Paul-Michel Foucault nasce a Poitiers nel 1926. Con un padre (Paul Foucault), un nonno e un bisnonno medici, orgogliosi della tradizione della famiglia (per altro fortemente cattolica), non sembra esserci molta scelta sulla carriera da intraprendere (e infatti anche il fratello maggiore di Michel farà il medico). Ma Michel già a undici anni sconcerta il padre dichiarando di voler diventare uno storico. Il fatto che abbia eliminato "Paul" dal suo nome rende l’idea di quali fossero i suoi rapporti con il genitore. Nel 1940 viene spedito in un collegio di frati, ma la madre, la cui famiglia era meno religiosa di quella del padre, gli fa impartire anche lezioni private di filosofia.
Solitario, eccentrico e stravagante, negli anni dell’università Foucault studia psicologia e filosofia, sotto la guida di Merleau-Ponty, Hyppolite e Althusser. Vive con disagio la propria omosessualità: nel giro di pochi anni tenta tre volte di suicidarsi, si lascia tentare dall’alcol e si mette per qualche tempo in analisi, pur riluttante (negli anni successivi svilupperà una crescente diffidenza nei confronti di Freud, oltre che di Marx: nel 1950 aderisce al partito comunista, ma lo lascerà già nel 1952 e in seguito, anche se si accosterà con episodico interesse a Trotski e alla sinistra maoista, si mostrerà sempre molto critico nei confronti dei regimi comunisti dell’est). Gli studi lo portano ad approfondire, tra gli altri, Saussurre, Kirkegaard, Heidegger e Lacan, ma è Nietzsche a influenzarlo maggiormente, mentre cresce la sua antipatia per Sartre, in favore di Bataille. In quegli stessi anni ottiene i primi incarichi universitari e avvia con il compositore Jean Barraqué una relazione piuttosto burrascosa che si consumerà nel giro di pochi anni. Nel 1955 inizia un’intensa amicizia con Barthes e Dumézil. Gli incarichi culturali lo portano a lunghi soggiorni all’estero, prima in Svezia, poi in Polonia e infine in Germania.
Nel 1960, grazie all’interessamento di Philippe Aries, pubblica la sua prima opera importante, Storia della follia in età classica, che era stata rifiutata da Gallimard. Alla fine dello stesso anno conosce un giovane studente, Daniel Defert, che rimarrà suo compagno per tutta la vita: per rimanergli vicino durante il servizio militare, Foucault rinuncia all’occasione a lungo attesa di trasferirsi in Giappone, accettando invece un incarico a Tunisi. E’ qui che si installa nel 1966, soprattutto in conseguenza del fatto che l’intellighenzia parigina, che gradisce poco la sua vita privata, ostacola la sua carriera universitaria. Sempre nel 1966 cura con Deleuze l’edizione francese dell’opera omnia di Nietzsche e pubblica Le parole e le cose, il cui enorme successo gli procura una posizione di primo piano tra i pensatori del suo tempo, nonché l’occasione di avviare una lunga amicizia epistolare con Magritte.
Alla fine degli anni ’60 Foucault torna a Parigi durante le contestazioni studentesche, che appoggia, finendo anche in carcere (anche a Tunisi si era più volte esposto per difendere studenti ingiustamente incarcerati, procurando loro, tra l’altro, avvocati dalla Francia). Per qualche tempo deve accontentarsi di cattedre all’università di Clermont-Ferrand e poi nella neonata e caotica università di Vincennes, finché nel 1971 ottiene l’incarico cui da tempo aspirava, una cattedra al Collège de France, la più prestigiosa istituzione culturale francese. Qui terrà corsi di Storia dei Sistemi di Pensiero fino all’anno della sua morte. La sua ricerca si orienta sempre più verso lo studio dei processi di normalizzazione, cioè delle varie forme tramite le quali il potere [1] ha tentato, nell’occidente moderno, di controllare gli individui e i loro corpi nello sforzo di contenere tutte le forme di devianza rispetto alla norma costituita. Le opere successive di Foucault avranno origine dalle riflessioni di questi corsi, dedicati, fra l’altro, alla medicalizzazione degli "anormali" (che solleva alcune delle questioni che il filosofo approfondirà in La volontà di sapere) e alla nascita del sistema carcerario (su cui pubblicherà nel 1975 Sorvegliare e punire) e della psichiatria (su cui nel 1963 aveva pubblicato La nascita della clinica, ricollegandosi alle sue prime ricerche sulla follia, riviste da una nuova prospettiva).
