Approfittando di una breve vacanza a Roma, "Pride" ha intervistato Edmund White, scrittore gay americano fra i più noti e amati nel mondo, Italia compresa
Ho incontrato Edmund White a Roma dove ha trascorso un breve periodo di vacanza insieme al suo giovane compagno, Michael Carroll, anch'egli scrittore.
Insieme a Gianni Farinetti, anch'egli in quei giorni a Roma, abbiamo organizzato una festa in suo onore a cui ha partecipato con entusiasmo anche Ivan Cotroneo. La festa, al Circolo "Mario Mieli", è stato un evento culturale molto intenso e tutti siamo stati conquistati dalla simpatia di White, dalla sua schiettezza, dalla sua ironia, dalla sua intelligenza.
Ho rivisto White nei giorni successivi per questa intervista e ogni incontro è stato un arricchimento e una scoperta.
Ecco cosa ci ha detto.
I tuoi libri, profondamente autobiografici, rappresentano un po' l'evoluzione della coscienza politica e culturale della comunità gay. Si può dire che per te "il personale è politico"?
Sì, credo di sì. Quand'ero ragazzo pensavo di essere unico, mi pareva di non somigliare a nessuno, poi pian piano ho scoperto che non ero bizzarro, ma rappresentativo. È da qui che comincia la mia scrittura: dalla consapevolezza del fatto che i miei problemi non erano solo miei.
All'inizio forse ho scritto per compensare le mie angosce, per sopravvivere, perché ero molto scontento di me e della mia omosessualità, che negli anni Cinquanta si viveva come una malattia, ma dopo ho scritto perché ho trovato che la mia vita non era eccentrica, ma banale, banale per gli omosessuali, per molti omosessuali della mia generazione che si riconoscevano nei miei libri.
La cosa meravigliosa della scrittura è questa capacità di parlare a tanta gente. Recentemente un ragazzo nero di 19 anni, africano, mi ha detto: "Ho letto Un giovane americano e la tua vita è esattamente come la mia". Ecco, ho pensato, questo è meraviglioso. Quando si scrive in modo intimo, profondamente intimo, la letteratura diventa universale.
Una caratteristica della tua scrittura è la mescolanza di dramma e ironia anche quando parli di sesso e di corporeità. è una modalità di raccontare il sesso solo tua. Come nasce?
Io penso che ci sono due modi per rappresentare il sesso: uno è quello della pornografia, che è una forma di rappresentazione che deve seguire delle sue regole precise per poter diventare "la lettura di una sola mano". Poi c'è la rappresentazione realistica che seguo io, che in realtà non è molto frequente, e che consiste nel seguire tutti i piccoli pensieri che ti passano nella mente quando fai l'amore, perché c'è come una scissione tra corpo e mente, è come guardarsi dall'esterno in maniera disincantata, e questo spesso è molto divertente.
In Italia, ma non solo, molti scrittori che sono gay rifiutano di considerarsi "scrittori gay" perché temono che un impegno diretto sul tema dell'identità gay possa significare una forma di marginalizzazione. Cosa ne pensi?
La cultura americana è diversa, come è diversa la vita americana, perché noi siamo un popolo di emigrati.
Da noi ci sono gli "italo-americani", i "neri africani-americani", gli "ebrei americani" e ogni gruppo elabora una sua cultura. Per me però è stato un po' diverso perché non credo che i miei libri si collochino in una tradizione. Quand'ero giovane non leggevo libri gay, che non trovavo. Sì, poi ho letto Gide, Morte a Venezia di Thomas Mann e qualche altro libro, ma non mi identificavo in loro. Le mie esperienze erano diverse. E però quando ho cominciato a scrivere, quello che scrivevo era già un libro gay e questo forse è strano, ma io non potevo scrivere se non a partire dal bisogno di raccontare me stesso.
In Europa è tutto molto diverso. Qui c'è questa idea di universalità, e dunque anche gli scrittori ebrei non si dicono "scrittori ebrei", né i neri "scrittori neri", né i gay "scrittori gay", ma in America tutti gli scrittori sono marginalizzati….
Non credo si possa parlare di "marginalizzazione" per Toni Morrison o per Edmund White…
No certo, non siamo marginalizzati, però voglio dire che ogni scrittore parte dalla sua specificità e dalla sua marginalità. Chi non è marginalizzato non mi pare abbia molto da dire.
