Jean Daniel Cadinot nasce a Parigi nel 1944. Figlio di una coppia di sarti (cui ha dedicato la sua battuta più famosa: “loro vestivano la gente, io poi ho imparato a svestirla”), Cadinot prende coscienza di essere gay nella prima adolescenza. Studia all’École des Arts et Métiers e poi, dopo aver rinunciato all’idea della carriera di pittore e dopo aver scoperto l’opera di Richard Avedon, frequenta corsi di fotografia.
A 17 anni lascia la famiglia e inizia a lavorare come fotografo, prima presso gli studi Valois e poi in modo indipendente. Si dedica soprattutto alla fotografia di moda e ritrattistica, ma dal 1972 il suo soggetto preferito diventa il nudo maschile, talora di personaggi noti, come lo scrittore gay Yves Navarre e i cantanti Patrick Juvet e Pascal Auriat.
Alla fine degli anni ’70 è già autore di 17 libri fotografici (alcuni firmati con gli pseudonimi Masculin e Tony Dark), che gli hanno procurato una certa notorietà. Sebbene Cadinot dichiari di agire nei limiti dell’arte quando fotografa, preferendo fermarsi prima di passare alla pornografia, le sue foto affrontano l’intero spettro delle possibilità offerte dal nudo, dalla “posa d’arte”, sentimentale, naturalistica o innocente, a quella più maliziosa, a quella apertamente erotica e provocante, fino a quella propriamente pornografica. Alcune fotografie sono organizzate in serie narrative: non a caso tra gli scatti degli anni ’70 si possono trovare numerose anticipazioni dei film futuri, nonché alcuni dei suoi motivi ricorrenti, come per esempio una certa irriverenza nei confronti della religione (che Cadinot detesta, come pure l’esercito e il razzismo): basti pensare a uno scatto come Communion (1977), con due adolescenti nudi, vestiti solo della sopravveste da chierichetti, che si abbracciano teneramente tenendo in mano un ironico giglio, simbolo tradizionale di verginità nell’iconografia dei santi.
Nel 1980, stanco della fotografia, Cadinot passa al cinema, mosso più che altro dal desiderio di raccontare storie, «le nostre storie collettive di uomini gay» [1]. Liberalizzato in Francia fin dal 1974, il cinema pornografico non aveva ancora saputo esprimere alcun talento per quanto riguarda il mercato omosessuale, soddisfatto semplicemente dalla massiccia importazione di film americani. Cadinot colma questa lacuna: nel 1978 fonda una sua casa di produzione, la French Art, e nel 1980 inizia a girare cortometraggi in 16mm, a partire da Tendres adolescents, che altro non è che una versione “animata” di una serie di fotografie scattate nel 1975. Di cortometraggi ne realizzerà altri sei, prima di raddoppiare il metraggio passando, con Aime... Comme Minet (1982) e per i successivi cinque film, ai 60’ di lunghezza. Nel 1984, con Le minets sauvages, inizia invece a sfornare veri e propri lungometraggi, anche se occasionalmente ritornerà al formato di 60’ (e nel caso di Escalier de service, del 1987, persino a quello di 30’). Nel frattempo i suoi film iniziano ad essere esportati con successo anche oltreoceano.
Nonostante il successo internazionale, Cadinot ha mantenuto intatta la dimensione privata e domestica della sua casa di produzione: con la sola eccezione delle musiche, cura da solo ogni aspetto dei suoi film. Come ha dichiarato uno dei suoi attori, Michael Lucas, «è molto facile lavorare con lui. E’ gentile e amichevole. Non ha una troupe, lui manovra la camera, dirige, prepara la cena». Negli ultimi vent’anni la Fench Art ha prodotto, con la firma di Cadinot, non più di due/tre film l’anno e il passaggio al video, nel 1991 (un po’ in ritardo sulla media dell’industria, che lo adotta già intorno alla metà degli anni ’80), non ha comportato un aumento della produzione. Ad oggi Cadinot ha diretto circa cinquanta lungometraggi (la metà dei quali in pellicola), più svariate antologie, senza contare la sua attività di produttore di film altrui.
