recensione diGianni Geraci
Chi era veramente il "servo" del centurione?
Il libro colpisce per una interpretazione personale, ma _ come si è detto _ storicamente e scientificamente fondata _ di un famoso episodio evangelico: la guarigione del "servo" del centurione, effettuata da Gesù a distanza e, per così dire, sulla parola, così com'è raccontata nei due vangeli sinottici di Matteo e di Luca. Ora, noi sappiamo che cos'era un centurione (greco: hekatontàrches): il comandante di una centuria, ossia di un reparto di cento uomini dell'esercito romano, equivalente di solito alla sesta parte di una corte, che a sua volta era la decima parte di una legione. Il Nuovo Testamento presenta generalmente in una luce non sfavorevole diversi di questi ufficiali. Di alcuni di essi conosciamo addirittura il nome, come quello tramandatoci dagli Atti degli Apostoli (10:1-48) che ne raccontano la miracolosa conversione a partire da una visione angelica: Cornelio, centurione della corte italica di stanza a Cesare di Palestina. Così pure conosciamo quello del centurione Giulio, della corte Augusta, che accompagnò a Roma l'apostolo Paolo, prigioniero per ordine del governatore della Palestina, Porcio Festo, e lo trattò con umanità, difendendolo durante il naufragio dai soldati che volevano ucciderlo, come si racconta _ sempre negli Atti _ al capitolo ventisette. Ma invece non sappiamo esattamente che cosa fosse un "servo" di centurione: ne leggiamo in Matteo 8:5-13, e con leggere _ ma non trascurabili _ varianti, in Marco 7:1-10. Nella cosiddetta versione "riveduta", adottata dalle chiese evangeliche, il termine è appunto "servo" o "servitore"; così pure nella cosiddetta "Bible de Jèrusalem" e in quella _ mastodontica _ della Piemme, "famiglio" nella veneranda Diodati. Ma la versione letterale del celebre André Chouraqui dice invece "garcon", ragazzo, per Matteo, e "serviteur", servo, per Luca, dove però si aggiunge "che gli era molto caro" (il servitore al centurione). Nella Vulgata di San Gerolamo abbiamo infatti "puer" (ragazzo) nel primo caso ("pàis" in greco), e "servus" (in greco "doulus") nel secondo.
Ora, perché tutta questa minuta disamina? State a sentire che cosa ne ricava il Theissen, con tutta la sua esperienza storico-sociologico-esagetica, al capitolo XI del suo romanzo. Dice uno dei suoi personaggi: "Un giorno venne da lui (da Gesù, n.d.r.) un capo militare pagano che vive qui a Capernaum. Questi gli chiese di guarire il suo attendente (così nella traduzione italiana: non conosciamo l'originale tedesco, n.d.r.). Naturalmente è giusto prestare aiuto anche ai pagani. Ma perché proprio a questo? Tutti sanno che questi ufficiali pagani sono molto spesso omosessuali. I loro attendenti sono i loro amanti. Ma a Gesù questo non interessa. Non si è nemmeno informato ìer sapere che tipo di ragazzo fosse. Lo guarì _ e non pensò minimamente che, in seguito, a qualcuno potesse venire l'idea di richiamarsi a lui per sostenere che l'omosessualità può essere ammessa!". "Sei sicuro che l'ufficiale fosse omosessuale?" chiede un interlocutore. E l'altro replica: "Naturalmente no. Ma chiunque dovrebbe avere questo sospetto. E Gesù si è rivolto a lui senza preoccuparsi di questo sospetto" (pag. 160). Capita l'antifona? Non ce ne stupiremo certamente noi, che leggiamo anche, in Giovanni 13:23, il racconto dell'ultima cena e dello svelamento del traditore: "Or a tavola, inclinato sul seno di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava"... Vuol forse dire, l'evangelista, che sa di chi sta parlando (era lui, il discepolo prediletto), che Gesù gli altri discepoli "non" li amava? Li amava sicuramente, ma non in "quel" modo speciale con cui amava quello appunto _ prediletto. A noi pare così chiaro! Ci conforta il latino della Vulgata: "Quem diligebat (prediligeva) Jesus", greco "hegàpa", e la puntuale versione letterale di Chouraqui: "Celui que Iéshoua' aime"... Chissà il professor Theissen che ne direbbe?