Nel 1975, mentre Sorvegliare e punire conosce una larga circolazione internazionale, viene invitato per la prima volta da Leo Bersani a Berkeley, università che frequenterà spesso negli anni successivi.
L’uscita di scena di Sartre, malato, accentua ulteriormente la centralità di Foucault nel quadro della cultura francese. Ma Foucault si è sempre sentito a disagio nel ruolo di filosofo superstar: per lui che si considerava uno sperimentatore in continua evoluzione, e che sosteneva di scrivere libri solo per confutare le sue stesse tesi precedenti, risultava fastidioso vedersi eleggere come dispensatore di quel genere di verità assolute che per tutta la vita aveva combattuto. Foucault, del resto, riteneva che il ruolo dell’intellettuale non consistesse nel guidare le coscienze politiche (rifiutò sempre, ad esempio, di dare consigli sulle scelte da compiere durante le votazioni), ma piuttosto nel sollevare questioni e indurre alla riflessione e alla critica attraverso un sapere da vivere come esperienza. In un’intervista del 1978 dichiarava:
Il mio problema non è soddisfare gli storici professionisti. Il mio problema è quello di fare io stesso, e di invitare gli altri a fare con me, attraverso un contenuto storico determinato, un’esperienza di ciò che noi siamo, non solo di ciò che è il nostro passato ma anche il nostro presente, un’esperienza della nostra modernità, da cui uscire trasformati. Il che significa che alla fine del libro possiamo stabilire rapporti nuovi con ciò che abbiamo messo in questione. […] Dunque un libro che funziona come un’esperienza per chi lo scrive e per chi lo legge, assai più che come la constatazione di una verità storica. […] Un’esperienza è sempre un’invenzione: è qualcosa che uno fabbrica per se stesso, qualcosa che non esisteva prima e che continuerà ad esistere dopo [2].
Ma non c’è nulla che Foucault possa fare per ovviare alle complicazioni implicate dalla vastità della sua fama. Nell’ottobre del 1980, ad esempio, una sua conferenza a Berkeley sulle origini della confessione cristiana attira 1500 persone. 700 rimangono fuori dall’aula e le loro proteste rendono necessario l’intervento della polizia.
Nel 1983 Foucault pubblica il secondo volume della Storia della sessualità. Verso la fine dell’anno la sua salute inizia a deteriorarsi a causa dell’AIDS. Dirada così gli impegni per concentrarsi sul terzo volume della Storia della sessualità, che riesce a concludere Il 20 giugno. Cinque giorni dopo muore in ospedale. Le prime pagine dei quotidiani danno ampio spazio alla notizia della sua morte, ma nessuno ne cita la causa. Il silenzio che ha coperto le cause della morte di Foucault ha finito col farne uno dei punti più controversi di tutta la sua vita, soprattutto dopo la pubblicazione del romanzo di Hervé Guibert All’amico che non mi ha salvato la vita, ispirato all’amicizia dell’autore con Foucault, e in particolare alle conversazioni avute con il filosofo nei suoi ultimi giorni di vita (mentre anche Guibert era malato di AIDS), che a suo tempo fece un certo scandalo. Lo stesso Defert ha chiarito solo in occasione del ventesimo anniversario della morte del filosofo come siano andate effettivamente le cose, ricordando come la diagnosi rimase incerta per buona parte del decorso della malattia, che del resto fu molto breve [3].
Società, potere e militanza
A detta di tutti i suoi biografi, Foucault non era persona facile da trattare, né lo rendevano più amabile i suoi comportamenti eccentrici, talora giudicati folli e autodistruttivi (fu sempre attratto dalla morte [4], nonché da pratiche sessuali "non sicure" che non abbandonò nemmeno dopo la scoperta dell’AIDS). Non migliorava la situazione nemmeno il suo rifiuto di aderire a qualsiasi movimento. Le sue stesse posizioni politiche risultano talora difficili da inquadrare ideologicamente e il suo pensiero è stato sovente frainteso.
