Era alto 1,74 cm, aveva gli occhi castani e capelli indubbiamente neri. La corporatura era robusta, taglia 44, dal colorito bruno. Indossava scarpe numero 41 e l'unico segno particolare era una piccola cicatrice sulla guancia sinistra.
Non illudetevi di comprendere Rodolfo Valentino guardandolo in video nelle poche interpretazioni disponibili in commercio. Una cortina nebulosa, oggi più che mai rafforzata dall'effetto del tempo, non ci ha mai permesso d'analizzarne il carattere e l'effettivo talento d'attore.
Certamente non c'è niente di meglio per una vera star che autoalimentarsi della propria inafferrabilità. Ma é anche vero che più l'oggetto di studio è indefinito, maggiore è la possibilità di ritrarlo in pretestuose letture ad-hoc.
Magnifico emigrante? Ballerino d'eccezione? Grande amatore? Un suo concittadino di Castellaneta, il prete monsignor Donato Colafemmina, ha persino pubblicato a sue spese, nel 1990, un volumetto delirante in cui voleva proporre il "suo" amato Rudy ad esempio di rettitudine tra i martiri celesti.
Non c'è che dire: questo latin lover è veramente imbarazzante per la località tarantina in cui nacque il 6 maggio 1895. Io stesso ricordo con estremo raccapriccio un'ipocrita e sgangherata manifestazione sulla pubblica piazza in onore del "loro" Rudy, ad abuso turistico.
Il grande imbarazzo nasce dal fatto che innumerevoli indizi avvalorano la tesi, secondo la quale il bel Valentino fosse indubbiamente anche omosessuale.
Da "il più grande amatore" a "il più grande ricchione" del mondo il passo è breve, nello sfottò popolare dei paesi limitrofi: la cosa è stata fonte di accese risse in Puglia.
Finalmente, però, un grande collezionista e studioso "valentiniano" come Leo Pantaleo, attore e regista di Taranto, è riuscito a mettere tutto nero su bianco nel volume Il mistero Valentino, edito nel 1995 da Idea Books.
Per la prima volta vi vengono ricostruiti i primi diciotto anni di vita del "pipistrello" (così i compagni di scuola chiamavano Rudy, per via delle sue orecchie a sventola), rivelando che amò sia uomini che donne, dai primi giochi erotici con gli amici sino alle esperienze durante una fuga parigina, per arrivare infine ad illustrare i suoi amori gay americani.
Non fu però questa "diversità" che lo fece fuggire precipitosamente dal suolo natio. Ciò che lo inorridiva era la volgarità e la ristrettezza mentale di chi lo circondava.
Povero illuso!
Cadde dalla padella pugliese nella brace hollywoodiana. In reazione alla stupidità statunitense si sentì molto più italiano laggiù di quanto non lo fosse mai stato in patria.
sin dalla nascita non fu mai in linea col comune senso del conformismo paesano. Figuriamoci: era figlio di un celebre veterinario dai nobili natali (e che fu etichettato come "forestiero" per il solo fatto di essere nato nella vicina Martina Franca) e nientepopodimenochè d'una francese, ex dama di compagnia di una ricca marchesa.
Fu proprio attraverso la madre che Rudy ricevette un'istruzione al di sopra della media e un'apertura mentale europea assolutamente impensabile per i suoi compagni di giochi tarantini. In casa, con la madre, parlava solo in francese. Reagì all'ambiente diventando un ribelle coriaceo e non è difficile immaginarlo in velluto e merletti mettere k.o. un coetaneo dal facile sberleffo dialettale.
Più tardi divenne difficile persino mandarlo a Scuola d'agraria.
Dopo la morte del padre fu perciò messo in collegio a Perugia. Lì fu intollerante ai superiori e la leggenda narra che fosse espulso dopo aver ferito alla testa un istruttore.
Ritornò a casa sedicenne, e ricominciò la solita vita da gagà: vestito blu, ghette bianche, capelli lucidi. Dormiva di giorno e andava a ballare di notte: chi lo conobbe all'epoca lo definì un "simpaticone". Andò a Parigi per un breve periodo, durante il quale nessuno sa cosa accadde, salvo il fatto che sperperò la piccola eredità paterna e imparò nuove danze alla moda.
