Non c'è modo migliore, per introdurre un animo poetico così estremo, puro e contraddittorio come quello di Paul Verlaine, se non quello di presentarlo con le parole con cui ha voluto dipingerlo il suo compagno di maledizione, il suo «grande peccato radioso», come ebbe a dire lo stesso Verlaine:
Ascoltiamo la confessione di un compagno d'inferno:
«O divino Sposo, mio Signore, non rifiutate la confessione della più triste fra le vostre serve. Sono perduta. Sono ubriaca. Sono impura. Che vita!
«Perdono, divino Signore, perdono! Ah! perdono! Quante lacrime. E quante lacrime più tardi, spero!
«Più tardi conoscerò il divino Sposo! Sono nata sottomessa a Lui. - L'altro può picchiarmi, adesso!
«Per ora, sto in fondo al mondo! O amiche mie!& no, non amiche mie& Mai deliri né torture simili& Com'è stupido!
«Ah! soffro, grido. Soffro veramente. Eppure tutto mi è permesso, carica del disprezzo dei più miserabili cuori.
«Insomma, facciamo dunque questa confidenza, a costo di doverla ripetere altre venti volte, - non meno squallida, non meno insignificante!
«Sono schiava dello Sposo infernale, quello che ha dannato le vergini folli. Proprio lui, quel demonio. Non è uno spettro, non è un fantasma. Ma io che ho perduto la saggezza, che sono dannata e morta per il mondo - non mi uccideranno! - Come descriverlo! Non so più neppure parlare. Sono in lutto, piango, ho paura. Un po' di refrigerio, Signore, se volete, se appena volete!
«Io sono vedova& - Ero vedova& - ma sì, sono stata molto seria, un tempo, e non sono nata per diventare scheletro!& - Lui era quasi un bambino& Le sue delicatezze misteriose mi avevano sedotta. Ho dimenticato tutti i miei doveri umani per seguirlo. Che vita! La vera vita è assente. Noi non siamo al mondo. Io vado dove va lui, è necessario. E spesso va in collera con me, me, la povera anima. Demonio! - È un demonio, sapete, non è un uomo.
In questo capitolo di Una stagione all'inferno (l'unica opera la cui pubblicazione fu curata dall'autore stesso, nel 1873), Arthur Rimbaud fa parlare appunto il suo mentore come un invasato mendicante di affetto - perfetta rappresentazione della realtà - che supplica, maledice e invoca disperatamente il proprio ideale d'amore e distruzione, con un tono che attraversa in modo esaltato più registri, dal febbrile all'estatico. Rimbaud si innamorò di Verlaine per la sua straordinaria leggerezza poetica (in una lettera del 25 agosto 1870 al suo professore Georges Izambard, egli racconta le meravigliose impressioni che in lui ha destato la lettura della raccolta verleniana, Feste galanti: «È qualcosa di molto bizzarro, di stranissimo; ma in realtà adorabile!») e fu invece per la terribile pesantezza che Verlaine infondeva nella sua esistenza, così tesa all'autodistruzione, che poi decise fermamente di abbandonarlo. Furono compagni d'arte e di bagordi, ma soprattutto amanti nel modo più puro e completo; però, in quanto uomini rimasti prigionieri della loro stessa arte, nel loro eterno conflitto tra lo stato ideale della poesia - in cui erano padroni - e quello volgare ed effimero della realtà - in cui erano reietti -, finirono con lo scagliarsi contro il mondo, ritirandosi in un rapporto esclusivo, in cui l'uno eleggeva l'altro a proprio salvatore, quando entrambi in realtà stavano affogando, così che invece di salvarsi, rischiarono per poco di distruggersi a vicenda.
Paul-Marie Verlaine era nato a Metz, capitale della Lorena, il 30 marzo 1844. Suo padre, Nicolas Auguste Verlaine di Bertrix, capitano del genio, e sua madre, Elisa-Stéphanie Dehée, proveniente da una famiglia di agricoltori, non erano più giovani al momento della sua nascita, che venne accolta con estremo piacere, dopo che la coppia aveva subito il dolore di tre aborti. Quell'unico figlio tanto desiderato fu però oggetto di un gran numero di attenzioni e di aspettative, le quali pesarono sul suo carattere in modo da debilitarne l'autostima e accrescere il suo bisogno d'un riscontro affettivo, con chiunque e in ogni situazione. Nel 1851 la famiglia si trasferì a Parigi, dove il giovane Paul ebbe modo di cominciare i suoi studi, precisamente nel collegio Landry. Fondamentale nella sua infanzia sarebbe stata la presenza della cugina Élisa Moncomble, rimasta orfana ed allevata in casa; per la dolce e attraente ragazza egli sviluppò un particolare e audace affetto. Fu con profonda tristezza infatti, che Verlaine accolse la notizia del suo matrimonio, avvenuto nel 1861, nonostante, a partire dall'agosto dell'anno seguente, egli avrebbe trascorso, nella casa di Élisa e di suo marito, delle indimenticabili vacanze, tra letture, caccia e passeggiate. Fu questo però il periodo in cui, scontento di se stesso e del suo insuccesso sociale, il poeta cominciò a bere.
Fondamentale per la formazione artistica del giovane Paul, fu la lettura di Baudelaire, cominciata per caso negli anni di liceo. Così egli avrebbe ricordato questo incontro nel suo scritto autobiografico, Confessioni (Confessions, 1895):
Le mie prime letture o per essere precisi la mia prima, primissima lettura fu […] "Les fleurs du mal", prima edizione, che un istitutore aveva sbadatamente lasciato sulla cattedra e che io non mi feci scrupolo di confiscare. Inutile dire che non avevo alcuna idea di questo genere di poesia, così fuori dalla mia portata a quella età, che pur nutrivo di misurati "brani scelti"& Persino il titolo mi rimase a lungo inaccessibile e divorai il libro senza capire nient'altro se non che parlava di "perversità" (come si dice nei collegi per fanciulle) e talvolta di& nudità, duplice attrattiva per la mia giovane "corruzione", - ed ero fermamente persuaso che il libro si chiamasse, molto semplicemente, "Les fleurs de mai" (I fiori di maggio, N.d.T.). Come che sia, Baudelaire ebbe su di me in quel periodo un'influenza se non altro di imitazione infantile e con tutte le sue possibili variazioni, eppure fu un'influenza reale e non poteva che crescere e, insomma, guadagnare in chiarezza e in logica.
