Israele, che di "Olocausto armeno" proprio non vuole nemmeno iniziare a sentire parlare. Nonostante esso si possa considerare come la fonte d'ispirazione della Shoah: se era stato compiuto senza che nessuno protestasse, perché non si poteva ripetere?
Due negazioni, insomma, ma né l'una né l'altra islamista.
Ciò non vuol dire che sia giusto che i turchi (in maggioranza mussulmani) non abbiano mai riconosciuto un genocidio che, per percentuale di popolazione sterminata, fu molto più grave dell'Olocausto ebraico. Ma di sicuro quando si muovono accuse occorrerebbe raccontare tutta la storia, e non solo quella che porta acqua al proprio mulino. Altrimenti si rischia di apparire solo un volgare propagandista al servizio di una tesi precostituita. Come in questo caso.
Pagina 125. Viene contestato uno studioso che aveva qualifica di "razzista" la proibizione, in Israele, di matrimoni "misti": "Il fatto è che in Israele le coppie di diversa fede religiosa, sposate o no, possono tranquillamente convivere; a non essere consentito è il matrimonio in quanto cerimonia religiosa".
Vero.
Peccato però che l'autrice si sia "dimenticata" di dire che in Israele esiste solo il matrimonio religioso. Esatto: il matrimonio civile non esiste. Quindi, proibire il matrimonio religioso implica proibire il matrimonio tout-court...
A questo punto la domanda è ovvia: ma l'autrice è cretina, è talmente disinformata da non sapere ciò di cui parla (e ciò è grave) oppure sa, ma ha deciso di occultare i fatti che le fanno scomodo (è ciò è mille volte più grave)? Decida da solo il lettore. Io propendo per la terza ipotesi. O in alternativa, per la prima.
Pagina 133. Viene citata come esempio del fanatismo islamico una fatwa contro i pokemon giapponesi.
Mi spiace aggiungere che la stessa cosa è stata fatta da cristiani. I Testimoni di Geova li hanno proibiti ai loro bambini in quanto "creature sataniche". Incidentalmente, per buona misura ci mettono dentro pure Harry Potter, Il signore degli anelli e non so cos'altro.
Che facciamo: andiamo a bombardare il quartier generale dei Testimoni negli Usa? Seguendo la logica dell'autrice dovremmo farlo...
Ma se lo facessimo, sarebbe "democratico"?
Ai lettori la risposta...
Pagina 144. Nel citare le colpe dei mussulmani contro i palestinesi (a fronte dell'immensa benevolenza dimostrata verso di loro dagli ebrei), l'autrice comunica che "tra il 1975 e il 1999 la guerra civile libanese è costata la vita ad almeno centocinquantamila persone, la maggior parte delle quali palestinesi: circa dieci volte di più delle vittime fatte da Israele in mezzo secolo di combattimenti".
Qui le bugie sono troppe, troppe, troppe, e non possono dipendere da ignoranza, perché questo ragionamento sta in piedi solo grazie a una serie di falsificazione smaccate:
- Primo: i libanesi che han combattuto i palestinesi erano cattolici, non mussulmani. I libanesi mussulmani erano infatti alleati dei palestinesi! (La stessa falsificazione sulla religione degli arabi libanesi viene ripetuto a pagina 183: non si tratta quindi di un lapsus. Ma allora, o costei è d'un'ignoranza abissale, o è una bugiarda compulsiva. Gran bella alternativa...).
- Secondo, il motivo per cui i cattolici libanesi hanno combattuto i palestinesi, e si sono rifiutati di concedere la cittadinanza libanese ai palestinesi dalla fine della guerra ad oggi, è che così facendo il Libano si sarebbe trasformato da paese in maggioranza cattolica a paese in maggioranza mussulmana. In altre parole, la "guerra civile libanese" ha visto combattere contro i palestinesi in quanto mussulmani, e non "nonostante fossero mussulmani".
- Terzo, la cosiddetta "guerra civile" ha avuto come uno degli obiettivi dichiarati ed espliciti l'eliminazione (da parte dei cattolici, e degli israeliani loro alleati) dei palestinesi dal Libano: non sorprende quindi che abbiano fatto tante vittime palestinesi, dato che la liquidazione dei palestinesi era uno degli scopi della guerra! E per "liquidazione" si intende anche quella fisica: le parole Sabra e Shatila dimostrano più di mille chiacchiere cosa intenda io dire.
- Quarto, e soprattutto, la "guerra civile" ha visto impegnato come una delle parti belligeranti l'esercito d'Israele, che ha invaso il Libano (con l'operazione "Pace in Galilea") ed ha partecipato ai combattimenti (perdendo oltre mille soldati, al punto da dovere alla fine mollare l'osso!), in alleanza con i cattolici, in funzione antipalestinese.
E sia ben chiaro: la liquidazione fisica dei "terroristi" palestinesi dal Libano era la ragione dichiarata, esplicita, mai nascosta ed anzi proclamata dell'invasione del Libano da parte d'Israele. Come ha potuto quindi l'autrice fingere che Israele non abbia avuto alcun ruolo nella strage di palestinesi, addossandone la colpa... ai mussulmani? (che hanno mille altre colpe nei confronti della Palestina, ma non questa). Questi sono dati storici, che nessuno mette in discussione, neppure gli israeliani, e sono controllabili da chi abbia una cultura e un'intelligenza superiore a quella di una giornalista nordamericana. Cioè, da chiunque.