Nel dicembre del 1913 scomparve di nuovo e non si seppe più nulla di lui per un bel pezzo.
Con il suo "amore" Salvatore Giolitti, secondo il biografo Leo Pantaleo, ragazzo barese soprannominato "Albino" per via della sua carnagione molto chiara, era arrivato a New York a bordo del transatlantico Cleveland.
Dopo una settimana di bagordi non aveva più soldi per pagare una pensione a Little Italy, e a stomaco vuoto incominciò a pensare seriamente al suo avvenire. Trovò il celebre musicista tarantino Ugo Savino all'uscita del locale notturno Maxim.
Questi gli procurò un ingaggio nel locale come taxy-boy danzante per le donne, in cambio di due pasti e delle mance delle clienti.
In poco tempo il ventenne pugliese era diventato un vero professionista. Fu in quel periodo che Rodolfo prese a nolo abiti raffinati e si fece scattare una foto che poi inviò con dedica ai fratelli per dimostrare il suo presunto successo.
Rodolfo ingrassava facilmente, e dovette mantenersi a dieta per tutta la vita. All'epoca della foto portava il busto sotto l'abito da sera, il che fa pensare che almeno mangiasse bene.
Fu il suo orologio da polso (sino ad allora accessorio esclusivamente femminile e dei gay a Parigi) ad essere considerato effeminato assai più che il busto.
Della cosa si ha notizia perché fu riferito con chiara ironia, in un verbale, dal vice-procuratore distrettuale che diresse un'incursione di polizia in un'abitazione di New York, nel settembre 1916, in seguito ad una denuncia per ricatto ed estorsione.
Tra gli arrestati figurava un bel giovane di nome Rodolfo Guglielmi che sosteneva d'avere il titolo nobiliare di "marchese". Il fascicolo che riguardava quest'arresto scomparve anni dopo dagli archivi. L'eliminazione di precedenti "imbarazzanti" era prassi comune quando gli studi di Hollywood investivano grossi capitali su un divo, e non desideravano veder riaffiorare vecchi scandali che ne potessero intaccare la reputazione.
Non è dato a sapere se Valentino fosse del tutto innocente, o se invece avesse colto l'occasione di far soldi velocemente e senza fatica tra i frequentatori dei night-club.
In ogni caso, fu scarcerato dopo pochi giorni di detenzione.
Nonostante tutto, un immigrato che si ritrovava un'incriminazione come quella era un buon candidato per un mandato d'espulsione alla prima effrazione.
Valentino aveva anche deposto a favore di una sua ex-partner di ballo, una certa Joan Sawyer, durante una causa di divorzio intentata contro il marito da Bianca De Saulles, nota esponente dell'alta società newyorkese. Quando, poco dopo, la Saulles ebbe i titoli di prima pagina per l'accusa d'aver ucciso il consorte, Rudy lasciò immediatamente la città per paura di nuove complicazioni con la giustizia.
S' aggregò come ballerino ad una compagnia di danza itinerante, con cui attraversò il paese coast to coast.
In California andò a cercare un suo amante di New York, l'attore Norman Kerry, con cui aveva condiviso la stessa casa. Nel frattempo Kerry era diventato famoso a Hollywood e promise d'aiutarlo nel mondo del cinema.
Infatti, risale al 1918 il ruolo da comparsa di Rodolfo nel film Alimony. Tre giorni di lavoro per un totale di 15 dollari.
I ruoli che potevano essere affidati ad un tipo esotico come Rudy erano soltanto quelli di bruto o di spietato. Il tempo del tenebroso amante latino erano ancora di là a venire.
Rudy seppe, in ogni modo, farsi notare nella danza durante i party hollywoodiani, e soprattutto trovò persone che in cambio di favori sessuali potevano spianargli la strada del successo.