Si iscrisse poi alla facoltà di legge; prese inoltre lezioni di matematica, nell'intenzione di partecipare al concorso per il Ministero delle Finanze. Nell'estate del 1863 Verlaine pubblicò il suo primo sonetto, "Monsieur Prudhomme" (firmandosi come Pablo), su " La Revue du Progrès", fondata quello stesso anno da Louis Xavier de Ricard, la cui madre, marchesa de Ricard, avrebbe accolto il giovane poeta nel suo salotto aristocratico e letterario. Qui egli conobbe Théodore de Banville, Auguste de Villiers de L'Isle-Adam, François Coppée e gli altri poeti che avrebbero formato il "Parnasse contemporain", gruppo letterario che avrebbe realizzato tre volumi di un nuovo genere di poesia, pubblicati dall'editore Alphonse Lemerre. Così il critico napoletano Vittorio Pica (1862-1930), sintetizzò i principi della poesia "parnassiana":
Infine, in opposizione al lirismo ispirato, tempestoso e scompigliato di Lamartine e di Musset, ai quali poco stava a cuore la ricchezza della rima e la sonora armonia dei ritmi, i Parnassiani, seguendo l'esempio di Gautier e di Leconte de Lisle, volevano bandita la passione dai canti dei poeti ed aspiravano ad un ideale di bellezza plastica, ad una fredda e splendida rigidità marmorea, ad un superbo ed impassibile oggettivismo. [4]
Sette delle poesie di Verlaine sarebbero state pubblicate nel IX fascicolo del "Parnasse contemporain" (1866). Il suo stile, seppur affinatosi a partire dalla tecnica di questa scuola poetica, si sarebbe poi distinto per una portata emotiva ed una espressione musicale assolutamente distintivi e originali.
Nel 1864 la famiglia Verlaine cominciò a versare in pessime condizioni finanziarie, e la salute del padre divenne malferma. Egli si decise allora ad abbandonare gli studi giuridici, accettando di impiegarsi, dapprima in una compagnia di assicurazioni, poi presso l'amministrazione del Municipio di Parigi. Frequenti erano divenute le sue frequentazioni del Café du Gaz: bere era ormai diventato un vizio. Il 30 dicembre 1865 morì suo padre. Verlaine era passato nel frattempo alla Prefettura della Senna, con uno stipendio discreto.
Nel novembre del 1866, grazie all'aiuto economico di sua cugina Élisa, Verlaine poté pubblicare la sua prima raccolta poetica, dal titolo Poesie saturnine (Poèmes saturniens), edita da Lemerre. In essa cominciava a delinearsi quello che, con la maturità, sarebbe divenuto il suo personale stile: le parole vengono sciolte dal poeta in gocce di musica, così che i versi si trovano proiettati sopra un pentagramma, e la poesia non diventa altro che un armonioso e seducente invito ad abbandonarsi alla corrente della memoria e dei sensi, come traspare, in maniera elegantissima, nel celebre sonetto "Il mio sogno familiare" (Mon rêve familier):
Io faccio spesso il sogno strano e penetrante
d'una donna sconosciuta, che amo, e che m'ama,
ed ogni volta non è mai davvero la stessa
né mai davvero un'altra, e m'ama e mi comprende.
Poiché ella mi comprende, il mio cuore limpido
per lei sola, ahimè!, non è più un problema,
per lei sola, e la mia umida fronte impallidita
lei sola sa rinfrescarla, quando piange.
È lei bruna, bionda o rossa? Lo ignoro.
Il suo nome? Ricordo che è dolce e sonoro,
come quelli dei cari che la vita ha esiliato.
Il suo sguardo è come quello delle statue,
e la sua voce, lontana, calma e grave,
ha l'inflessione delle care voci ormai mute. [5]
Il 16 febbraio 1867 sua cugina Élisa morì a Lécluse; Verlaine arrivò tardi al funerale, e trascorse tre giorni disperati ad ubriacarsi, destando scandalo in famiglia e nel paese. Tornato a Parigi, cominciò a bere l'assenzio. Nel 1868 prese a frequentare il salotto bohèmien di Nina de Villard, ex contessa di Callias, in cui vi ritrovò gran parte degli ospiti del salotto Ricard. Nel marzo dell'anno seguente uscì pubblicato da Lemerre il volumetto, Feste galanti (Fêtes galantes). Questa raccolta è singolare, in quanto si propone come delizioso affresco di una realtà magica e irreale, in cui dietro maschere carnevalesche e ambientazioni arcadiche, si racconta il languore di una sussurrata, tenera e quasi nostalgica passione d'amore. Riporto di seguito una delle più celebri poesie della raccolta:
"Gli ingenui"
Gli alti tacchi con le lunghe gonne lottavano,
sì che secondo il vento o il terreno, un polpaccio -
immancabilmente intercettato! - lampeggiava;
ci piaceva quel gioco d'essere presi al laccio.
Oppure il pungiglione d'un insetto geloso
molestava dai rami il collo delle belle,
ed erano bagliori di nuche bianche, un goloso
banchetto che riempiva i nostri occhi folli.
La sera discendeva, equivoca sera autunnale:
le belle trasognate, al nostro braccio appese,
dissero a bassa voce così speciose parole
che l'anima da allora ne trema e si stupisce. [6]
La sua rivoluzione stilistica, sia per quanto riguarda la metrica e la versificazione sia per il carattere più intimamente espressivo della sua poetica, viene perfettamente analizzata nelle pagine che Joris-Karl Huysmans gli dedicò nel suo celebre romanzo Controcorrente (À rebours), del 1884, il quale avrebbe contribuito non poco ad accrescere la fama di Verlaine nei suoi ultimi dieci anni di vita:
Avvalendosi come rima di forme che il verbo assume nella sua flessione, talvolta persino di lunghi avverbi, traboccanti da un monosillabo come dall'orlo d'una pietra una pesante massa d'acqua, il suo verso, spezzato da inverosimili cesure, diventava spesso singolarmente astruso per l'audacia delle elissi e per strane scorrettezze non prive tuttavia di grazia. Signore come nessuno della metrica, aveva cercato di ringiovanire le forme poetiche a schema fisso […] Ma la sua originalità risiedeva principalmente in questo: nell'aver saputo rendere vaghe e squisite confidenze, scambiate sottovoce nel crepuscolo. Lui solo era riuscito a suggerire certe conturbanti intimità dell'anima, pensieri men che sussurrati, confessioni così a fior di labbro ed interrotte che l'orecchio di chi le percepisce resta esitante, mentre nell'anima gli si diffonde un languore avvivato dal mistero di quel soffio, più che udito, indovinato. [7]
Nel 1869 il poeta conobbe la graziosa Mathilde Mauté de Fleurville, in casa dell'amico musicista Charles de Sivry, che era il fratellastro della ragazza. Egli ne rimase subito impressionato, e intravedendo in lei la possibilità di creare una situazione affettiva sana e serena che avrebbe placato le proprie intemperanze, decise di sposarla, così, mentre si trovava nella campagna di Fampoux, scrisse a Sivry per chiedere la mano di Mathilde. Cominciò allora una fitta corrispondenza, e fu proprio la lontananza di questo periodo, che esasperò e rese ulteriormente gravida di aspettative l'attesa di una felice realizzazione dei suoi propositi di vita coniugale, a portare Verlaine alla composizione della maggior parte delle liriche che sarebbero poi confluite ne La buona canzone (La Bonne Chanson), opera che egli avrebbe dedicato alla sua sposa diciassettenne. Il matrimonio fu celebrato l'11 agosto 1870. La coppia andò a vivere in rue du Cardinal Lemoine.
