Nella primavera del 1922 Marcel Proust chiamò la sua governante, Céleste Albaret, una giovane donna semplice ed intelligente, affezionatissima alla scrittore.
Proust le disse: "Ho una grande notizia. Ho messo la parola fine". Il romanzo a cui lavorava da circa quindici anni era finito. Il suo titolo era Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu). Esiste un emozionante documentario in bianco e nero in cui Céleste Albaret racconta davanti alla cinepresa, molti anni dopo, quel momento e la sua emozione diventa l'emozione dello spettatore.
Alla ricerca del tempo perduto è un capolavoro del XX secolo ed è un romanzo composto da sette libri, con sottotitoli, da leggersi uno dopo l'altro.
Il primo volume intitolato La strada di Swann o Dalla parte di Swann, secondo la traduzione italiana a cui si fa qui riferimento, è uno splendido affresco in cui il protagonista, che narra la storia in prima persona e che comunemente si chiama il Narratore, rievoca la sua infanzia.
I ricordi sono suscitati da un fatto involontario: bevendo una tazza di tè e inzuppandovi uno di quei biscotti alle mandorle che si chiamano madeleines il Narratore ricorda le merende che gli offriva una zia, quand'era bambino, a Combray, un paese dal nome inventato che forse rispecchia Auteuil, luogo di nascita dello scrittore.
Così il Narratore ritrova il tempo perduto. Non solo le persone care, spesso scomparse, ma tutto il suo "mondo" interiore, fatto di impressioni, sensazioni, spesso lievi, evanescenti, una frase, un profumo, uno stato d'animo, una intermittenza del cuore (una frase coniata da Proust), un qualcosa di vaghissimo ma importante.
Virginia Woolf era innamorata dell'opera dello scrittore francese, lo lesse con entusiasmo: era - scrisse nei suoi Diari - quello che avrebbe voluto scrivere lei.
Nessuno forse è andato tanto vicino all'anima umana come Virginia Woolf e Marcel Proust.
Ma chi era Marcel Proust? La sua opera è talmente legata alla sua vita interiore e mondana che è necessario conoscere qualcosa di quest'uomo simpatico, gentile, buono, ironico, che visse una vita inconsueta.
Era nato il 10 luglio 1871 ad Auteuil, un borgo vicino a Parigi.
Sua madre, Jeanne Weil Proust, durante la gravidanza si era rifugiata in quel paese per sfuggire alle grandi lotte che si svolgevano a Parigi: era il tempo della Comune, il primo governo veramente socialista della storia e che fu atrocemente represso dalla reazione. Nei mesi in cui la madre di Proust era incinta del suo primogenito, Marcel, Parigi era piena di barricate, di proclami, di lotte, di soldati comandati da sanguinari generali reazionari, di eroici socialisti.
Jeanne Weil era una donna intelligente, colta, amante della lettura, conosceva assai bene l'inglese e il tedesco, scriveva splendidamente e suonava il pianoforte. In alcuni libri è stata descritta come la classica signora borghese dell'Ottocento ma in realtà non lo era. Era di idee liberali e più aperte di quelle del marito, con cui visse un felice matrimonio e con cui ebbe due figli, Marcel e Robert.
Jeanne Weil Proust discendeva da un'agiata famiglia di imprenditori ebrei, di origine tedesca, ma volle che i figli fossero battezzati.
L'amore tra la signora Proust e suo figlio, che lei chiamava "Le petit Marcel", era grandissimo, e le lettere tra i due sono una commovente testimonianza di tenerezza, di premura, di dolcezza reciproca.
Suo marito, Adrien Proust, era invece figlio di un droghiere di paese, abbastanza ricco, cattolico. Grazie alla passione per la medicina era diventato uno dei medici più stimati di Francia, aveva lavorato a lungo in Nord Africa e s'era specializzato in malattie tropicali; divenne professore all'università di Parigi e fu insignito della Legion d'onore, la massima onorificenza francese.