Entrato in contatto con l'ambiente gay locale sposò il 5 novembre 1919 un'attrice di secondo piano di nome Jane Acker, appartenente al celebre clan di lesbiche capeggiato dalla celebre attrice Alla Nazimova. La Nazimova se n'era invaghita a New York e se la portò a Hollywood due mesi prima. Era così potente che le ottenne subito un contratto con la Metro.
Si dice che l'unione tra la Acker e Valentino non fu mai consumata: Valentino la notte di nozze fu chiuso fuori, dalla loro stanza all'Hollywood Hotel, dove all'interno la Acker piangeva in preda ad una crisi isterica. Poco tempo dopo il matrimonio fu annullato. Lui la sposò forse solo per interesse, perché la sapeva ben introdotta nell'ambiente cinematografico. Lei forse lo sposò per copertura. Rudy non la volle in moglie, come poi molti biografi sostennero, per ottenere una cittadinanza americana. Anzi, fu il contrario. La legge statunitense dell'epoca, forse per scoraggiare matrimoni con "stranieri" prevedeva la perdita della nazionalità della moglie. Cosa che avvenne anche per la Acker, divenuta cittadina italiana a tutti gli effetti. Molti anni dopo, in vecchiaia, la Acker confessò alla sua inquilina Patricia Neal, grande attrice e premio Oscar, che la ragione della sua rottura con Valentino fu il fatto che lui, subito dopo la cerimonia di nozze, gli confessò d'essere affetto da gonorrea!
Valentino fingeva il ruolo dell'innamorato respinto. Secondo altri era stato momentaneamente innamorato della Acker. Fatto sta che l'annullamento del matrimonio poteva essere un fatto spinoso per entrambi e dare luogo a pessima pubblicità sui giornali. Mentre la Nazimova aveva fatto in pubblico fuoco e fiamme, ora s'era ripresa a corte la sua prediletta. Per la reputazione di Valentino, era assai nocivo che si sapesse in giro che non era stato neppure capace di portarsi a letto la propria moglie. Tutti avrebbero pensato ad una sua impotenza sessuale. Così le pratiche del divorzio, su entrambi i fronti, furono rallentate e diedero luogo ad un pastrocchio legale senza fine. Terminato solo nel 1922.
Il ventiquattrenne Valentino, in realtà, era impegnato in altre relazioni sessuali con bellissimi debuttanti che s'incamminavano verso il successo, come Ramon Novarro e il bellissimo divo giapponese Sessue Hayakawa.
Fu grazie alla sua relazione col regista Rex Ingram (che fu a lungo amante e pigmalione di Novarro) che nel 1921 Valentino sfondò con I quattro cavalieri dell'Apocalisse. La scena iniziale del film, in cui s'esibiva in un tango scatenato, sorprese tutti e lasciò senza respiro milioni di donne americane d'ogni età.
Valentino sposò in seguito un'altra lesbica protetta dalla Nazimova, che si faceva chiamare Natacha Rambova, anche se non era russa: bensì l'americanissima figlia adottiva del milionario produttore di cosmetici Richard Hudnut. Il suo vero nome era, infatti, Winifred Shaughnessy Hudnut. Sua zia era la ricchissima arredatrice lesbica Lady Mendle ( Elsie de Wolfe), un vero mito nell'alta società mondiale.
La bellissima Natacha aveva studiato danza, aspirava a fare la regista ed intanto aveva già curato scenografie e costumi, forse anche troppo sofisticati, per alcuni film. Il suo credo era quello di poter introdurre le raffinatezze letterarie e figurative dell' Art-Decó europea nella rozza arte cinematografica.
Le nozze furono celebrate in Messico di nascosto il 13 maggio 1922, i giornalisti scoprirono che legalmente Valentino era un bigamo, giacché per un cavillo legale il suo primo matrimonio con Jean Acker non era stato, a tutti gli effetti, ancora annullato.
Rudy, al suo ritorno sul suolo statunitense, fu incarcerato e subì anche un processo che suscitò molto scalpore.
Per lui fu un vero trauma. Avvertiva che l'astio diffuso nei suoi confronti era soprattutto dovuto alla sua immagine di "straniero", ridicolizzato sui giornali anche in qualità di gigolo esotico dello schermo.