Dietro sua richiesta, Verlaine fu arruolato nel 160° battaglione della Guardia nazionale. Ricominciò a bere e prese a brutalizzare Mathilde. Nel marzo 1871 gli episodi della Comune di Parigi videro il poeta schierarsi attivamente al fianco dei rivoltosi: egli si occupava della censura dei giornali. Quando però i versagliesi entrarono a Parigi, e l'ordine fu ristabilito, temendo delle ripercussioni, Verlaine e sua moglie si trasferirono per qualche tempo a Fampoux. Rientrarono a Parigi alla fine di agosto, quando il pericolo sembrava scampato. L'ex comunardo ormai non aveva più un lavoro, così la coppia si spostò a casa dei genitori di Mathilde.
Nei primi giorni di settembre del '71 arrivò da Charleville, un villaggio nelle Ardenne, una lettera - inoltrata da una losca conoscenza paesana di Verlaine, Bretagne - firmata Arthur Rimbaud, a cui erano allegate otto sue poesie.
A Paul Verlaine
Charleville, settembre 1871
[…] Ho il progetto di realizzare un grande poema, e a Charleville non mi è possibile lavorare. La mia mancanza di denaro mi impedisce di venire a Parigi. Mia madre è vedova ed estremamente devota. Non mi dà che dieci centesimi tutte le domeniche per pagare la mia sedia in chiesa. […]
Arthur Rimbaud
Paul Verlaine rimase incantato dal talento del giovane poeta, così che rispose con toni entusiastici invitandolo a Parigi, accludendo alla lettera il denaro per raggiungerlo.
Da Paul Verlaine ad Arthur Rimbaud
Parigi, settembre 1871
[…] Venite, cara grande anima, siete chiamato, siete atteso. […]
Il 10 settembre il quasi diciassettenne Rimbaud arrivò in casa Mauté, offrendo a Verlaine la sua ultima composizione, la splendida poesia "Il battello ebbro" (Le bateau ivre). Nel saggio che egli avrebbe dedicato a Rimbaud nel suo celebre libro I poeti maledetti, Verlaine offre questa appassionata e sagace descrizione di come l'imberbe e ribaldo Rimbaud si presentò innanzi ai suoi occhi:
All'epoca relativamente lontana della nostra intimità, M. Arthur Rimbaud era un ragazzo tra i sedici e i diciassette anni, già provvisto di tutto il bagaglio poetico che il vero pubblico dovrebbe conoscere, e che noi proveremo ad analizzare con quante più citazioni ci saranno possibili.
L'uomo era alto, ben piantato, alquanto atletico, dal viso perfettamente ovale di angelo in esilio, con dei capelli spettinati sul castano chiaro e degli occhi d'un azzurro inquietante. Nativo delle Ardenne, possedeva, oltre a un delizioso accento paesano perduto troppo presto, il dono di una pronta assimilazione proprio della gente dei suoi luoghi, - e ciò potrebbe spiegare il rapido inaridirsi, sotto lo stolto cielo di Parigi, della sua vena, per dirla come i nostri padri il cui linguaggio diretto e corretto non aveva sempre torto, alla fine dei conti! [8]
L'atteggiamento audace e sfrontato del nuovo ospite, non mancò di destare stupore e una certa indignazione nell'ambiente borghese di casa Mauté, così che già il 25 settembre Verlaine fu costretto a chiedere a Banville di trovare un alloggio per il suo giovane amico. Da allora in avanti Rimbaud sarebbe stato ospitato a turno da diversi amici di Paul; la sistemazione più durevole fu in quella camera di rue Campagne-Première evocata da Verlaine in una poesia. Questa racconta come tra i due poeti fosse cominciata una relazione che trascendeva la pura amicizia: essa sfociò infatti in un sublime e viscerale incontro tra due difficili entità umane, alla continua e disperata ricerca di un'inesplicabile percorso in cui i sensi potessero liberarsi ed elevarsi dai rovi delle convenzioni morali e sociali, confrontandosi anche nella dimensione sessuale. La poesia sarebbe in seguito stata inclusa nella raccolta Un tempo e poco fa.
"Versi per essere calunniato"
Stasera mi sono chinato sul tuo sonno.
Il tuo corpo riposava casto sull'umile letto,
ed ho visto, come chi si concentri e legga,
ah! ho visto come tutto è vano sotto il sole.
Che si viva, oh quale delicata meraviglia,
tanto il nostro corpo è un fiore che appassisce.
Oh pensiero che porta alla follia!
Va', povero, dormi! Io, sgomento per te, sto sveglio.
Ah! miseria d'amarti, mio fragile amore
che vai respirando come si spira un giorno!
Oh sguardo fermo che la morte renderà tale!
Oh bocca che ride in sogno sulla mia bocca,
in attesa dell'altra risata più feroce!
Presto, svegliati. Di', l'anima è immortale? [9]
La relazione tra i due poeti avrebbe immediatamente sconvolto il matrimonio di Verlaine, e la nascita di suo figlio Georges, il 30 ottobre, placò la tensione familiare solo per pochi giorni. Ormai senza più lavoro, Verlaine usava tornare tardi a casa, e in preda ai fumi dell'alcool si scatenava spesso in scenate di violenza contro la povera Mathilde; in un'occasione, più bonariamente, dimostrò il suo disprezzo coricandosi accanto a sua moglie col cilindro in testa, e con le scarpe infangate poggiate sul cuscino. Rimbaud non si dimostrò da meno, quando durante una lettura di versi a una cena del club letterario "Les Vilains Bonshommes", diede in escandescenza ferendo lievemente il fotografo Carjat.