Fin dalla pubblicazione di Le parole e le cose, con la sua idea vulgata della morte dell’uomo, Foucault si guadagna una certa fama di nichilista. Così, quando la sua ricerca si orienta sempre più sul rapporto tra l’uomo e il potere espresso da istituzioni normalizzatrici, molti ritengono il primo vittima indifesa del secondo, senza possibilità di reazione. Ma l’intenso impegno sociale di Foucault confuta già da solo questo tipo di lettura. In un’intervista del 1984, Foucault chiarisce nel modo migliore la questione, sostenendo che l’individuo non è semplicemente contrapposto al potere, ma piuttosto ne è parte, ed è proprio perché fa parte dell’intrico di rapporti di forza e di strategie che costituisce il potere, sostiene, che "noi abbiamo sempre la possibilità di cambiare la situazione, […] siamo sempre liberi […] Se non ci fosse resistenza non ci sarebbero rapporti di potere […] la resistenza viene per prima cosa, ed è superiore a tutte le forze del processo; obbliga, sotto il suo effetto, i rapporti di potere a cambiare" [5]. Dunque proprio perché ciascuno è parte integrante di questo sistema di forze, relazioni e poteri, ciascuno può influire sulla sua strutturazione, e ciascuno, in particolare e in termini strettamente teorici, può scegliere quanto contribuire al suo cambiamento e quanto alla sua conservazione.
Nel giro di pochi anni, e soprattutto dopo la pubblicazione di La volontà di sapere, Foucault diviene un punto di riferimento per il movimento omosessuale, così come per l’antipsichiatria (le sue opere, soprattutto La volontà di sapere, influenzano anche molto il movimento femminista), anche se sul piano dell’impegno sociale immediato l’argomento che gli sta più a cuore è quello delle carceri. Nel 1972 fonda il GIP (Gruppo di Informazione sulle Prigioni), che quello stesso anno ottiene una prima vittoria conquistando ai detenuti il diritto di ricevere informazione sotto forma di quotidiani e radio. Foucault prende più volte posizione contro la pena di morte e contro il terrorismo, e l’attività del GIP gli fornisce l’occasione per conoscere Jean Genet e riavvicinarsi a Sartre.
Dal punto di vista politico, sono ben note le posizioni di Foucault contro i regimi comunisti e contro il franchismo (nel settembre del 1972 viene espulso dalla Spagna per aver difeso alcuni detenuti arrestati per la loro opposizione al regime di Franco), così come la sua simpatia per la rivoluzione iraniana. I servizi segreti francesi decidono persino di metterlo sotto protezione, a sua insaputa.
Ma se Foucault si è impegnato per una quantità di cause, non ha mai voluto confondersi con alcun movimento, né si è mai preoccupato che alcune sue scelte potessero essere giudicate incoerenti rispetto ad altre precedenti:
Io non sono mai appartenuto a nessun movimento di liberazione sessuale di sorta. Anzitutto, perché non appartengo ad alcun movimento, quale che sia, e in secondo luogo perché rifiuto l’idea che l’individuo possa essere identificato con e attraverso la sua sessualità. Io mi sono per contro occupato di una quantità di cause, in modo discontinuo e su alcuni punti specifici (per esempio dell’aborto, del caso di un omosessuale o dell’omosessualità in generale), ma mai al centro di una lotta perpetua […] Non mi chiedete proclami [6].
E’ anche per questo che se è piuttosto chiaro cosa non gli andasse a genio, risulta molto meno semplice capire quale progetto sociale avesse in mente per il futuro. Ciò ha permesso nel tempo, e soprattutto dopo la sua morte, a una quantità di correnti politiche diverse e contrastanti di richiamarsi al suo pensiero e al suo modello, alimentando una confusione ideologica che del resto è già verificabile in alcuni episodi stessi della sua biografia. Nonostante la sua posizione "contro", che lo ha reso persino vittima di arresti e di pestaggi da parte della polizia, Foucault ha goduto anche le simpatie di alcuni governi che non gli hanno negato incarichi culturali e gli hanno richiesto consulenze.