Valentino amava le donne più forti di lui e chiamava sua moglie "il principale". Lei si mostrò all'altezza del nome, organizzandogli perentoriamente la carriera. Natacha si dava un sacco di arie, faceva la presuntuosa sofisticata dalla cultura europea, guardava tutti dall'alto in basso ed era d'una antipatia insostenibile con quelli che non gli andavano a genio.
Era talmente prepotente che, quando Valentino passò alla Paramount, il produttore Zukor fece inserire nel contratto una clausola che vietava alla Rambova l'ingresso sul set.
Dopo il film Lo sceicco, nel 1921, Valentino ricevette in pochi mesi ben diecimila domande di matrimonio dalle sue fan. Lui chiese che gli si raddoppiasse lo stipendio e l'ottenne: mille dollari alla settimana nel 1921. Un vero record.
Ma le grane non finirono, litigò per colpa di Natacha con la casa cinematografica sotto la quale era vincolato in esclusiva. Legalmente gli fu proibito di girare film per altri studios. Così per ben due anni Valentino si ritrovò in ristrettezze economiche e dovette sopravvivere con esibizioni pubbliche, di tango argentino in coppia con sua moglie, durante tournée organizzate dai cosmetici Mineralava, ditta di proprietà del patrigno di Natasha.
Rudy intratteneva con la moglie un ménage mistico-artistico e rilasciò ad un giornalista la dichiarazione ambigua: "Un uomo può amare una donna senza desiderarla". Frase che fece scandalo e che fomentò le dicerie su una sua presunta impotenza. Ormai tutto quello che diceva era travisato pur di metterlo in cattiva luce e ridicolo. In realtà, ciò che Valentino voleva dire, è che si può vivere in coppia senza prevaricare la propria amata, portandole rispetto e intessendo un legame fatto di mille sensibilità. Cosa che sconcertava l'opinione pubblica che tendeva a confonderlo con i personaggi di tombeur des femmes che interpretava sullo schermo. Ma tali affermazioni facevano, invece, infiammare ancora di più d'amore i cuori delle sue ammiratrici.
Mai, prima dall'allora, un attore aveva scatenato scene d'isterismo collettivo come accadde per Valentino. Dal punto di vista sociologico, è stato individuato come il primo, importante, approdo d'emancipazione per la donna americana.
In U.S.A. le donne, avevano dato col loro lavoro in fabbrica, impulso decisivo per la vittoria nel primo conflitto mondiale. Non è un caso che, nel 1920, alle americane fosse finalmente riconosciuto il diritto al voto politico. Un salario mensile, permetteva loro di vivere da sole e d'avere libertà di scelta sui divertimenti preferiti nel tempo libero. Al primo posto figuravano proprio il cinematografo e i locali da ballo. Non è neppure un caso che l'immagine di Valentino regnasse, in quell'epoca, sia sullo schermo che fuori, con i tanghi di gran moda. Le donne avevano incominciato ad associarsi e confrontarsi. I loro gusti sessuali coincisero col desiderio di un uomo eroico, onesto, esoticamente bellissimo, innamorato di loro fino allo spasimo e al sacrificio estremo. Volevano essere, alla fine, possedute e sessualmente appagate.
Era così nata l'immortale figura, all'epoca assai moderna e spregiudicata, del "grande amatore". Mai esistita così prima, né mai più eguagliata dopo.
Rodolfo Valentino fornì loro il giusto romanzo d'evasione dalla realtà, il sogno sempre disponibile, per pochi centesimi, dentro ogni cinema all'angolo della strada. Esemplare maschile tanto irreale, quanto introvabile tra l'uomo medio americano dell'epoca.
Valentino era ben conscio delle sue responsabilità come "prodotto" di vasto consumo e ne soffriva.
Natacha Rambova, pensava, fosse l'unica veramente interessata a lui come persona sensibile (tra la sua "sensibilità", c'è da scommettersi, annoverava pure il suo coté omosessuale) e anche l'unica a preoccuparsi per la sua evoluzione artistica.