Così Mathilde descrive nella sua autobiografia le intemperanze e le debolezze di suo marito, su cui Rimbaud, a suo avviso, esercitava una cattiva influenza:
Rimbaud, che non valeva niente (tutti i nostri amici lo hanno constatato), aveva una cattiva influenza sul debole carattere di Verlaine; in più, lo trascinava a bere l'assenzio, ciò che gli faceva perdere la ragione e dava luogo a degli eccessi d'alcolismo e di violenza, tanto penosi quanto irripetibili. Nelle "Confessioni", Verlaine mi accusa di essere stata "gelosa" di Rimbaud. Posso ben dire adesso di non avere mai fatto un simile onore a quel ragazzaccio deviato. Ben lontano da me il pensiero di accusarlo di un vizio di cui ignoravo totalmente l'esistenza; Verlaine, bisogna rendergli giustizia, ha rispettato, nella giovane ragazza che ero, l'innocenza della fanciulla che aveva sposato, e mi lasciò all'oscuro di molte cose immonde, che avrei conosciuto solo più tardi. […] È sempre stato l'uomo dei periodici pentimenti: metà della sua vita è stata spesa a fare del male e l'altra metà a pentirsene. Aveva una natura duplice e, quando era ubriaco, manifestava sempre quella malvagia. [10]
Divenuta impossibile la vita con suo marito, il quale aveva addirittura tentato di strangolarla, Mathilde decise di lasciare la casa e si rifugiò col bambino a Périgueux. Dopo la partenza della moglie, Verlaine andò ad abitare con Rimbaud nella camera di rue Campagne-Première, fino alla prima metà di marzo del 1872. Pentito, Paul scrisse una lettera a Mathilde in cui le chiedeva perdono. Rimbaud tornò allora a Charleville per permettere ai due sposi di ricongiungersi. Il poeta e sua moglie tornarono insieme, ma presto ricominciarono gli screzi, soprattutto dopo il ritorno di Rimbaud, il 18 maggio. In questo periodo Verlaine scrisse la maggior parte delle "Ariette dimenticate" (Ariettes oubliées), che avrebbero costituito la parte iniziale della sua meravigliosa opera Romanze senza parole (Romances sans paroles), che sarebbe stata pubblicata nel 1874. Ecco la poesia che apre la silloge, e che con la sua dolce e languida sensualità, sottilmente evocativa, appare significativa rispetto a quella che sarà l'atmosfera dell'intera raccolta.
È l'estasi languida,
è la stanchezza amorosa,
è ogni fremito dei boschi
nell'abbraccio delle brezze,
è, tra le fronde grigie,
il coro delle piccole voci.
O fragile e fresco mormorio!
Cinguetta e sussurra,
sembra il dolce grido
che l'erba mossa esala&
Diresti, sotto l'acqua che vira,
il sordo rollio dei ciottoli.
Quest'anima che si lamenta
in un gemito sonnolento
è la nostra, non è vero?
La mia, dimmi, e la tua,
diffondono l'umile antifona
lievemente, nella tiepida sera? [11]
Il 7 luglio Verlaine e Rimbaud decisero di partire insieme. Diretti in un primo tempo solo ad Arras e Fampoux, rispediti a Parigi per una smargiassata inventata alla stazione di Arras, ripartiti di nascosto e passata la frontiera belga, raggiunsero a piedi Bruxelles. Per quasi tutto il mese girarono il Belgio. Nella poesia "Laeti et errabundi" - scritta nel 1888, quando fu messa in giro la falsa notizia della morte di Rimbaud, e pubblicata l'anno seguente nella raccolta Parallelamente - Verlaine avrebbe raccontato questo meraviglioso periodo di vagabondaggio, forse la stagione migliore della sua vita, in cui visse un'esaltazione d'amore e una profonda vitalità artistica, per quanto i due compagni furono costretti a soffrire sia le ristrettezze economiche sia il biasimo sociale. Riporto di seguito le strofe a mio avviso più significative della suddetta poesia.
…
Andavamo - ve ne ricordate,
viaggiatore scomparso chissà dove? -
filando leggeri nell'aria sottile
come due spettri gioiosi!
Poiché le passioni appagate
insolentemente oltre ogni misura
riempivano di feste le nostre teste
e i sensi, che tutto rassicura,
tutto, la giovinezza, l'amicizia
e i nostri cuori, ah quanto liberi
dalle donne commiserate
e dall'ultimo dei pregiudizi,
lasciando il timore dell'orgia
e lo scrupolo al buon eremita
perché, varcata la soglia,
Ponsard non ammette limiti.
…
Paesaggi, città
posavano per i nostri occhi instancabili;
le nostre belle curiosità
avrebbero mangiato ogni atlante.
Fiumi e monti, bronzi e marmi,
i tramonti d'oro, l'alba magica,
l'Inghilterra, madre degli alberi,
e il Belgio figlio di torrioni,
il mare, terribile e insieme dolce,
ricamavano sull'amato romanzo
cui non lasciava tregua
la nostra anima - e quid nella nostra carne?&
il romanzo di vivere in due uomini
meglio che sposi modello,
ciascuno versando nel mucchio somme
di affetti forti e fedeli.
L'invidia dagli occhi di basilisco
censurava quel modo di quotarsi:
pranzavamo di biasimo pubblico
e cenavamo con la stessa pietanza.
Talvolta anche la miseria
infuriava nel falansterio:
si reagiva col coraggio,
la gioia e le patate.
Scandalosi senza sapere perché
(forse era troppo bello)
la nostra coppia restava serena
come due bravi portabandiera,
serena nell'orgoglio d'essere più liberi
dei più liberi di questo mondo,
sorda ai paroloni di ogni calibro,
inaccessibili al riso immondo.
…
Dicono che siete morto. Il Diavolo
si porti chi la diffonde
la notizia irreparabile
che batte alla mia porta!
Non voglio crederci. Morto, voi,
tu, dio tra i semidei!
Sono pazzi quelli che lo dicono.
Morto, il mio grande peccato radioso,
tutto quel passato che ancora brucia
nelle mie vene e nel mio cervello
e che risplende e sfolgora
sul mio sempre nuovo fervore!
Morto tutto quel trionfo inaudito
che risuonava senza freno né fine
sul motivo mai svanito
scandito dal mio cuore che fu divino.
Ma come! il poema miracoloso
e l'omni-filosofia,
e la mia patria e la mia bohème
morti? Ma andiamo! tu vivi la mia vita!
In Belgio quindi, i due si abbandonarono a un lungo vagabondaggio, segnato da un ultimo effimero tentativo di riappacificazione con Mathilde (un sensuale incontro in un albergo di Bruxelles, che Verlaine avrebbe ricordato nei versi di "Birds in the night"), che avrebbe tentato di convincere il marito a partire insieme per la Nuova Caledonia, dove erano deportati molti amici della Comune. Verlaine seguì la moglie fino alla frontiera belga, ma poi, scesi dal treno per passare la dogana, si rifiutò di proseguire e raggiunse Rimbaud a Bruxelles. I due si trasferirono a Londra, ma il loro rapporto cominciò ben presto a deteriorarsi, soprattutto a causa del comportamento di Verlaine, sempre più ossessionato dai sensi di colpa nei confronti di sua moglie e di suo figlio, e che per questa sofferenza cercava ormai quotidianamente conforto nella bottiglia.