Omosessualità, cultura e movimento gay
L’intenso impegno sociale di Foucault, proprio per il suo carattere rapsodico, istintivo, appassionato ma dispensato da una posizione isolata e indipendente, testimonia sia il fatto che per il filosofo gli spazi per un intervento sociale capace di cambiare la società non sono mai venuti meno, sia l’impossibilità di chiarire il suo progetto politico generale. Un rapporto altrettanto complesso e personale Foucault lo ha intrattenuto con il movimento gay.
A partire soprattutto dagli anni ’70, quando ha ormai raggiunto il culmine della sua fama, Foucault fa sempre meno mistero della propria omosessualità e la sua figura eccentrica, oggetto di un vero e proprio culto, nonché la sua enorme fama internazionale, lo rendono un punto di riferimento prestigioso per il movimento gay. Ma, come abbiamo visto, Foucault non ama essere confuso con alcun movimento. Quello gay non fa eccezione: Foucault si trova spesso ad occuparsi di omosessualità e dello stesso movimento gay, con il quale dialoga tramite saggi e interviste rilasciate a numerosi periodici gay, ma sempre da una posizione isolata, individuale, spesso anche polemica, quando non provocatoria (come nel caso dell’articolo scritto per il primo numero della rivista Le Gai Pied, a favore del suicidio).
Di tutte le sue opere, quella che più direttamente ha trattato di omosessualità, e che più di ogni altra ha influenzato la cultura omosessuale, è senza dubbio La volontà di sapere, pubblicata nel 1976, prima parte di un progetto di sei libri sulla storia della sessualità rimasto incompiuto. Nell’ottica di quest’opera, e della ricerca complessiva del pensiero di Foucault, è possibile comprendere il senso del progetto culturale che il filosofo riteneva specifico della cultura omosessuale, cioè "mostrare come le cose sono state storicamente contingenti, per queste e queste altre ragioni intelleggibili ma non necessarie". Una volta dimostrata l’infondatezza di ogni pretesa di assoluto e relativizzata ogni concezione storica (nulla è com’è perché così è "naturale": non esistono necessità e predeterminazioni nei processi storici e culturali e nelle strutture sociali), si rendono "possibili relazioni polimorfe, variegate, individualmente modulate" [7]. In altre parole, si apre la strada alla creazione di nuove forme di relazione che rispondano alle esigenze del singolo sfuggendo a quel controllo che, specificamente, il potere nella sua versione moderna ha inteso esercitare sugli individui e sui loro corpi mediante l’invenzione della sessualità, "in modo da avere presa sui loro comportamenti" attraverso tutta una serie di apparati, di istituzioni (scuole, carceri, cliniche psichiatriche, ecc.) e di concetti normativi e normalizzanti. Uno di questi concetti è quello di sessualità, che Foucualt considera un’invenzione moderna, non un dato assoluto e costante della cultura umana. Con il termine sessualità Foucault intende "quell’insieme di pratiche, istituzioni e saperi che hanno fatto della sessualità un dominio coerente e una dimensione assolutamente fondamentale dell’individuo" rendendo inevitabile la domanda: "che essere sessuale sei?". In epoca premoderna esistevano ovviamente "attività sessuali, ma assolutamente non una sessualità durevolmente percepibile nell’individuo con le sue relazioni e le sue esigenze" [8].