Egli accusava suo figlio Marcel d'essere un perdigiorno, di frequentare i salotti dell'aristocrazia, di spendere somme assai alte e gli predisse che sarebbe finito in miseria (cosa che non avvenne).
Marcel era di salute cagionevole, a nove anni ebbe il primo attacco d'asma, una malattia dai sintomi terribili e allora implacabile (il cortisone usato per calmare le crisi non era ancora stato scoperto).
Per tutta la vita Marcel fu tormentato dall'asma e visse gli ultimi quindici anni di vita pressoché recluso sia per tenere a bada la malattia, sia per dedicarsi al romanzo che era la sua unica ragione di vita dopo la scomparsa dell'amatissima madre e del giovane Alfred Agostinelli, di cui scrisse ad un amico: "Amavo veramente Alfred. Amare è dir poco, l'adoravo".
A sedici anni Marcel aveva già compreso il suo orientamento gay e aveva scritto tre lettere d'amore al coetaneo Jacques Bizet, orfano del celebre autore della Carmen Georges Bizet, e suo compagno di liceo. Jacques Bizet non ricambiò l'amore di Marcel, ma restarono amici per tutta la vita.
Poco più che ventenne Marcel s'innamorò di un ragazzo poco più giovane di lui, un tenore di talento, Reynaldo Hahn, nato a Caracas da madre venezuelana e padre tedesco. Reynaldo, che le foto ritraggono assai bello, bruno e dall'aria simpatica, voleva bene a Marcel e non si sa se l'amicizia divenne anche amore oppure no.
Fu Reynaldo Hahn a vegliare la salma di Marcel (morto nel 1922, a 51 anni) per un'intera notte, prima dei funerali.
A vent'anni Marcel era entrato nel mondo dell'aristocrazia, pur non essendo nobile; faceva la corte a duchesse e a famose cortigiane, che accettavano con simpatia i fiori e le conversazioni con il giovane studente di filosofia.
Il mondo della volubile aristocrazia francese non era il suo, ma ai nobili piaceva il talento letterario di Marcel, il suo brio, la sua grazia. I suoi primi racconti furono notati e così le sue poesie, anche se a lungo gli scrittori francesi non considerarono Marcel uno di loro. Persino André Gide, che divenne, negli anni '10, amico di Marcel, rifiutò per conto di una nota casa editrice francese il primo volume di Alla ricerca del tempo perduto, poi si pentì e scrisse all'amico un'ammirevole lettera di scuse.
Il professor Proust aveva tentato di tramutare lo scrittore e il poeta Marcel in un avvocato o in un notaio ma senza successo, e aveva accettato che si laureasse in filosofia.
Daniel Halévy, un compagno di scuola, diceva "Quel povero Proust è matto da legare!", e il padre, il professor Proust, gli rimproverava la pigrizia e lo accusava di mancanza di volontà. Ben pochi uomini invece furono tenaci come Marcel,l che portò a compimento Alla ricerca del tempo perduto, un unico romanzo in sette volumi, in cui forse parecchi autori si sarebbero smarriti strada facendo, o avrebbero rinunciato.
È un dilemma per i biografi se i genitori di Marcel sapessero della sua omosessualità. Pare che Marcel abbia voluto tenerla nascosta per non dispiacere loro, anche se si suppone che i genitori sapessero e preferissero tacere su un argomento tabù.
È interessante notare che in un paio di racconti giovanili compare il personaggio di una ragazza gay.
Si potrebbe ipotizzare che Marcel vi abbia riversato i suoi sentimenti ma su un personaggio di sesso opposto, il che è abbastanza naturale in un giovane artista.
Queste ragazze vivono in modo drammatico il loro orientamento: una si suicida.
Albertine invece è spigliata e disinvolta.
Al di là di ogni tentativo di ipotesi psicologica, forse errata, è interessante notare come nel "mondo artistico" di Marcel la figura di una lesbica esistesse prima della conoscenza reale con colui che è considerato il principale ispiratore del personaggio di Albertine: Alfred Agostinelli.
Agostinelli era un po' rassomigliante a Reynaldo Hahn: era bruno, piuttosto bello.