Nel novembre 1872 Rimbaud tornò a Charleville, e Verlaine ben presto sprofondò nella solitudine, così che si rivolse disperato a sua madre e a sua moglie. Lo raggiunse la madre, accompagnata da Rimbaud. I due poeti ripresero la loro vita in comune. Dopo qualche tempo si separarono nuovamente, per riunirsi poi nel maggio 1873 a Londra. La situazione precipitò agli inizi di luglio, quando Verlaine, offeso da una caustica invettiva del suo compagno, lasciò in tutta fretta la capitale inglese alla volta di Bruxelles. Rimbaud lo rincorse fino al porto, e lo chiamò disperatamente sperando che egli tornasse indietro, ma senza risultato; gli scrisse allora una lettera accorata:
Torna, torna, caro amico, mio solo amico, torna. Ti giuro che sarò buono. Se sono stato sgarbato con te, è stato uno scherzo nel quale mi sono intestardito; me ne pento più di quanto si possa esprimere. Torna, tutto sarà dimenticato. Che disgrazia che tu abbia creduto a quello scherzo. Sono due giorni che non la smetto di piangere. Torna. Sii coraggioso, caro amico. Nulla è perduto. Non devi far altro che rifare il viaggio. Noi vivremo ancora qui, coraggiosamente, pazientemente. Ah! ti supplico! È per il tuo bene, d'altronde. Torna, e ritroverai tutte le tue cose. Spero che ora tu sappia che non c'era niente di vero nella nostra discussione. Che momento spaventoso!
E in una seconda lettera:
Solo con me tu puoi essere libero, e, poiché ti giuro d'essere gentile in avvenire, che deploro tutta la mia parte di torto, che io ho infine lo spirito a posto, che ti amo molto, se tu non vuoi ritornare, o non vuoi che ti raggiunga, commetti un crimine, e te ne pentirai per LUNGHI ANNI, per la perdita della tua libertà, sprofondato nella noia più atroce, per tutto quello che hai provato. Dopodiché, ripensa a quello che eri prima di conoscermi. […]
La sola, unica mia parola è: torna, voglio stare con te, ti amo.
Se la ascolterai, mostrerai del coraggio, e di avere uno spirito sincero.
Altrimenti, io ti pianto.
Ma io t'amo, t'abbraccio, e noi ci rivedremo.
Da Bruxelles, Paul scrisse delle lettere esaltate a sua madre e a Mathilde, minacciando il suicidio. L'8 luglio chiamò a sé Rimbaud, che arrivò la sera stessa. Seguirono due giorni di ubriachezza e litigi.
A porre definitivamente fine al loro tormentato ménage, fu il celebre assalto con la pistola a Rimbaud da parte di un Verlaine disperato e ubriaco, a causa dell'annunciato abbandono del suo amico, che il poeta di Metz avrebbe poi raccontato nel libro autobiografico, Le mie prigioni (Mes prisons, 1893):
È andata così. Nel luglio 1872 (in realtà 1873, N.d.T.), a Bruxelles, per un litigio in strada preceduto da due rivoltellate, di cui la prima aveva ferito in maniera non grave uno degli interlocutori e alle quali essi, due amici, non avevano dato peso, in virtù di un perdono chiesto e concesso seduta stante, - colui che era stato l'autore del deprecabile gesto, del resto in preda all'assenzio prima e dopo, proruppe in un'espressione talmente energica e si frugò nella tasca destra della giacca in cui l'arma, ancora carica di quattro pallottole e con la sicura non innestata, malauguratamente si trovava - e ciò in maniera talmente significativa - che l'altro, preso da paura, fuggì a gambe levate attraverso l'ampia carreggiata (di Hall, se ho buona memoria), inseguito dal forsennato, con sbalordimento dei buoni Belgi che si portavano a spasso la loro flemma pomeridiana sotto un sole dardeggiante. Un vigile urbano che bighellonava da quelle parti non tardò a pizzicare delinquente e testimone. Dopo un interrogatorio assai sommario, nel corso del quale l'aggressore si denunciò più di quanto l'altro non l'accusasse, entrambi, per ingiunzione del rappresentante della forza pubblica, si recarono con lui al municipio, tenendomi il vigile per il braccio, poiché è tempo di dire che ero io l'autore dell'attentato e del tentativo di recidiva, il cui oggetto non risultava essere altri che Arthur Rimbaud, lo strano e grande poeta morto così infelicemente il 23 novembre scorso (in realtà 10 novembre, N.d.T.).
Verlaine fu così arrestato e l'8 agosto venne condannato a due anni di carcere (non per aver ferito Rimbaud, che avrebbe rinunciato alla denuncia, ma per il reato di sodomia), che avrebbe scontato a Bruxelles e poi a Mons. Durante la sua detenzione venne a sapere che il Tribunale della Senna aveva sancito la separazione legale da sua moglie Mathilde. Ciò avrebbe comportato un aumento della desolazione e dell'angoscia sofferte dal poeta, il quale cercò disperatamente rifugio nella religione. Non c'è modo migliore infatti, per tornare in pace con la propria coscienza - quando la coscienza si fonda soprattutto sull'autopunizione - che sottomettersi all'autorità ecclesiastica e all'idea insana di un Dio superbo e severo. La raccolta Saggezza (Sagesse), composta principalmente dalle poesie scritte in prigione, ma pubblicata solo nel 1881, testimonia questo balzo ad un altro eccesso, quello rappresentato da un dogmatico e gretto misticismo che portò il poeta a fustigarsi, a reprimere qualsiasi slancio passionale, qualsiasi desiderio d'ebbrezza, così dolcemente cantati invece nelle raccolte precedenti. Soltanto in qualche caso Saggezza offre al lettore dei lampi di felice lirismo. Basterà riportare la poesia che apre la raccolta, per capire qual è il suo tema dominante.
Buon cavaliere mascherato che cavalca in silenzio,
la Sventura m'ha trafitto con la lancia il vecchio cuore.
In un solo getto vermiglio ha zampillato il sangue
del vecchio cuore, evaporando sui fiori al sole.
L'ombra mi spense gli occhi, un grido salì alla bocca
e il vecchio cuore morì in un brivido selvaggio.
Allora il cavalier Sventura mi si è avvicinato,
poggiato il piede a terra con la mano mi ha toccato.
Il suo dito guantato di ferro m'entrò nella ferita,
mentre con voce dura egli dichiarava la sua legge.
Ed ecco che al gelido contatto del dito di ferro
mi rinasceva un cuore, un cuore puro e fiero,
ed ecco che, fervente d'un candore divino,
un cuore nuovo e buono mi batté nel petto!
Ed io restavo tremante, ebbro, un po' incredulo,
come un uomo che abbia visioni di Dio.
Ma il buon cavaliere, rimontato in sella,
allontanandosi mi fece un cenno con la testa
e mi gridò (la sento ancora quella voce):
"Prudenza, almeno! Perché va bene una volta sola".
