recensione diGiovanni Dall'Orto
Vera storia di Tadzio l'icona bionda di Morte a Venezia, La
Wladyslaw Moes ("Adzio" per la famiglia), figlio d'una ricca e nobile famiglia d'industriali polacchi, era solo un bambino (11 anni) quando Thomas Mann, in vacanza a Venezia nel 1911, lo notò (senza mai parlargli), e sul suo amore impossibile costruì il romanzo Morte a Venezia.
L'autore ha ricostruito la vita di Moes: ricco industriale e padre di famiglia, poi combattente nella guerra contro i tedeschi, prigioniero, infine costretto a rifarsi una vita dopo che la Polonia comunista gli ebbe sequestrato i beni. Ricostruisce anche la vita di Jas, l'amichetto con cui Mann lo vedeva giocare e lottare.
Ma oltre a questo, Adair esamina la doppia stratificazione che la vicenda ha avuto: prima nel romanzo di Mann, che ovviamente ha modificato una serie di dettagli, pur rimanendo sorprendentemente fedele nel racconto ad eventi minuti realmente accaduti. Poi nel film di Visconti, che ha dato un volto a Tadzio, tanto riuscito che alla fin fine oggi è il volto del modello reale a sembrarci... poco somigliante a quello del romanzo di Mann. Le foto di Moes riportate in questo librettino, infatti, ci mostrano un bamboccetto antipatico che nulla ha in comune con l'angelo perverso che ci ha presentato Visconti. In più, è solo un bambino, laddove quello di Visconti era un adolescente praticamente adulto, dolce ma virile.
Per questo tutta la parte finale del libretto è utilizzata per discutere e valutare il film di Visconti.
Un'analisi storico-letteraria che, pure nella sua brevità, mostra come si possa indagare sui fatti storici a cui si ispirano le opere letterarie, senza cadere nel pettegolezzo fine a se stesso.