Pornografia d'autore
Fin dall’inizio Cadinot ha concepito i suoi film come uno strumento di espressione attraverso il quale riflettere sulla propria esperienza biografica e sulla realtà omosessuale. Come ha dichiarato in numerose interviste, i film sono per lui uno strumento di autoterapia e allo stesso tempo una forma di militanza gay: «In un certo senso è stata la mia prima forma di attivismo gay quella di illustrare le nostre storie sessuali». Attraverso i suoi film, ad esempio, Cadinot è intervenuto in modo semiserio a difesa della pornografia stessa (Sous le signe de l’etalon, 1986; L’amour jaloux, 1986), ha mostrato i difficili rapporti con i genitori (Etat d’urgence, 1998), ha raccontato gli amori di Ludwig II di Baviera (Pension complète, 1988), chiamato a fare da nume tutelare per una coppia di giovani e disinibiti vacanzieri, ha rievocato la Parigi della sua giovinezza (Gamins de Paris, 1992), ha satireggiato la repressione sessuale della Chiesa mostrando preti che perseguitano la sessualità dei loro giovani allievi nel vano sforzo di rimuovere i loro stessi desideri inconfessabili (Sacré college, 1983). Senza contare aspetti più genericamente autobiografici sovente reperibili nei suoi film, ricolmi di giovani che lasciano presto la casa dei genitori per avventurarsi nel mondo (Sortie de secours, 1998), così come di artisti alla ricerca di nuovi modelli (come nel già citato Gamins de Paris e in Squat, 1999).
Ma basterebbe già la semplice tenerezza idillica del suo cortometraggio d'esordio, Tendres adolescents, per dimostrare che si tratta di film alieni dalle convenzioni odierne del genere pornografico, e con qualcosa da dire e persino da rivendicare. Che il cinema porno abbia realmente rappresentato - soprattutto in passato - uno strumento di affermazione per gli omosessuali (ma non solo) è un dato di fatto [2], non è quindi solo un espediente autopromozionale di un regista in cerca di riscatto per il proprio lavoro, anche se ciò non deve indurre a sottovalutarne gli aspetti più convenzionali, e il fatto che si tratta di un oggetto di consumo di massa prodotto su scala industriale secondo precise regole, puramente convenzionali e non prive di implicazioni conservative [3]. Insomma non tutto ciò che è porno è rivoluzione, soprattutto oggi.
Ma è proprio nel quadro di un cinema fortemente standardizzato come quello pornografico odierno, basato esteticamente e contenutisticamente su una manciata di regole rigidissime, che l’opera di Cadinot si impone per il suo tono personale che di quelle regole rifiuta di tenere conto. Non si tratta di una loro contravvenzione sistematica, di un anticonformismo pianificato a tavolino, ma piuttosto di una libertà narrativa e formale che rifiuta vincoli e regole e sceglie modi di espressione volta per volta diversi, che talora possono anche avvicinarsi o persino coincidere con quelli più in voga, ma che molto più spesso se ne distaccano profondamente.
Dal punto di vista narrativo, per esempio, se alcuni film mostrano un impianto tradizionale di tipo paratattico, come La maison bleue (1992), con i suoi marinai in visita a un bordello per soli maschi, o Musée Hom (1994), con i suoi turbamenti artistici che sono occasione per una semplice giustapposizione virtualmente interminabile di scene di sesso, altri film molto più personali quali Le jeu de pistes, o il già citato Sacré college, presentano una narrazione strutturata, talora piuttosto complessa, non necessariamente basata su nessi di causa-effetto ma capace di legare i differenti rapporti sessuali in relazioni significative.
Da un punto di vista formale, i film di Cadinot non sono ossessionati dalla scelta della miglior visuale necessaria all'esibizione delle parti intime, né dal ricorso inevitabile al dettaglio, il come shot [4] non è garantito e l’erezione non è obbligatoria in ogni inquadratura, mentre i rapporti sono spesso montati in modo rapsodico, talora sono estremamente brevi e consumati con rapidi cenni, senza gli interminabili indugi antonioniani propri del porno corrente. O magari vengono più volte sospesi e poi ripresi, come in Sous le signe de l’etalon, dove lo svolgimento delle scene di sesso segue i flussi e riflussi dell’immaginario di uno scrittore di romanzi porno.