Io ho molta simpatia per gli eterosessuali, perché non hanno argomenti nuovi. A parte l'adulterio, non mi pare che abbiano molto altro da raccontare.
Tu hai scritto due libri su due grandi scrittori francesi, Genet e Proust. Cosa ti ha interessato in due figure così diverse?
Sì, si tratta di due scrittori molto diversi: uno un grande borghese, l'altro poverissimo, ladro e galeotto.
Di Genet nessuno aveva scritto una biografia, e si è trattato di una ricerca molto complessa, che è durata sette anni, veramente una sfida per me. È stato difficile, ma attraverso questa ricerca ho conosciuto una Francia inedita, ho scoperto il sistema carcerario, la pratica dei bambini abbandonati, le prigioni, tutti aspetti della vita di Genet che mi affascinavano.
Hai conosciuto Genet?
No, ma avrei potuto conoscerlo. Lui è morto nel 1986 ed io sono arrivato a Parigi nel 1983, ma a lui non piacevano gli americani, né i bianchi, né gli scrittori, né gli altri omosessuali, e dunque ho lasciato perdere. Quando però un editore mi ha proposto di scrivere una sua biografia sono stato molto contento.
Per Proust è stato diverso perché su di lui di libri ne sono stati scritti tanti. E dunque ho scritto un libro piccolo e sintetico sulla questione gay di Proust, perché stranamente i francesi non amano dire che Proust era omosessuale. E infatti il libro non lo hanno tradotto.
Anche in America i sostenitori di Proust, i suoi "sacerdoti" non vogliono che si dica che Proust era omosessuale, perché verrebbe meno la sua "universalità". Ma questo per me è una follia.
Sappiamo tutti che Albertine era il giovane pilota italiano Alfredo Agostinelli, suo autista e segretario, e se Albertine è un personaggio così importante nella Recherche è perché dietro c'è questa storia d'amore. È tutto molto chiaro.
E poi ci sono tanti aspetti della vita gay nell'opera di Proust, c'è anche una lettera al suo editore Gallimard, in cui scrive esplicitamente "il mio è un libro omosessuale", e lo dice perché ha scoperto un nuovo soggetto narrativo.
Lui infatti descrive per primo tante situazioni gay, dalla drague ai bordelli omosessuali alle pratiche sadomaso.
Indagare questi aspetti della vita e della letteratura di Proust non significa marginalizzarlo. è un problema che non capisco.
Quanto è cambiata la realtà gay (almeno nelle grandi città) dagli anni Settanta ad oggi? Si può parlare ancora di marginalizzazione dei gay?
Non so. Dove insegno, a Princeton, tutti sono molto aperti nei confronti dell'omosessualità. Michael, il mio compagno, ha tutti i diritti di un coniuge, a cominciare dall'assistenza medica, ma sembra che siamo i soli omosessuali. Non se ne incontrano altri, all'Università di Princeton. Dunque quest'apertura è, secondo me, molto teorica.
Quando l'omosessualità è esplicita, per un senso di politically correct la gente si mostra ben disposta, ma per i più rimane qualcosa da nascondere. A New York no, ma nelle piccole città e in provincia è così.
Tu sei vissuto anche a Roma. Qui quali cambiamenti trovi?
Tanti cambiamenti. Sono vissuto a Roma nel 1970: c'era un solo bar gay dalle parti di via Veneto, il Saint James, non c'era nemmeno una sauna. Era tutto molto nascosto.
I ragazzi erano tutti vestiti con giacca e cravatta, anche al Colosseo, dove spesso si andava di notte e lì succedevano delle cose, ma era difficile convincere qualcuno a passare insieme la notte.
Io allora dividevo un appartamento con un ragazzo e sembravamo i soli ad avere una casa disponibile. Tutti vivevano con i genitori.
Ho conosciuto allora tanti uomini che sono diventati miei amici, ma stranieri, i veri italiani no: difficilmente era possibile vederli una seconda volta. Loro avevano paura, tanta paura.
Anche una cosa come il sadomasochismo non esisteva per niente in Italia, tanto che mi veniva da pensare che il sadomasochismo avesse a che fare col protestantesimo e che non esistesse per niente nei paesi cattolici, ma adesso ho visto che ci sono gruppi sadomaso anche qui.