Era nato nel principato di Monaco, era stato meccanico e poi autista, il suo sogno era diventare pilota.
Quando incominciò a frequentare Marcel, Agostinelli aveva 25 anni e conviveva con una donna, Anna, facendo credere che fosse sua moglie. Marcel aveva 42 anni, era uno scrittore celebre.
Fuggevolmente si erano già conosciuti nel 1907 (con Marcel abitava la fedelissima Céleste Albaret, una ragazza poco più che ventenne, che aveva sposato un autista, amico di Agostinelli) ma nel 1913 Agostinelli e Anna andarono ad abitare nella grande casa di Proust nel boulevard Haussmann a Parigi.
Pochi mesi dopo Agostinelli e la sua compagna lasciarono l'appartamento senza salutare Marcel.
Lo scrittore scriveva di notte e dormiva al mattino. Agostinelli e Anna se ne andarono senza chiedere di svegliare lo scrittore e senza aver annunciato la loro partenza. Non vi era stata nessuna discordia.
Per Marcel fu un colpo durissimo, tentò in tutti i modi di far ritornare i due. Era innamorato di Alfred, ma non si sa se se il giovane provasse sentimenti analoghi oppure no.
Marcel aveva offerto alla coppia ospitalità, aveva donato ad Alfred somme molto ingenti, acquistato abiti raffinatissimi e gli aveva dato la possibilità di realizzare il suo sogno pagandogli le costosissime lezioni di volo. In una drammatica lettera Marcel, per convincere Alfred a far ritorno a Parigi (era andato ad Antibes), gli promise un aereo privato. E mantenne la promessa: acquistò l'aereo e vi fece incidere sopra un brano di una celebre poesia di Mallarmé che piaceva moltissimo ad Alfred.
Non si sa perché Alfred se ne fosse voluto andare. Sarebbe anche ingiusto pensare che fosse un opportunista: non fu lui a chiedere a Marcel il denaro e il dono di un aereo.
A 26 anni, mentre guidava un aereo privato, vicino ad Antibes, ebbe un incidente. L'aereo cadde in mare e ogni tentativo di salvare Agostinelli fu inutile.
Marcel non si riprese più dal dolore per la morte di Alfred. Offrì sostegno morale ed economico alla convivente, Anna, e chiese ed ottenne per lei una pensione dal principe di Monaco, di cui era amico.
Il suo ultimo amore fu un giovane svizzero, Henri Rochat, cameriere al celebre Hotel Ritz di Parigi, che abitò circa due anni a casa di Marcel.
Rochat voleva diventare un pittore e Marcel lo mantenne per tutto quel tempo, quando il giovane manifestò il desiderio di andarsene gli trovò un posto come impiegato in una nota banca francese, in una filiale a Buenos Aires, in Argentina.
Secondo i biografi anche Rochat non ricambiò l'amore dello scrittore.
Molti videro sia in Agostinelli che in Rochat, ma soprattutto nel primo, il modello ispiratore della protagonista di Alla ricerca del tempo perduto: Albertine.
È vero che entrambi muoiono in un incidente, che Albertine coabita con il Narratore, che Albertine fugge dal Narratore esattamente come aveva fatto Alfred, è vero che hanno la stessa iniziale e che sulla barca che il Narratore promette ad Albertine fa incidere gli stessi versi di Mallarmé che, nella realtà, aveva fatto incidere sull'aereo acquistato per Agostinelli. Tuttavia non si può affermare con certezza che Albertine sia Agostinelli, tramutato in ragazza, perché nei personaggi letterari possono coesistere sia molte persone conosciute dall'autore, sia molte invenzioni della fantasia.
Alcuni hanno reputato inverosimile Albertine come personaggio femminile ma questa è una tesi discutibile. Albertine appare nel secondo volume di Alla ricerca del tempo perduto, intitolato All'ombra delle fanciulle in fiore, nella spiaggia di Balbec, dove attorniata da alcune amiche è un'immagine di splendente giovinezza. Anzi, Albertine è in quelle pagine straordinarie il simbolo stesso della giovinezza. Simpatica, ironica, sportiva, è al centro della "piccola banda", un gruppo di ragazze apparentemente spensierate.