Tutto questo ha poco a che vedere con gli aspetti che c'interessano del libro, ma trattandosi di fatti storici facilmente accessibili a tutti, ho voluto insistervi, per documentare dato per dato quanto e fino a che punto l'autrice sia disposta a distorcere i fatti in modo grossolano pur di arrivare alla conclusione a cui vuole arrivare. Il che getta un'ombra sull'obiettività della trattazione anche degli altri argomenti. Ahinoi.
Sebbene l'autrice sia meno fanatica della Fallaci (anche perché essendo mussulmana per lo meno non può sostenere che tutti i mussulmani sono, per il fatto di esser tali, criminali sotto-uomini meritevoli solo del lager), non disdegna l'uso dei medesimi strumenti di "giornalismo... creativo" usati dalla nostra giornalista razzista più celebre. Non a caso, made in Israele entrambi. Si chiama: "propaganda di guerra" ed è antica quanto l'umanità. Come lo è il senso critico, che permette di riuscire a smantellarla: sia verso un lato, sia verso l'altro.
Ma andiamo avanti.
Pagina 178. "È possibile che l'Arabia Saudita non abbia mai adottato la Dichiarazione dei Diritti umani della Nazioni Unite perché le autorità religiose sono una specie assai più protetta del genere comune?". Per informazione, esiste un altro Stato che è nella medesima condizione. Si chiama: Stato della Città del Vaticano. Ma per un qualche motivo l'autrice o non lo sa, o si guarda bene dal ricordarlo. In entrambi i casi, dimostra che ogni volta che parla di politica, stra-parla.
Per finire, trovo disgustoso il sarcasmo con cui l'autrice commenta le denunce di palestinesi arrestati e torturati nelle carceri israeliane, a pagina 195: "Be', se non altro dalle torture sioniste si esce vivi".
Ora, a parte che da che mondo è mondo chi non esce vivo dalle torture non le denuncia, questo tipo di commento è il medesimo che usano i negazionisti (tanto nazisti, quando islamici) di fronte alle denunce dei sopravvissuti alla Shoah ("Be', se non altro dai cattivissimi lager nazisti si usciva vivi, a giudicare dalla quantità di sopravvissuti"), non è esagerato dire che l'autrice segue logiche mentali e politiche degne di una fanatica nazista. O di una fanatica islamica, se preferisce. Comunque sia, di una fanatica.
Paradossalmente questo modo di ragionare potrebbe dare ragione alla Fallaci & c: una mente islamica, per quanto laica ed aperta sia, è intrinsecamente portata al fanatismo, al razzismo e alla falsificazione della realtà.
Anche se a mio parere tutto ciò non ha nulla a che vedere con l'Islam: l'ateo Giuliano Ferrara non sostiene nulla di diverso dalla islamica credente e lesbica Irshad Manji. L'analogia sta nella comune ideologia politica, non nella religione.
Ed è questo che, per ideologia politica, sfugge completamente all'autrice del libro. Che affrontando le religioni solo da un punto di vista squisitamente morale - quando non moralistico - e teologico, perde totalmente di vista il loro significato di ideologie, di strumenti di lotta politica.
In un'epoca in cui la commistione fra religione e politica è smaccata quanto mai (si veda il caso della rielezione di Bush, avvenuta usando come grimaldello il dovere di rifiutare pari diritti agli omosessuali, in nome dei "valori" religiosi cristiani), da una donna lesbica un minimo di attenzione a questo elemento ce lo si sarebbe aspettato... Invece, nulla...
Sorge perciò qui un dubbio amletico: nella sua critica dell'Islam e nella sua esaltazione aprioristica d'Israele l'autrice si rivela tanto estranea al concetto di "tolleranza" e "pluralismo", da far sospettare che abbia proprio ragione, ma a iniziare da se stessa, nel senso che la sua critica rivela in lei quale devastante propensione all'intolleranza e alla menzogna produca un'educazione religiosa islamica - come peraltro qualunque educazione religiosa. Neppure una volta l'autrice sembra accorgersi del fatto che ciò che c'è di sbagliato nell'intolleranza religiosa dell'Islam è l'intolleranza religiosa, non l'Islam. Al contrario, verso l'intolleranza religiosa cristiana e verso quella ebraica, la sua indulgenza è tale da oscillare fra il babbeo e il francamente pericoloso, fino alla giustificazione. Ma sinceramente io non lascerò che sia lei a spiegarmi perché sia molto più democratico essere messo a morte da un cristiano che da un mussulmano. Io bado ai fatti, non alle etichette. Mi spiace per lei.
E in effetti il dubbio non è venuto solo a me: un recensore su Internet bookshop ha notato: "Nonostante l'autrice si riconosca educata a valori occidentali quali la libertà di pensiero, si percepisce la mancanza totale di qualsiasi vera educazione ai valori individualistici e universalistici che sono il patrimonio dato all'Occidente dalla Rivoluzione francese".
Leggete quindi serenamente questo libro nella sua prima parte, ma poi prendete gli antiacidi e i tranquillanti prima di passare alla seconda.