Il 16 gennaio 1875 Verlaine uscì di prigione. Immediatamente si adoperò per incontrare il suo dolce, maledetto Rimbaud, che avrebbe veduto a Stoccarda, dove quest'ultimo lavorava come precettore, dopo aver deciso di abbandonare la scrittura. Verlaine insistette nel volerlo di nuovo accanto a sé, ma stavolta in una esistenza votata alla fede cattolica, cosa che Rimbaud rifiutò in modo categorico. I due finirono anche alle mani. In quell'occasione, Verlaine si vide comunque consegnare dal suo giovane collega il manoscritto delle Illuminazioni (Illuminations), della cui pubblicazione si sarebbe curato egli stesso dieci anni dopo. Ci sarebbe stato un ulteriore scambio epistolare, terminato nel dicembre dello stesso anno, quando il ravveduto Verlaine, in un messaggio - dimostrandosi infastidito dalle precedenti lettere in cui il suo compagno continuava a rifiutare la conversione, e in cui sembra che avesse anche manifestato «dei vili, dei cattivi progetti» - esprimeva di non volergli addirittura far conoscere il proprio nuovo indirizzo, tanto non si sentiva sicuro di lui.
Trasferitosi in Inghilterra, Verlaine trovò lavoro come insegnante in diverse scuole, impegnandosi a condurre una vita modesta e proba. Nell'autunno del 1877 tornò in Francia dove divenne insegnante in un istituto a Parigi. Qui la sua attenzione fu attirata dal giovane scolaro Lucien Létinois, che divenne ben presto il suo pupillo, e che avrebbe portato insieme a sé qualche tempo dopo in Inghilterra, dove avrebbe trovato lavoro per entrambi. La relazione tra il poeta ed il ragazzo prese ben presto (almeno per Verlaine) la pericolosa piega della passione amorosa. Alla fine di dicembre del 1878 i due lasciarono l'Inghilterra. Nel 1880 Verlaine comprò una fattoria a Juniville, a sud di Rethel, intestandola al padre di Létinois, in cui si sarebbe stabilito nel mese di marzo insieme al giovane e ai suoi genitori. Qualche anno dopo, a causa del disastroso bilancio, la fattoria sarebbe stata venduta, e mentre i Létinois si trasferirono in Belgio, Verlaine fece ritorno a Parigi, dove alloggiò insieme a Lucien, cercando di ristabilire i contatti col mondo letterario.
La pubblicazione di Saggezza non aveva riscosso alcun consenso, così egli cercò di pubblicare qualche sua vecchia poesia su "Paris-Moderne", la rivista del suo futuro editore, Léon Vanier. Tra i testi pubblicati vi è il celebre "Arte poetica" (Art poétique), che destò l'attenzione di una nuova generazione di poeti, i quali rimasero incantati dalle originali e raffinate regole che Verlaine dettava come punti cardini di un nuovo modo di fare poesia, che rispondesse al principio del gusto sublime, della catarsi, della suggestione pura.
Della musica sopra ogni cosa,
per questo preferisci il verso impari
più vago e più solubile nell'aria,
senza niente che vi pesi o si posi.
Occorre inoltre che tu non scelga
le parole senza qualche noncuranza:
niente è più dolce della canzone grigia
dove il Preciso si unisce all'Indeciso.
Sono begli occhi dietro dei veli,
è la grande luce tremula del meriggio,
è, nel cielo tiepido d'autunno,
l'azzurro groviglio delle chiare stelle.
Perché è la Sfumatura ciò che vogliamo,
non il Colore, solo la Sfumatura!
Oh, la sfumatura sola fidanza
il sogno al sogno e il flauto al corno!
Evita più che puoi la Frecciata assassina,
lo Spirito crudele e il Riso impuro,
che fanno piangere gli occhi dell'Azzurro,
e tutto quest'aglio di bassa cucina!
Prendi l'eloquenza e torcile il collo!
Farai bene, muovendoti ad agire,
a rendere la Rima più assennata.
Senza controllo, dove finirà?
Oh, chi dirà i torti della Rima?
Quale bimbo sordo o negro folle
fabbricò mai questo gioiello inetto
che suona vuoto e falso sotto la lima?
Della musica, ancora e sempre!
Il tuo verso sia la cosa volata via,
che sentiamo fuggire da un'anima
diretta verso altri cieli, ad altri amori.
Il tuo verso sia la buona avventura
sparsa al vento increspato del mattino
che odora di menta e di timo&
E tutto il resto è letteratura.
Il 7 aprile 1883 Lucien Létinois morì a causa di una febbre tifoidea. L'evento fece sprofondare Verlaine in una lancinante disperazione. A Lucien egli avrebbe dedicato una serie di poesie poi apparse nella silloge intitolata Amore (Amour), che fu pubblicata nel 1888, tra cui si ricorda la seguente:
Pattinava meravigliosamente,
lanciandosi - così impetuoso! -
e concludendo con una tale grazia!
Sottile come un'alta giovinetta,
brillante, vivo e forte come un ago,
agile e scattante come un'anguilla.
Prestigiosi giochi d'ottica,
delizioso tormento degli occhi,
un lampo che apparisse grazioso.
Talvolta diventava invisibile,
velocità diretta a un bersaglio,
così lontano, invisibile anch'esso&
Invisibile ancora oggi.
Che ne sarà di lui?
Che ne sarà di lui? [12]
Rimasto da solo, andò ad abitare insieme a sua madre, e presto tornò a dedicarsi a una vita di ubriachezza e vagabondaggio, accompagnandosi spesso a ragazzi corrotti. Ed avrebbe conosciuto nuovamente la galera quando, dopo aver tentato di strangolare sua madre ed aver minacciato il vicino di casa che aveva tentato di fermarlo, fu condannato ad un mese di prigione (13 aprile - 13 maggio 1885). Una volta scarcerato, vagò senza un soldo nella regione di Rethel e nelle Ardenne. Tornato a Parigi, si riappacificò con la madre, con cui andò a vivere in una stanzetta in affitto. In quel periodo cominciarono i problemi di salute: un'artrosi al ginocchio lo tenne immobilizzato per diverso tempo al letto. Intanto però la sua fama letteraria andava sempre più crescendo. Nel 1884 l'editore Vanier aveva pubblicato una raccolta di tre saggi, precedentemente apparsi nella rivista "Lutèce", sotto il titolo de I poeti maledetti (Les poètes maudits), in cui Verlaine analizza con viva passione e profondo acume critico tre grandi e misconosciuti autori del suo tempo, quali Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbière. Nella prefazione a questo libro egli espresse chiaramente le proprie intenzioni:
Per rimanere in atmosfera calma, avremmo dovuto dire Poeti Assoluti. Ma, a parte il fatto che ai nostri tempi la calma non va di moda, il titolo ha di buono questo, che risponde con precisione al nostro odio e, ne siamo certi, a quello dei sopravvissuti fra gli Onnipotenti in questione, per la volgarità dei «lettori scelti» - grossolana falange che ce lo ricambia a dovere.
Assoluti nell'immaginazione, assoluti nell'espressione, assoluti come i Reys netos dei secoli più belli.
Però: maledetti!
A voi giudicare. [19]
Nella seconda edizione del 1888, nella raccolta sarebbero stati aggiunti i ritratti di Marceline Desbordes-Valmore (poetessa stimata da Baudelaire, e in seguito molto apprezzata anche da Rimbaud), Villiers de l'Isle-Adam, e dell'autore stesso, il cui nome viene celato scherzosamente nell'anagramma "Pauvre Lelian".