Anche una scelta stilistica peculiare e apparentemente innocua, come quella di sfasare la sincronia tra suono e immagine, cosa che a Cadinot piace fare spesso (fin da Tendres adolescents), si traduce in una contravvenzione piuttosto radicale, per non dire rivoluzionaria, del genere, poiché di fatto demistifica il come shot, che le convenzioni del porno ammantano invece di un’aura sacrale in quanto dimostrazione del fatto che l’attore (che conta molto più del personaggio) sta godendo, hic et nunc.
Cadinot, debitore senz’altro della letteratura di Genet e dei disegni di Cocteau, tra gli altri, dimostra insomma che erotismo e pornografia non sono necessariamente antitetiche e non si escludono a vicenda, e riesce a far sentire la sua personale visione dell’eros, di un desiderio che trascende la soddisfazione immediata. Basterebbe allo scopo vedere come sa giocare con il voyeurismo nei confronti dei corpi maliziosamente svestiti in Le jeu de pistes, applicando con esuberante sistematicità trucchi del mestiere già sperimentati nell’attività di fotografo (come nello scatto del 1980 intitolato non a caso Innocence).
La conciliabilità di erotismo e pornografia è la conseguenza anche di peculiari scelte di casting. Cadinot sceglie i suoi modelli fuori dai circuiti dei professionisti (si tratta per lo più di “amatori” che non puntano alla carriera di pornostar e che lavorano con Cadinot spesso per un film solo, più raramente per due o tre), e i loro corpi di solito non soddisfano i requisiti dell’attore californiano medio, palestrato, abbronzato, dotato (non di talento attoriale, s'intende). Questi attori, che non sono solo corpi e certo non sono corpi impersonali stampati in serie, vengono lasciati liberi di interagire con spontaneità: Cadinot di solito gira le scene di sesso senza particolari intrusioni lasciando che i modelli facciano da sé. Ciò gli permette di raggiungere un’autenticità nelle scene di sesso che il porno tradizionale si limita a simulare attraverso equivalenze arbitrarie, attribuendo ad alcuni segni significati che si vorrebbero univoci e assoluti, ma che sono il frutto di semplici convenzioni, del tipo erezione=eccitazione, come shot=piacere, incaricando poi il montaggio di simulare una continuità d’azione che dovrebbe sopperire a tutte le possibili mancanze della prestazione (cosa che in Cadinot, non a caso, accade più raramente che nella media dei film porno).
In termini più elementari, aforistici quasi, potremmo riassumere tutto ciò dicendo che, sia che si tratti di un rapporto circondato da un’aura di tenerezza, sia che si tratti di un assalto passionale, o addirittura di una violenza simulata, e sia che si tratti di un rapporto a due o di un'orgia di massa, il cinema di Cadinot è più interessato al piacere che alla prestazione: sembra poco, ma siamo in aperta polemica e contraddizione non solo con la grande maggioranza della produzione porno corrente - ivi compresa quella considerata più originale, come ad esempio i film di Kristen Bjorn -, per cui è tutto solo questione di centimetri, ma anche, più in generale, con la cultura e con le concezioni della virilità e della sessualità maschile che dominano la nostra società da parecchi decenni. Il gioco del porno di solito non è altro che quello di concentrarsi sulla prestazione vestendola di un’apparenza di piacere, che proprio in quanto apparente è del tutto marginale e irrilevante. Cadinot può permettersi di non rispettare le regole del gioco proprio perché non ha bisogno di fingere il piacere per nascondere il fatto che ciò che conta alla fine è solo la prestazione.