Sono anche andato in sauna, era piena di gente di tutte le età, anche della mia, c'era un'atmosfera molto simpatica. Ho pure trovato un bel ragazzo che continuo a vedere… dunque mi è piaciuto molto…
Insomma sì, è tutto diverso. La gente è molto più aperta, è una realtà completamente nuova e inimmaginabile allora.
Negli ultimi tuoi libri il tema centrale è l'Aids. Quanto la malattia ha cambiato la cultura gay?
In America l'Aids ha cambiato tutto, anche la politica.
Negli anni Settanta solamente le persone di sinistra erano solidali coi gay. Dopo gli anni Ottanta tutti sono stati costretti ad ammettere questa realtà e si sono dati da fare per combattere l'Aids.
La società gay è diventata più attenta, ma è anche diventata spesso di destra, molto più conformista.
I gay sono diventati "praticamente normali" come diceva Andrew Sullivan in un suo libro di qualche anno fa?
Sì, ma Sullivan è di destra ed è anche cattolico. Lui è ricco, bianco, borghese, redattore di una grande rivista. Certo per lui problemi legati all'omosessualità forse non ce ne sono più, ma per i gay neri, per i gay vecchi, per i gay poveri, i problemi ci sono e tanti. E per le lesbiche, emarginate doppiamente, ancora di più…
Come vivono i gay la realtà del neoconservatorismo di Bush?
Nei ghetti gay di New York e di San Francisco il problema sembra non esistere. Per la destra il ghetto è un po' come una riserva indiana.
Siamo messi lì tutti insieme e non disturbiamo. Ma questo non va assolutamente bene e non mi piace.
Io parlo sempre apertamente anche con i miei studenti, con i loro genitori che sono persone di destra. Parlo apertamente, perché è importante che qualcuno come me, di 64 anni, professore, a capo di un dipartimento, sia esplicito e non sia gay solo nel ghetto.
Certo per me è anche più facile, ma è necessario essere sempre chiari.
Io comunque credo che questo neoconservatorismo sia come un cancro che ancora non ha contagiato tutto il corpo sociale, e spero che a novembre Bush sia cacciato dalla Casa Bianca.
Certo, anche la stampa all'inizio è stata molto pigra nei confronti di Bush, perché apparentemente sembrava che non cambiasse molto, ma in realtà le cose sono peggiorate sempre più.
Da noi c'è stato anche un altro fenomeno interessante: i gay conservatori. A loro Bush aveva anche fatto delle promesse, ma poi ha scelto i cristiani di estrema destra e dunque ha abbandonato questi omosessuali che, secondo me, erano già un po' pazzi… e che ora si sentono traditi.
Un po' in tutto il mondo, ed anche in Italia, il movimento gay cerca di ottenere diritti come il matrimonio e la possibilità di adottare bambini. Cosa ne pensi? Tu hai mai pensato di sposarti?
Io no, ma voglio che ci siano questi diritti.
All'inizio ero contrario perché pensavo che era ancora un modo di andare a destra, di accettare la famiglia e i valori borghesi. Io appartengo alla generazione che combatteva tutto questo. Adesso ho cambiato idea perché vedo che il matrimonio è un argomento che li fa arrabbiare, e quindi deve essere una buona cosa, e poi è un diritto di tutti e voglio che sia anche mio. Se non me ne servo, è un fatto mio.
In Italia poi mi pare tutta una grande ipocrisia, anche l'ostilità della Chiesa. Da voi c'è una natalità molto bassa, la più bassa d'Europa, più della stessa Svezia, e matrimoni e adozioni dovrebbero essere facilitati e incentivati…
È in programma la pubblicazione in Italia di qualche tuo libro?
Sì, uscirà presto Fanny. Si tratta di un libro bizzarro per me, un romanzo storico, non esplicitamente omosessuale, ambientato nell'America dell'Ottocento.
Dopo il mio lungo soggiorno a Parigi, quando sono tornato in America ho cominciato questa ricerca che mi ha aiutato a riscoprire il mio Paese. I personaggi principali sono due donne, Fanny Wright, una femminista della prima ora, e la madre dello scrittore inglese Antony Trollop, una donna molto povera che era venuta in America a cercare fortuna. È uno sguardo un po' particolare sull'America dell'Ottocento, sui suoi costumi, sulle sue idee.