Albertine è bella, ha i capelli neri, gli occhi azzurri. Discende da una famiglia nobile ma è orfana, povera, e abita presso una zia e uno zio che mal la sopportano.
Inizialmente il Narratore è "innamorato" di tutte le ragazze della piccola banda ma poi la sua attenzione e il suo cuore sono solo per Albertine, che gli dimostra simpatia.
Nel terzo romanzo, I Guermantes, si narra l'ascesa modana del narratore e in Sodoma e Gomorra il Narratore incomincia ad essere torturato da un dubbio per lui insostenibile: la frase banale di un certo dottor Cottard che osserva ballare Albertine e la sua amica più cara, Andrée, gli istilla il dubbio se Albertine possa amare anche le fanciulle.
Una rivelazione di Albertine alla fine del quarto volume lo sconvolgerà e lo porterà ad una rapida decisione: invitare Albertine a casa sua, diventare il suo fidanzato, sposarla.
Albertine, che ricambia vagamente l'amore del Narratore, accetta l'ospitalità ma ben presto, in La prigioniera, la vita nella casa parigina si rivelerà impossibile.
Se negli altri romanzi vi era la presenza della natura, del mare, dei salotti aristocratici, delle passioni sociali di fine secolo, delle chiacchiere, in La prigioniera Marcel racconta la vita di due prigionieri: il Narratore, torturato da una devastante gelosia, un "demone" dalle tinte dostoevskijane e Albertine, torturata dalle sue bugie. Bugie inventate per non essere reclusa, per ingannare, per non ferire un giovane per cui prova della tenerezza, per rispettabilità sociale? È impossibile dirlo. Neppure in centinaia di pagine l'enigma di Albertine viene svelato.
Albertine è la prima eroina moderna della letteratura: non appartiene né alle fanciulle idealizzate come Virginie di Paul e Virginie, il capolavoro di Bernardin De Saint Pierre, né assomiglia all'istintiva Esmeralda di Notre Dame di Parigi di Victor Hugo, né alla prostituta Fantine, una delicata sartina ingannata da un fatuo studente, vittima di una società capitalistica ed insensibile de I miserabili sempre di Hugo, né alla vivace ed intelligente Sanseverina di La certosa di Parma di Stendhal, e neppure alla mite ed appassionata Clelia dello stesso romanzo. Non è neppure una signora borghese adultera e complicata come Madame Bovary di Flaubert, né la tenace Gérvaise, coraggiosa proletaria di L'assommoir di Zola e neppure una cortigiana come Nanà sempre di Zola.
Albertine non assomiglia neppure alle donne intelligenti o sciocche che garantiscono l'ascesa sociale del giovane di bell'aspetto e senza talento soprannominato Bel Ami, nel romanzo omonimo di critica sociale di Guy De Maupassant.
Albertine è un personaggio del tutto nuovo, imprevedibile e modernissimo. Anche tutte le eroine della grande letteratura francese tra il '700 e la fine dell'800 sono personaggi straordinari ma, in un certo senso, rientrano in alcuni schemi: fedele-infedele, buona-cattiva, donna onesta-donna non onesta. Albertine non rientra in nessuno schema.
La sua diversità dalle altre eroine non nasce neppure dal fatto che sia lesbica. Anche l'avventurosa Mademoiselle de Maupin di Gautier lo era, e anche la protagonista di La jeune fille aux yeux d'or, romanzo di Balzac.
Non è il suo orientamento sentimentale la novità nella letteratura, ma la sua enigmaticità affascinante.
Albertine non è infedele al Narratore, non è sua moglie e di fatto neppure la sua fidanzata, ha con lui una relazione quasi platonica, ma nulla più.
Non è stata lei a chiedergli ospitalità, non è stata lei a domandargli di acquistare gli abiti costosi e le vestaglie arabescate dello stilista Fortuny che il Narratore le dona.