L’amour…
L’interesse del cinema di Cadinot non risiede solo nelle sue peculiarità stilistiche, che talvolta del resto si riducono a semplici bizzarrie almodovariane che, pur mancando dei requisiti minimi della finezza, sembrano voler demistificare la mitologia virile della sessualità per riportarla a una dimensione più umana e più ludica, come nel caso della scelta di un punto di vista interno (letteralmente) durante una sequenza di rimming in Pension complète.
Il suo cinema mostra una varietà di luoghi, scenari, immaginari che offrono un campionario esauriente delle forme del desiderio gay: divaricato tra il lusso barocco di Le voyage a Venise (1986), ambientato a Venezia durante il carnevale ripreso dal vero, e il decor astratto di L’expérience inédite (1993), nel quale uno scienziato folle inventa un macchinario per la registrazione dei sogni, sperimentato poi (si può immaginare con quali risultati) dai suoi tre giovani assistenti, il cinema di Cadinot spazia dall’intimità della camera da letto e del rapporto di coppia alle orge più forsennate, dall’esibizionismo della sauna al sesso rubato in collegio o in un campo scout, a quello immaginato per una letteratura pulp da consumare in modo interattivo, passando per i luoghi comuni dell’immaginario erotico gay, quali il carcere (Les minets sauvages e Corps d’elite, 1993) o l’esercito (Crash toujours, 1989; Service actif, 1990; Service actif II, 1991).
Le vacanze sono viste spesso come viaggio di iniziazione peculiarmente multietnico (il regista ha una predilezione tutta particolare per i nordafricani, fin da Harem, 1984) e senza barriere generazionali (Classe de neige, 1985; Tequila, 1993; Chaleurs; Pension complète; Macadam, 1998). Spesso Cadinot si diverte a opporre personaggi fortemente contrastanti, come a voler sottolineare la conciliabilità di ogni possibile diversità. Così accade sovente che nei suoi film si incontrino personaggi separati da etnie diverse (francesi con nordafricani o arabi [5], spesso, ma anche con tedeschi o giovani dell’est Europa), generazioni diverse e contrastanti concezioni dell’amore e del sesso. Ma il sesso, alla fine, unisce tutti: anziché luogo della diversità, della separazione e della discriminazione, nel mondo “pornoutopico” [6] di Cadinot è al contrario l’elemento centripeto che accomuna e avvicina, e permette di superare ogni contrasto.
O quasi. Molto spesso i suoi film oppongono personaggi monogami innamorati di ragazzi (o persino fidanzati a compagni) infedeli che si concedono volentieri a chiunque, ovvero coppie (o persino famiglie, come nel suo ultimo film, Secrets de famille, 2004) che entrano in crisi per l’arrivo di uno (o più…) personaggi del secondo tipo (Chaleurs, Crescendo), a cui uno (o entrambi) i fidanzati non sanno resistere (Maurice et le garçons, 1994; Sans limite, 2000; Mon ami, mes amants, 2002).
Il fatto che queste vicende strutturino sequenze pornografiche, siano trattate nelle forme elementari proprie del racconto pornografico e spesso con tocchi appena semiseri quando non autoironici, non preclude loro la possibilità di cogliere aspetti autentici (e in modo singolarmente autentico, per il genere) della vita di molti omosessuali. Né i film di Cadinot sono sempre compiacenti, talora anzi indulgono a tonalità dolenti, magari addirittura in un finale che non concede soddisfazione sentimentale e nemmeno sessuale. Chaleurs, ad esempio, si conclude con il protagonista nordafricano che lascia la casa del ragazzo francese di cui si è innamorato, dopo aver scoperto che il suo amato si concede a chiunque. Cadinot lo riprende di spalle mentre si allontana a testa bassa. E pensare che per il suo amato era arrivato persino a uccidere (tema quasi tabù nel genere porno [7]). Nel frattempo il suo fidanzato sta di nuovo intrattenendo un partner occasionale, ma il film si interrompe senza mostrare la conclusione del suo rapporto in corso. Il film, dunque, chiude su una doppia insoddisfazione, che è una contraddizione in termini per un film porno, del tutto impensabile in un film americano: un'insoddisfazione narrativa (e passi, il racconto conta sempre relativamente) e un'insoddisfazione visiva (questa invece è un'infrazione, non infrequente in Cadinot, molto più ardita, che mostra come il regista privilegi i propri intenti espressivi rispetto alle attese del pubblico, avvezzo al rispetto di determinate convenzioni).