Rudy e Natascha subivano le mode della raffinata cultura europea, o almeno quella che loro, ingenuamente, ritenevano essere tale. Ricercandovi le emozioni più intense e, in un certo senso, più trasgressive rispetto la banalità americana imperante.
Con lei, Valentino aveva intensificato la sua mania per lo spiritismo ed esoterismo. Ed insieme scrissero anche una raccolta di poesie dedicate ad alcuni dei loro "spiriti guida", uscita con successo di vendite nel maggio del 1923 col titolo Day Dreams, ma a firma del solo Rudy.
Intanto, Valentino, aveva avuto anche due importanti relazioni con uomini: l'attore Paul Ivano (con lui sul set di Camille, insieme alla Nazimova) e il francese André Daven. Quest'ultimo, conosciuto a Parigi, probabilmente figura anche in qualità di scrittore e sceneggiatore come il vero autore di un diario di Valentino, dato alle stampe a puntate sui giornali nel 1924. Con lui, come attore, interpretò il film Monsieur Beaucaire nel 1924.
Nel frattempo Natacha, frustrata nel suo arrivismo e invidiosa dell'enorme popolarità di Rudy, scappò in Francia.
Non tornò più indietro, nè mise mai piede nella bellissima reggia di Falcon Lair che lui le aveva fatto costruire sulle colline di Hollywood.
Valentino si sentì solo, abbandonato e tradito come non mai.
Ma la vera delusione della sua vita giunse dall'Italia. Nel 1925, infatti, il divo per motivi finanziari, decise di chiedere la naturalizzazione americana. Per averla avrebbe dovuto esibire un documento d'idoneità al servizio militare. Purtroppo nelle liste di leva nella nativa Taranto risultava nell'elenco dei renitenti come disertore, in quanto richiamato alle armi nel 1915 ma mai rintracciato, essendo "fuggito" in U.S.A. l'anno precedente. Riuscì a farsi falsificare i documenti in Italia, preferendo una dichiarazione di non idoneità al servizio militare a causa di una presunta miopia all'occhio sinistro. In più dichiarò d'aver cercato inutilmente d'arruolarsi in Canada e negli Stati Uniti durante il conflitto mondiale. A bugia aveva aggiunto, probabilmente, altre menzogne.
Intanto la domanda di cambio di nazionalità era pervenuta all'ambasciata italiana e da qui, giunse notizia in Italia dove scoppiò uno scandalo. Dal 1922 avevano preso potere assoluto i fascisti, i quali professavano il culto nazionalista e della supremazia del genio della razza italiana. Anche non sapendo tutta la verità, esplosero sui giornali articoli denigratori contro il divo italiano, accusato come "traditore" perché anteponeva interessi finanziari e personali all'Amor di Patria.
Durante il viaggio che Valentino fece in Europa quell'anno, evitò con grande dispiacere di tornare in Italia. Aveva paura d'essere linciato dalla stampa e temeva per la sua incolumità personale. Era accaduto che suoi film fossero boicottati nelle sale. A Bergamo, per esempio, un drappello di camicie nere fasciste vietò l'ingresso al pubblico per la proiezione del suo film Monsieur Beaucaire. Nelle edicole uscì anche un fascicoletto denigratore, scritto sotto pseudonimo da un certo Gian Franco Sicàri, dal titolo: Rodolfo Valentino: Una fiera rampogna contro il rinnegatore della Patria. Pur prendendolo in giro come dandy e cascamorto sullo schermo non c'erano allusioni alla sua sessualità. La leggenda, proliferata solo in anni a noi recenti, secondo la quale Valentino fosse osteggiato dal fascismo in quanto presunto gay, non ha nessun fondamento. Nel 1925, certi aspetti razzisti del fascismo non erano ancora approdati ai dictat dello strapotere mussoliniano degli anni '30 e '40. Inoltre in quei giorni furoreggiava il dandismo, per certi versi ben più effeminato e ridicolo di Valentino, del Vate eccentrico Gabriele D'Annunzio, considerato eroe di guerra e grande artista di fama mondiale.