Non è buona e non è cattiva, non è molto "virtuosa" (anzi è un Giacomo Casanova al femminile) ma non è certo una "donna perduta".
Dolce e tenera verso il Narratore, stanca e delusa dai suoi interrogatori, mendace e piena di inventiva per celargli i suoi fuggevoli amori con innumerevoli ragazze, soprattutto proletarie, e con un giovane di nome Morel.
Il Narratore è tanto incauto da affidare ad Andrée lo sgradevole ruolo di agente investigatore. Non gli passa neppure per la testa che tra Albertine e Andrée vi possa essere una relazione.
Il Narratore giunge al delirio nella sua gelosia e in fondo non sembra amare tanto Albertine ma il possesso emotivo di lei.
Se Albertine è sfuggente lui diventa insopportabile e la situazione di una tensione eccessiva. Da Andrée, dopo la morte di Albertine, verrà a sapere i (presunti) luoghi in cui è stata Albertine, le persone che ha frequentato.
Andrée farà rivelazioni a dir poco sconcertanti ma l'interrogativo è sempre lo stesso: mente Andrée? È sincera Andrée?
Il vero e il falso pervadono il penultimo libro di Alla ricerca del tempo perduto: Albertine scomparsa. Il tema dell'omosessualità diventa un'ossessione.
Nessuno scrittore ha saputo descrivere con maggior acutezza psicologica ed introspezione il duello tra due persone, il Narratore e Albertine, che si vogliono bene ma che si autodistruggono in un vortice di domande e di risposte, di dubbi e di bugie, di interrogativi e di estenuanti perché. Come ha fatto notare un biografo di Marcel Proust, Jean-Yves Tadié, è un fatto eccezionale che in un libro edito tra gli anni '10 e gli anni '20 del Novecento si scriva tanto di omosessualità sia al maschile (il barone di Charlus, Robert De Saint-Loup), sia al femminile.
Forse i personaggi gay di Marcel Proust non sono "edificanti" ma, grazie a dio, sono umani, capaci di sbagliare, con qualità e difetti e quindi letterariamente eccellenti.
Nella vita Marcel Proust non era il dandy che troppi credevano ma aveva una forte coscienza politica e sociale, si schierò dalla parte di Dreyfus quando scoppiò il famoso "affaire Dreyfus" che scosse e turbò la Francia degli ultimi anni dell'Ottocento. Dreyfus era un ufficiale ebreo che era stato ingiustamente accusato di essere una spia della Germania e che dopo alcuni anni venne riabilitato grazie alla mobilitazione di intellettuali come Emile Zola (che scrisse il celebre articolo J'accuse! a difesa di Dreyfus), Anatole France, Marcel Proust e molti altri.
Il caso Dreyfus era anche la lotta tra una società repubblicana e democratica e una militarista e reazionaria, antisemita ed inquietante preludio dei fascismi del Novecento.
Il caso Dreyfus si svolse nello stesso periodo del caso Wilde. Lo scrittore inglese accusato di omosessualità venne condannato e morì in povertà e sotto falso nome.
Anche il caso Wilde prelude in modo egualmente inquietante allo sterminio dei gay tedeschi durante la dittatura nazista e all'omofobia odierna.
Nel 1933 i nazisti bruciarono in alcuni roghi centinaia di libri, tra cui Alla Ricerca del tempo perduto.
Nel corso del tempo quest'opera che ha fatto rivivere un'epoca e che è un oceano sconfinato è diventata il simbolo di un talento insuperabile.
Marcel Proust, che era ateo, volle far rivivere nelle sue pagine "un mondo" che era stato il "suo mondo", la sua epoca, il suo destino. Volle operare contro il Tempo distruttore e restituire volti amati, frasi e sentimenti attraverso la scrittura.
Virginia Woolf l'aveva compreso subito e scrisse nei suoi Diari: "Proust riesce a combinare un'estrema sensibilità con un'estrema tenacia. Esplora e cattura quelle specie di sfumature di farfalla fino all'ultimo dettaglio. È resistente come una corda di violino ed evanescente come lo sfolgorio di una farfalla".