Queste tonalità singolari non sono rare nel cinema di Cadinot. Ad esempio Crescendo (2003), che racconta una vicenda di amore monogamo nei confronti di un ragazzo abituato a non negarsi a nessuno per certi aspetti simile a quella di Chaleurs, si concede ancora rintocchi ferali sull’orgasmo che chiamano a raccolta, nel momento di massima convenzionalità del genere, tutti i fantasmi di un desiderio inappagabile, di una soddisfazione apparente. Ma il finale abbonda questa volta di ironia: l’innamorato del film, infatti, quando si scopre gay è già promesso sposo, e il film si chiude sulla fidanzata che, subito dopo le nozze, scopre il marito tra le braccia (eufemizziamo…) di un altro maschietto, e per sfogarsi distrugge la torta nuziale a coltellate, consolata dagli amici e dai testimoni (ma lei non sa che sono già tutti andati a letto, a turno o anche in gruppo, con il suo promesso sposo).
Porno, malgré tout
Nondimeno, quello di Cadinot rimane cinema porno. Col che non intendo dire un prodotto culturalmente squalificato o moralmente discutibile. Trattando il cinema pornografico come puro e semplice genere cinematografico, considero scontato che si tratta di un prodotto che, per il fatto stesso che esiste, e anche più per il fatto che è consumato largamente dal pubblico gay, al punto da costituire una parte importante della sua produzione sottoculturale, è degno di nota e di studio. Cosa che avviene ancora molto raramente, se non altro perché scrivere un saggio sul cinema porno implica la "confessione" di averne fruito. Almeno se si entra nello specifico cinematografico: forse è anche per questo che la maggior parte dei libri sull'argomento lo trattano da un punto di vista puramente sociologico o legale. Certo è che sono lontanissimi i tempi del porno chic, quando ci si vantava di essere andati al cinema (non nelle sale porno, ma nelle sale "normali") a vedere Gola profonda, e si leggevano con serietà le critiche di Variety.
Quando dico che il cinema di Cadinot rimane cinema porno intendo dunque solo registrarne alcune peculiarità stilistiche, formali e ovviamente contenutistiche che lo inquadrano in quel preciso genere cinematografico, dal cui prodotto medio sin qui abbiamo cercato di distinguerlo per sottolinearne le peculiarità e le novità, ma non per farne qualcosa d’altro.
Dunque, pur sempre di porno si tratta, e cioè, in parole povere, di un cinema il cui principio fondamentale è quello di esibire corpi nudi e rapporti sessuali al fine di eccitare lo spettatore, mentre il racconto rimane secondario, ancorché nel caso di Cadinot assuma spesso un ruolo significativo e strutturante. Anche se le peculiarità stilistiche e tematiche del suo cinema rendono Cadinot una sorta di Godard in un panorama di cinema uniformemente hollywoodiano sempre timoroso di allontanarsi troppo dalle regole consolidate, ciò non gli conferisce una natura estetica differente. Il che, tengo ancora a precisare, è un semplice dato di fatto, non un giudizio di valore, tantomeno squalificante: il cinema porno è strutturato in modo diverso e funziona secondo logiche differenti e tramite modalità di interazione con lo spettatore diverse rispetto al cinema narrativo istituzionale (cioè rispetto a una buona parte - ma non a tutto - il cinema "normale" cui siamo abituati).
Quello che è certo è che per la ricostruzione della cultura omosessuale, il cinema di Cadinot non può essere ignorato, e probabilmente ha da dire qualcosa di più della trascurata produzione di film di “gayexploitation” che alimenta il mercato dei festival gaylesbici e che ho l’impressione che serva assai più - con poche eccezioni - a narcotizzare il gusto degli spettatori che a risvegliarne la coscienza politica.