Ai fascisti non faceva gioco incolpare pubblicamente Valentino d'omosessualità.
Dopotutto era il più celebre attore del mondo ed era anche il più famoso italiano al mondo, dopo lo stesso Benito Mussolini. Quindi, il "frocio" più famoso del pianeta non doveva assolutamente essere italiano per non compromettere la reputazione della Nuova Italia Fascista.
Ufficialmente, l'omosessualità non fu mai perseguitata da Mussolini, semplicemente perché: " Gli italiani certe cose da pervertiti non le fanno, quindi da noi il problema non esiste e perciò è inutile parlarne".
La stessa tattica fu applicata alla querelle con Rodolfo Valentino.
Dopo che il divo scrisse una lettera a Mussolini, ripresa dai giornali, in cui esprimeva tutto l'amor di patria possibile ma che lo vedeva costretto a riconoscere anche un omaggio verso gli Stati Uniti, ai quali doveva la sua carriera e fortuna d'emigrante. Portò la lettera, di persona, all'ambasciatore italiano a Washington, posando pure per delle foto. Così, alla fine, Mussolini ordinò alla Milizia di Roma di cessare ogni boicottaggio e pubblico scherno verso l'attore. Non voleva più noie di sorta che potessero metterlo in cattiva luce, come persecutore, agli americani. Ordinò, in segreto, di non parlare mai più sui giornali di Rodolfo Valentino. In generale, salvo che sulle riviste a carattere strettamente cinematografico.
Il divo, però, assai scosso stilò in quei giorni un testamento e lasciò l'espressa volontà che il suo corpo, assolutamente, non dovesse mai più tornare in Italia per esservi sepolto. Decise anche, di sospendere per il momento ogni richiesta di cambio di nazionalità. L'ironia della sorte volle che al momento della sua morte, l'anno seguente, fosse ancora a tutti gli effetti italiano.
Malgrado tutti i problemi personali del divo, tra cui anche una pubblica accusa neanche poi tanto velata, più d'impotenza che d'omosessualità a dire il vero, da parte di un cronista anonimo del Chicago Tribune, la sua carriera decollò sempre più. Sino al massimo successo de Il figlio dello sceicco, uscito nel 1926 pochi giorni prima della sua morte.
Il celebre articolo diffamatorio, che mise in crisi Valentino, era intitolato Piumino da cipria, criticando la moda dilagante degli pseudo-gay dell'epoca (oggi si direbbe: metrosexual) di truccarsi in pubblico nei locali di divertimento. Il testo snocciolava pesanti insulti razzisti verso gli "effeminati" e contro gli italiani: " Ecco a cosa siamo giunti nel 1926! Senza alcun dubbio, tutte queste raffinatezze noi le abbiamo da "uomini" come Valentino, questo roseo cicisbeo che non esce a fare due passi senza il portacipria. Sarebbe stato meglio se questo bel pargolo di giardiniere fosse annegato in uno stagno, prima che fosse esportato negli Stati Uniti."
Valentino si dichiarò pubblicamente offeso per gli insulti ricevuti, non tanto verso se stesso ma verso i suoi genitori e la razza italiana.
Sfidò l'anonimo cronista ad un incontro ad armi pari su un ring di pugilato, cosa però che non andò mai in porto ma che procurò notevole clamore tra le cronache giornalistiche dell'epoca.
Quello stesso anno però, improvvisamente, Rodolfo Valentino morì di peritonite in un ospedale di New York, la mattina del 23 agosto, a seguito ad un'appendicite malamente trascurata. Aveva 31 anni.
Seguirono le onoranze funebri più sensazionali e turbolente mai viste in città. La folla incominciò a raccogliersi davanti alla camera ardente in cui il divo giaceva nella bara scoperchiata, perfettamente truccato e coi capelli impomatati. Ci furono più di cento feriti e alcuni attimi di terrore quando le vetrate della sala mortuaria vennero sfondate dalla folla. Occorsero ben due giorni per far passare il corteo funebre, e innumerevoli carri per sgombrare la zona da quintali di fiori spediti da ogni angolo del pianeta.
