recensione diGiovanni Dall'Orto
Checca
In questo breve romanzo del 1951 (ma inedito fino al 1985) Burroughs viene a patti con la propria omosessualità. Scritto per superare tre fatti cruciali nella sua vita (l'omicidio accidentale della moglie, il tentativo di disintossicarsi dalla droga, e l'innamoramento per un giovane americano a Città del Messico) il racconto porta le tracce evidenti del terzo, tracce meno visibili del secondo, nessuna del primo.
Scritto in un linguaggio piano, non sperimentale, è fondamentalmente il racconto delle sofferenze d'amore di un bel giovane eterosessuale, Allerton, disposto magari a vendersi senza storie (due volte alla settimana in cambio di un viaggio tutto spesato nel Sud America) ma non ad amare.
Le pagine di questo viaggio alla ricerca di una mitica droga, lo Yage, sono costellate da momenti di sesso dell'io narrante Lee con Allerton (molto pudichi) e momenti di sconforto perché il ragazzo dà il corpo ma assolutamente nulla di più.
Nella prima parte della vicenda è altresì graziosa la descrizione del sottobosco in cui si mescolano espatriati Usa, drogati, omosessuali, persone nei guai con la legge, che a Città del Messico trovano una prefigurazione dei quella "Interzone" che poi Burroughs avrebbe poi trovato a Tangeri.
N. B.: la traduzione del titolo originario, Queer, non è proprio centrata: queer è forse più "frocio" che "checca".