Nel frattempo era uscita, sempre edita da Vanier, una nuova raccolta di versi dal titolo Un tempo e poco fa (Jadis et naguère), miscellanea di vecchi e nuovi componimenti, tra cui spicca quello che contribuì a fare di Verlaine un poeta cosiddetto "decadente", e in cui viene espressa la rassegnazione di un animo distrutto dall'indolenza, atterrato dalla mancanza di volontà e di slancio vitale, conscio della propria impotenza e lieto di crogiolarsi nel proprio disfacimento:
"Languore"
Sono l'Impero alla fine della decadenza
che guarda passare i grandi barbari bianchi
e in stile d'oro compone acrostici indolenti
dove il languore del sole danza.
L'anima solitaria soffre d'una noia densa,
laggiù, dicono, lunghe battaglie crudeli,
oh non potervi, indebolito dalle fiacche voglie,
oh non volervi fiorire un po' quest'esistenza.
Oh non volervi, oh non potervi morire un poco!
Ah! tutto è bevuto! Batillo hai finito di ridere?
Ah! tutto è bevuto, tutto è mangiato. Niente più da dire.
Solo una poesia un po' sciocca da gettare al fuoco,
solo uno schiavo un po' svelto che vi trascura,
solo una noia di non si sa cosa che vi addolora! [20]
Nel 1886 la madre di Verlaine morì, e suo figlio, trovandosi a letto immobilizzato, non poté neanche assistere al suo funerale. Mathilde si incaricò di ricevere le condoglianze; a lei andarono gli ultimi mille franchi dei risparmi materni, visto che Paul non le aveva mai fatto avere la somma mensile pattuita. Con i pochi soldi rimasti, il poeta andò a vivere insieme a Marie Gambier: questa sarebbe stata la prima di altre sordide relazioni occasionali che egli avrebbe intrattenuto sino alla fine della sua vita. Negli ultimi anni infatti Verlaine si sarebbe diviso principalmente tra due prostitute, Eugénie Krantz e Philomène Boudin, con le quali cercò di instaurare dei rapporti duraturi, ma invano, visto che tutte e due gli erano infedeli e spesso lo derubavano dei suoi pochi soldi. Alle due donne egli avrebbe dedicato le raccolte Canzoni per lei (Chansons pour elle, 1891) e Odi in suo onore (Odes en son honneur, 1893).
Nella primavera del 1886 il poeta conobbe il giovane disegnatore e chansonnier Frédèric-Auguste Cazals (1865-1941), il suo ultimo amore omosessuale, che per volontà di quest'ultimo fu sublimato in una sincera amicizia. Cazals sarebbe diventato il suo ritrattista ufficiale. Di lui Verlaine scrisse:
& è il mio migliore amico. La prova è che abbiamo rischiato di fare una decina di duelli a causa della nostra reciproca e tenace lealtà. Estremista in tutto, spirito, talento, - e abbigliamento, più parigino dei parigini e meno sciocco di quel che si potrebbe temere, è il più divertente dei compagni e il più fedele degli amici. [21]
Dal 1887, man mano che la salute fisica andava peggiorando (all'artrosi si sarebbero aggiunte l'erisipela, la sifilide, la cirrosi epatica e un principio di diabete), cominciò la sua peregrinazione presso gli ospedali parigini. Dopo Amore, nel 1889 venne pubblicata la celebre raccolta Parallelamente (Parallèlement), prezioso florilegio di mistiche e audaci suggestioni sensuali, in cui il poeta dimostra di essere riuscito ormai a sgravare il proprio verso dal triste fardello della penitenza e della colpa, riuscendo a liberare, in un soave labirinto di languidi sapori, la proibita corrente dei sensi. Una sezione della silloge, dal titolo "Le amiche" (Les amies), composta da poesie risalenti al 1867, racconta con delizia episodi di amore saffico. Eccone due esempi:
"Primavera"
Tenera, la giovane donna fulva,
eccitata da tanta innocenza,
sussurra alla bionda giovinetta
queste parole, piano, dolcemente:
«Linfa che sale e fiore che sboccia,
la tua infanzia è una pergola:
lascia vagare le mie dita nel muschio
dove brilla il bocciolo di rosa,
«lasciami bere nell'erba chiara
le gocce di rugiada
che bagnano il tenero fiore,
«affinché, mia cara, il piacere
illumini la tua candida fronte
come l'alba il timido azzurro».
"Estate"
E la fanciulla rispose, in deliquio
sotto l'inesauribile carezza
dell'amante trafelata:
«Io muoio, mia adorata!
«Io muoio; il tuo seno infuocato
e pesante m'inebria e mi opprime;
la tua carne forte da cui sgorga l'ebbrezza
emana un profumo strano;
«ha, la tua carne, il fascino oscuro
delle estive maturità,
e ne ha l'ambra, e l'ombra;
«tuona la tua voce tra le raffiche,
la tua capigliatura sanguinante
fugge bruscamente nella notte lenta» . [22]
Il celebre poeta Paul Valéry (1871-1945) avrebbe offerto un delizioso e avvincente ritratto dell'ultimo Verlaine, che di sovente vedeva camminare in strada diretto verso qualche Caffè:
Quel maledetto, quel benedetto, zoppicando, batteva il suolo col pesante bastone dei vagabondi e degli infermi. Miserabile, gli occhi fiammeggianti sotto i cespugli delle sopracciglia, stupiva tutta la via con la sua brutale maestà e con lo scoppio dei suoi discorsi fragorosi. Circondato da amici, appoggiato al braccio di una donna, parlava - pestando il proprio passaggio - alla sua piccola scorta devota. D'improvviso si fermava, consacrandosi furiosamente alla pienezza dell'invettiva. Poi la disputa si incamminava. Verlaine si allontanava coi suoi, in un penoso picchiare di zoccoli e di bastone, prorompendo in una collera magnifica che a volte - come per miracolo - si tramutava in una risata fresca quasi come il riso di un bimbo. [23]
Particolarmente delicate, sottili e appassionate sono le parole che il poeta Léon-Paul Fargue (1876-1947) avrebbe speso nel suo bellissimo saggio, "Il ya cinquante ans mourait Paul Verlaine", pubblicato come prefazione a una riedizione delle Confessioni:
Mi piaceva osservarlo al caffè e mi restava l'indimenticabile immagine di quell'uomo abbattuto e luminoso, appoggiato col dorso consunto alla fintapelle del locale, l'occhio diffidente, come d'animale che tema le busse, la parte inferiore del viso immersa in una sciarpa, le mani in tasca, le gambe accavallate, dio tenebroso e clemente di quell'angolo di taverna dove il tavolo di marmo bianco era come l'enorme pagina bianca su cui doveva apparire per magica operazione la poesia più fluida e vera della nostra letteratura. Rivedo la caraffa e il suo marchio, il bicchiere pieno a metà della sua cupa mistura color dell'ostrica, il piccolo calamaio delle guardarobiere, il bastone, il cappello, i chiodi di rame dei divanetti, tutti questi vividi particolari, fino al pirogeno, agli specchi, all'attaccapanni, che la fotografia ha lasciato in eredità a coloro che non hanno avuto la ventura di avvicinare quella figura di vagabondo abbindolato da fuochi fatui, quella gran testa spiccata da un busto di marmo, quella barba da statua dimenticata in una foresta. Rivedo tutto questo e subito mi sento spiato, adunghiato dalla tristezza. […] Mi piace paragonarlo a un disperato che voglia gettarsi nel fiume per sottrarsi alla connaturata e crudele volgarità degli uomini, annegare sotto i loro sguardi, colare a picco davanti a un'assemblea di bruti gallonati, di cervelli di gallina, di scagnozzi d'ogni risma, e che, al momento di inabissarsi, tiri fuori dal fango, per brandirle improvvisamente, le rose più belle del mondo. [24]
Ma non pochi furono quelli avversi e meschini nei confronti di quella tetra figura faunesca che si trascinava per le strade del Quartiere Latino. Lo scrittore Jules Renard ad esempio, autore del famoso Pel di carota, lo definiva così:
Lo spaventoso Verlaine - un tetro Socrate e uno sconcio Diogene; sembra un cane e una iena. Tutto tremante, si lascia cadere su una sedia che hanno avuto cura di posizionare dietro di lui. Oh! quel riso del naso - uguale a una proboscide d'elefante -, delle sopracciglia, della fronte! […] Al Caffé gli danno del "maestro", "caro maestro"; ma lui è inquieto, e chiede che fine abbia fatto il suo cappello. Di lui non resta che il nostro culto. Somiglia a un dio ubriaco. Sopra un abito rovinato - cravatta gialla, capotto in più punti incollato alla sua carne - una testa in pietra da taglio demolita. [&] Verlaine, i suoi ultimi versi. Egli non scrive più, gioca ai dadi con le parole. [25]
Molto più feroci furono le considerazioni che Edmond de Goncourt annotò sul suo Journal:
Maledetto sia Verlaine, questo ubriacone, questo pederasta, questo assassino, questo codardo traversato di tanto in tanto dalle paure dell'inferno che lo fanno cagare addosso, questo corruttore che, con il suo talento, ha insegnato, alla giovinezza letteraria, tutti i suoi malvagi appetiti, tutti i suoi gusti contro natura, tutto ciò che è orribile e disgustoso. [26]
Ma oltre agli artisti, ai letterati, agli ammiratori, agli approfittatori e alle prostitute, una pittoresca figura di amico ed assistente fu accanto a Verlaine, con particolare devozione, nei suoi ultimi anni di vita. Mi riferisco a Bibi-la-Purée (il cui vero nome era Andre Salis), una sorta di vagabondo, astuto e traffichino, che però ammirava sinceramente il poeta, da lui chiamato "Maestro", e non erano poche le sere in cui doveva prendere di peso il povero Verlaine per riportarlo a casa dopo la solita sbronza.
Tornando a parlare del suo stile poetico, bisogna notare che il Verlaine degli ultimi anni finì col cedere, nei suoi versi, a una sensualità maggiormente carnale e ostentata, lontana dalle dolci allusioni e dalle suadenti atmosfere del suo primo periodo. A questo periodo appartengono le raccolte Donne (Femmes, 1890) e Hombres (1891, uscita postuma nel 1903), due libri caratterizzati da un tono di dolce e goliardica oscenità, il secondo dei quali rappresenta un'esaltazione goduriosa delle sue passioni omosessuali.
All'ultimo periodo appartengono anche raccolte come Dediche (Dedicaces, 1890), una serie di poesie dedicate ad amici e colleghi, Epigrammi (Epigrammes,1894) e soprattutto Invettive (Invectives, pubblicata postuma nel 1896), in cui sono raccolti una serie di componimenti dal tono sferzante, ironico e canzonatorio.
Nonostante sia caratterizzata soprattutto da gravi malanni e da una condizione di estrema indigenza, la fase finale della sua vita riservò a Verlaine riconoscimenti sempre più prestigiosi: tra il 1892 ed il '93 fu invitato a tenere una serie di conferenze sulla poesia contemporanea in Olanda e poi in Belgio. La sua candidatura all'Académie française non ebbe successo, ma nel maggio del 1894, succedendo a Leconte de Lisle, sarebbe stato eletto "Principe dei Poeti".
Colpito da una polmonite, Paul Verlaine morì l'8 gennaio 1896, all'età di cinquantun anni.
Così l'estimatore e amico Vittorio Pica, avrebbe parlato, nel suo libro Letteratura d'eccezione (1898), a proposito della scomparsa del poeta:
Lo sventurato e geniale autore di "Sagesse" è morto, amorevolmente assistito da un amico, in una cameretta di una molto modesta pensione in via Descartes, tortuoso vicolo del Quartier Latino alle spalle del Panthéon. Io la conosco questa cameretta, per essermici più volte recato a visitare Verlaine, così semplice, simpatico e non di rado arguto nei rapporti amichevoli, e rammento bene che essa era abbastanza piccola ed a metà buia e che, essendo al terzo piano, vi si giungeva per una scala erta ed angusta. Negli ultimi mesi alcuni fidi amici ed ammiratori del poeta si erano messi d'accordo [..] per rendergli meno penosa la tanto travagliata esistenza e per procurargli un po' di relativo benessere domestico; sicché il poverino ha potuto esalare l'ultimo respiro in un ambiente non certo di lusso, ma pulito ed alquanto confortabile.
Ed ora il soave ed ardente poeta, i cui ultimi versi furono un'appassionata invocazione alla morte ("La morte che noi amiamo, che sempre ci fu meta - di questo cammino dove prosperano il rovo - e l'ortica, oh! morte senza più grevi angosce, - deliziosa, la cui vittoria è l'annuncio!" [27]), dorme il supremo sonno nella pace del cimitero di Batignolles, dove gli dettero l'ultimo saluto Coppée, Mallarmé, Mendès, Lepelletier, Barrès, Khan e Moréas e dove ne accompagnò, rispettosa e commossa, la salma tutta la gioventù letteraria, che vive, combatte e sogna nell'intellettuale e nobile città di Parigi. [28]
Si narra che di fianco all'Opéra, dove qualche giorno prima era passato il corteo funebre, cadesse dalla statua della Poesia, che insieme a tante altre ornava quel lato dell'edificio, la lira ch'essa reggeva tra le braccia, e andasse a spezzarsi al suolo. [29]
La Musa aveva perduto così il suo più tormentato cantore, eppure, tra tutti, il più delicato.