Se la sessualità è un’invenzione moderna, intesa tra l’altro a definire l’individuo (e le sue potenzialità sociali, morali, intellettuali, ecc.) in base alle sue pratiche sessuali, lo è a maggior ragione l’omosessualità, frutto di quello sforzo normalizzatore che l’Ottocento borghese ha messo in piedi nel tentativo non di reprimere, cancellare e mettere sotto silenzio il sesso ponendo su di esso un tabù, come si è a lungo sostenuto, bensì nel tentativo proprio di costruire la sessualità, cioè di registrare, identificare e controllare le pratiche sessuali "devianti", attraverso "una vera e propria esplosione discorsiva" che ha portato a una "polizia del sesso: il che non vuol dire rigore di una proibizione, ma necessità di regolare il sesso attraverso discorsi utili e pubblici" [9]. Insomma, non si è mai parlato di sesso quanto negli ultimi due secoli, ma in funzione tutt’altro che liberatoria. E dietro c’è, secondo Foucault, la confessione cristiana, che ha spostato progressivamente la sua attenzione dalla carne, cioè dal corpo e dall’atto sessuale concreto, all’anima, alle intenzioni e ai desideri, ponendo le premesse per lo slittamento dalla sodomia all’omosessualità. Il testimone è poi passato al sapere medico, che come ogni sapere non è assoluto né depositario di alcuna verità superiore, e che Foucault vede come parte sempre più integrante del potere normalizzante, soprattutto in alcune sue pratiche particolari, quali la psichiatria, la medicina legale e la psicanalisi.
Queste riflessioni aiutano a comprendere il desiderio foucaultiano di una riforma sociale mirante anzitutto a permettere agli individui la totale libertà di invenzione dei loro rapporti privati. Aiutano anche a comprendere la fascinazione del filosofo nei confronti della sottocultura leather, con la quale entra in contatto durante i suoi soggiorni in California, e che ricopre un ruolo importante nella sua vita e nell’elaborazione del suo pensiero, mai limitato alla costruzione di un puro apparato intellettuale ma sempre profondamente legato alle sue esperienze di vita concreta. In un’intervista a The Advocate, pubblicata l’anno della sua morte, Foucault diceva di vedere nel sadomasochismo un esempio di "creazione di nuove forme di rapporti", diversi da quelli cogenti del potere sociale, e di piaceri altri da quelli della sessualità, per lui inscindibili dalla creazione di una cultura omosessuale. Nella stessa intervista sosteneva che "noi [omosessuali] non dobbiamo solo difenderci, ma anche affermarci, e non solo come identità, ma come forza creatrice […] Dobbiamo creare una cultura, dobbiamo realizzare delle creazioni culturali. […] Il piacere deve fare parte della nostra cultura" [10].
Foucault riteneva questo progetto poco compatibile con il concetto di "identità" propagandato dal movimento gay: "se la questione che uno si pone costantemente è: ‘questa cosa è conforme alla mia identità?’, allora penso che si farà ritorno a una sorta di etica molto prossima alla virilità eterosessuale tradizionale" [11]. Pur riconoscendo come "dal punto di vista tattico sia importante a un certo punto poter dire ‘io sono omosessuale", Foucault si diceva convinto che il punto non stesse tanto nell’"affermare all’occorrenza la propria identità sessuale", quanto nel "rifiutare l’ingiunzione d’identificazione con la sessualità, o con differenti forme di sessualità".
Le teorie di Foucault e il suo progetto culturale inteso come individuazione dei meccanismi attraverso cui si deposita un sapere, al fine di individuare l’origine della cultura e non solo di ciò che sappiamo, ma anche di come siamo arrivati a sapere quello che sappiamo, hanno esercitato sulla cultura omosessuale (e non solo su quella, ovviamente) un’influenza enorme. E’ a Foucault che si è ispirata buona parte della queer theory degli ultimi quindici anni.