Una vera pagliacciata fu invece il piantonamento del feretro da parte di un uomo in camicia nera sull'attenti, vicino a una corona di fiori fasulla con la scritta "Da Benito". Fu una trovata pubblicitaria di un press-agent dell'impresa di pompe funebri.
I giornali italiani ebbero anzi l'ordine di parlare dei funerali solo brevemente e in ritardo di qualche giorno, sminuendone l'importanza. Gli articoletti non erano affatto elogi alla figura dell'attore scomparso, ma solo brevi commenti sui dispacci d'agenzia dedicati all'eccentrica stranezza dei disordini newyorkesi causati dalla morte del divo.
Per Rudy, si disse, trentacinque donne si tolsero la vita, quaranta si dichiararono incinte e un fattorino dell'ascensore del Ritz di Parigi fu trovato morto su un letto coperto d'immagini dell'attore.
Quando la salma fu trasportata a Los Angeles, per tremila miglia sul treno, ad ogni sosta in ogni città intermedia esplodevano manifestazioni d'isteria collettiva. Giunta alla meta, durante il servizio funebre solenne prima della tumulazione, il lavoro in ogni studio cinematografico della California fu interrotto per due minuti di raccoglimento. Fu il tributo che forse Valentino avrebbe gradito di più.
Intanto il suo "prodotto", come divo, faceva guadagnare Hollywood più da morto che da vivo.
Dopo iniziale smarrimento le folle di spettatori presero d'arrembaggio le sale dove si proiettava Il figlio dello Sceicco. I vecchi film vennero riprogrammati in tutto il mondo, sfruttando fino all'osso l'inedito fenomeno divistico-necrofilo.
Durante gli spettacoli accadevano scene inaudite, scatenate dalle socie dei vari fan-club che costellavano ogni città americana.
Apparvero, immediatamente, spartiti musicali di canzoncine appassionate, foxtrot e tanghi, dedicate al divo morto. Una era stata scritta, si disse, dalla prima moglie Jean Acker ed era proprio il volto di lei che appariva sulla copertina.
La Acker non era stata neppure citata nel testamento di Valentino. Alla Rambova lasciò invece un solo dollaro, come sberleffo estremo.
Lei però ne seppe guadagnare molti di più. Dando alle stampe, l'anno dopo, un libercolo dal titolo Recollections in cui sosteneva d'essere in costante contatto spiritico con l'ex-marito dall'oltretomba e che il suo compito era di trasmetterne le "verità supreme", sul senso della vita, al mondo intero!
A suo fratello Rudy lasciò in eredità, oltre agli ingentissimi debiti, anche trecento cravatte, mille paia di calze, quattrocento vestiti, sette orologi, costose automobili, alcuni cavalli di razza, dei cani e molte poesie che lui stesso aveva composto.
Oggi a Castellaneta (Taranto) non sono rimasti molti luoghi a ricordarlo. Tuttavia per le strade potreste notare insegne come Bar Rudy, Lavanderia Valentino, o addirittura una strada intitolata a lui.
La casa natale del divo si trova in via Roma, ed è facilmente individuabile per la targa commemorativa dedicatagli negli anni Trenta da soci di un fan club di Cincinnati, Ohio: Rodolfo Valentino, un nome che in terra lontana significò arte e bellezza italica.
Nella stessa via troverete un orribile monumento dello scultore Gheno (inaugurato nel 1961, durante una festa stra-paesana finita nella sequenza iniziale del film Mondo Cane girato dal famigerato regista Gualtiero Jacopetti), che è stato soprannominato "l'otre" a causa della sua forma. Negli anni Trenta, per opera dei concittadini fascisti e schizzinosi, scomparve un altro monumento, bellissimo e in bronzo, che era stato inviato dall'America.
Nel cimitero comunale è fortunosamente arrivata fino a noi intatta la tomba di una sorellina di Valentino, sulla quale è incisa una bella poesia in francese come epitaffio.