Mi hai detto che a Roma lavori bene. A cosa stai lavorando in questi giorni?
Sto scrivendo le mie memorie e molti mi dicono: "Ma le hai già scritte!". In verità credo che nei miei romanzi si mescolino sempre autobiografia e fiction. Queste memorie sono un'altra cosa.
Il libro non è organizzato secondo una successione cronologica, ma per soggetti: le mie donne, i miei amanti, le mie marchette, i miei psichiatri… Sarà divertente, spero.
È un libro anche molto esplicito sulla mia vita privata, racconto cose che non avrei mai pensato di poter raccontare, ma l'ho dovuto fare. Il libro si intitolerà Le mie vite e credo che sarà pubblicato presto anche in Italia.
Mi dici qualcosa della letteratura gay americana delle nuove generazioni?
Ci sono molti bravi scrittori gay. A parte Cunningham, Leavitt ed altri che sono ormai affermati, ce ne sono moltissimi che sono meravigliosi.
Adesso sto leggendo racconti di giovani per una antologia di scrittori gay esordienti, che hanno meno di 30 anni, e molti sono proprio bravi.
Il fatto è che in America sta un po' passando la moda della letteratura gay e così ci sono scrittori di talento, ma non sono molte le case editrici che si interessano a questa letteratura. Io e il mio compagno, che ha 25 anni meno di me, siamo diventati un po' il punto di riferimento per tutti questi giovani esordienti. È molto interessante per me scoprire nuovi talenti e, a parte la moda che è una questione di mercato, credo che questo sia un momento molto fertile per la letteratura gay.
A quando un'altra vacanza romana?
Penso il prossimo anno. Stiamo molto bene a Roma, anche Michael sta lavorando benissimo e dunque torneremo presto.
CHI È EDMUND WHITE
Edmund White, nato nel 1940 a Cincinnati nell'Ohio, professore all'Università di Princeton, è considerato oggi il maggiore scrittore gay americano e i suoi libri sono diventati un imprescindibile punto di riferimento per chi crede nell'importanza della conoscenza e della diffusione della cultura gay e per chi ama la letteratura.
I suoi romanzi, costruiti con una inedita commistione di biografia e fiction, raccontano, a partire da sé, la difficile formazione gay nel mondo conformista e chiuso degli anni Cinquanta (Un giovane americano), l'inizio del movimento di liberazione gay con la rivolta di Stonewall, "la nostra presa della Bastiglia" (E la bella stanza è vuota), l'irruzione della tragedia dell'Aids (La sinfonia dell'addio), la complessità di un rapporto di coppia maschile (L'uomo sposato).
Impegnato anche con testi saggistici nella testimonianza e nella diffusione della cultura gay White, che si definisce senza esitazioni "scrittore gay", nei suoi libri indaga con lucidità e fermezza, fino al dettaglio più intimo e indicibile, le emozioni, le fantasie, le conquiste, i dolori che hanno accompagnato l'evoluzione della coscienza gay, sempre con la consapevolezza di essere parte di una comunità e di una cultura non ancora pienamente legittimate.
Molti suoi libri ancora non sono tradotti in Italia: dai romanzi degli anni Settanta Forgetting Elena e Nocturnes for The King of Naples ai saggi The burning library del 1994, Marcel Proust del 1999, Loss within loss: artists in age of Aids del 2001, fino all'ultimo romanzo Fanny, a fiction, del 2003.
In italiano sono disponibili i quattro romanzi della tetralogia Un giovane americano (pubblicato da Einaudi nel 1990, ora in edizione economica presso Baldini&Castoldi), E la bella stanza è vuota (Einaudi 1992), La sinfonia dell'addio (Baldini&Castoldi 1998), Un uomo sposato (Baldini &Castoldi 2002), Stati del desiderio (Zoe 1999), Le gioie dell'omosessualità (Centro Studi Terapie sessuali di Bologna 1985), Ladro di stile. Le diverse vite di Jean Genet (Il Saggiatore 1998), e la raccolta di racconti Scorticato vivo (Derive Approdi 2002).