Tutto ciò nonostante le divergenze, sia teoriche che pratiche, rispetto al movimento gay, sicché se Foucault si è occupato spesso di omosessualità, soprattutto a partire dagli anni ’70, lo ha fatto a suo modo, fuori dai gruppi e dai movimenti organizzati e con una serie di iniziative personali. Qualche esempio aiuterà a capire di cosa stiamo parlando. Alla fine del 1972 Foucault partecipa alla fondazione del quotidiano Liberation, suggerendo tra l’altro la creazione di una rubrica dedicata al movimento omosessuale. Nel 1974, insieme a Deleuze, viene citato come testimone nel processo contro la rivista Recherches, rea di aver consacrato un numero speciale all’omosessualità. In aula Foucault si chiede se accadrà mai "che l’omosessualità, come pratica sessuale, riceva gli stessi diritti di espressione e di esercizio della sessualità cosiddetta normale", e sottolinea che il problema discende dal rapporto tra politica e sessualità, poiché è nel momento in cui il potere tenta di controllare i corpi, per farne forza lavoro, che si pone inevitabilmente una norma sessuale fondata sulla "riproduzione della forza lavoro", e infine individua nel "recupero dei corpi" uno degli scopi principali del movimento femminista e di quello omosessuale [12]. Nel maggio del 1977 gli viene chiesta una consulenza per la riforma del codice penale francese, per ciò che riguarda le materie della sessualità. Foucault insiste sulla necessità di parificare l’età minima per intrattenere rapporti omosessuali con quella stabilita per i rapporti eterosessuali, traguardo che sarà raggiunto nel 1981, sotto il governo Mitterand. Il mese successivo partecipa a una manifestazione in favore del regista armeno dissidente (e omosessuale) Paradjanov. Nel 1980 a New York, alla fine di una conferenza, invita tutti gli intervenuti a seguirlo a una manifestazione contro l’assassinio di un gay al Greenwich Village. Nel 1982 rilascia numerose interviste per sostenere la diffusione delle opere di Dover e Boswell sull’omosessualità nell’antica Grecia e nel Medioevo.
Fuocault oggi
Foucault, dunque, non fu una persona semplice, come non è semplice il suo pensiero. Viveva fuori dagli schemi, pensava e scriveva fuori dagli schemi. Ha sempre lavorato, pensato e agito senza preoccuparsi di riuscire simpatico o di compiacere nessuno. In fondo basta questo a spiegare i due atteggiamenti oggi più diffusi, tra gli intellettuali omosessuali, nei confronti tanto delle sue idee quanto della sua persona: da un lato celebrazioni acritiche che ne fanno una sorta di martire del movimento gay (cosa che, oltre a non rispondere al vero, certamente Foucault non avrebbe gradito) e che spesso semplificano il suo pensiero fino a distorcerlo, e dall’altro gi atteggiamenti liquidatori di chi, magari reagendo a questo processo di generale beatificazione, non riesce a perdonargli proprio il fatto di non aver mai aderito pubblicamente al movimento gay e di non aver percorso la strada canonica del coming out. Foucault ha percorso altre strade, e certo talora ha sbagliato, ha peccato di ingenuità, o semplicemente di avventatezza, ma a vent’anni esatti dalla sua scomparsa, ha ancora molto da insegnare e la sua influenza sulla cultura omosessuale non accenna a diminuire, anche se si sono aperti finalmente spazi per una più lucida revisione critica del suo pensiero, capace di valorizzare alcuni dei suoi concetti rivoluzionari, relativizzandone al contempo gli eccessi e correggendone alcuni errori. La lucidità del suo pensiero e di alcune sue opinioni (spesso utili proprio per la loro radicalità polemica), nonché l’apertura coinvolgente del suo stile di esposizione, può essere ancora di enorme aiuto per la ricerca e per il risveglio delle coscienze, e i suoi libri continuano a essere ciò che lui desiderava che fossero, cioè delle "esperienze". Ma ciò non significa che sia di alcun aiuto negarne le zone d’ombra, le intuizioni meno felici, meno convincenti, talora meno convinte.
Se non diminuisce l’interesse per le teorie di Foucault, non sembra diminuire nemmeno l’interesse per l’uomo Foucault, al quale pure occorre restituire una dimensione umana liberata sia dalle costrizioni agiografiche che si sono accumulate su di lui negli ultimi decenni, sia dagli eccessi scandalistici di un maledettismo in fondo di maniera, quale quello delineato da Guibert, cui oggi nessuno è più disposto a dare troppo credito. Una dimensione umana espressa nella risposta autoironica che Foucault diede a Edmund White, quando questi gli chiese come fosse diventato tanto intelligente:
Non sono sempre stato intelligente, anzi a scuola era davvero stupido […] Ma c’era una ragazzo molto attraente che era anche più stupido di me. Per ingraziarmi questo ragazzo, che era bellissimo, ho cominciato a fare i compiti per lui. E’ così che sono diventato intelligente […] In un certo senso per tutto il resto della mia vita ho cercato di fare cose intellettuali che potessero attrarre ragazzi stupendi [13].