Il ritratto più noto di suor Juana Inés de la Cruz (nata Juana de Asbaje y Ramírez de Santillana), ed il più antico che conosciamo, è postumo, dipinto nel 1713 da Juan de Miranda per il convento di San Girolamo, in cui ella visse fino alla morte, ma altri ne furono dipinti in seguito ed altri ancora dovettero esistere mentre Juana viveva; così lei stessa ne descrive uno nei suoi versi, nel tentativo di "sminuire" gli elogi che erano stati fatti alla sua immagine:
"Questo, che vedi, inganno colorito,
che dell’arte ostentando gli splendori,
con falsi sillogismi di colori
è un inganno dai sensi percepito".
"(...)
seppi leggere in così breve tempo, che già lo sapevo quando lo seppe mia madre, cui la maestra l’aveva tenuto nascosto per darle alla fine la buona notizia e, insieme, ricevere la ricompensa; e io l’avevo taciuto, credendo che mi avrebbero frustata poiché l’avevo fatto senza ordine".
A 7 anni, poiché le promettono in premio un libro, compone un inno sulla Comunione e, appreso dell’esistenza a Città del Messico di scuole ove si studiano le scienze, supplica la madre di acconsentire a travestirla da ragazzo e di mandarla all’Università...
A seconda della visione che si vuol avere di lei, alcuni sostengono che la decisione fu presa dopo una delusione d’amore, che l’avrebbe spinta ad abbandonare le cose mondane; altri ritengono che fu l’insistenza di padre Antonio Nuñez de Miranda, confessore del Viceré che Juana conobbe a corte, a convincerla alla monacazione; altri ancora parlano di semplice "chiamata" da Dio.
Si trattò, più probabilmente, di una decisione pratica, basata sulla valutazione delle opportunità che le si offrivano, come donna, a quell’epoca in Messico.
La sua condizione di servizio alla Viceregina, per esempio, non era stabile, nel senso che Juana aveva la necessità di assicurarsi un futuro prima del ritorno di Leonor in Spagna: il "mandato" di vicereggenza durava tre anni, veniva riconfermato molto raramente, ed il cambio avrebbe potuto esserle non favorevole.
La sua condizione di illegittima non era peraltro un serio impedimento al matrimonio, essendo allora piuttosto comune: entrambe le sorelle di Juana si sposarono con uomini facoltosi.
Ma Juana dichiarò nero su bianco la propria avversione alle nozze:
"Presi i voti perché, pur sapendo che lo stato monacale presentava aspetti (di quelli marginali, parlo, non di quelli sostanziali) che non mi andavano a genio, era comunque, per il netto rifiuto che provavo del matrimonio, la cosa meno fuori luogo e più congrua che potessi scegliere per la mia salvazione; al quale progetto (come al fine più importante) cedettero e piegarono il capo tutti i miei capriccetti, ossia il desiderio di vivere sola, di non avere alcuna occupazione che intralciasse la libertà dei miei studi, ne’ rumore di comunità che disturbasse il quieto silenzio dei miei libri".
Pronuncerà invece i voti il 21 febbraio 1669, durante una cerimonia che vede la presenza dei Viceré, nel convento di San Girolamo. In quell’occasione la madre le regala una schiava come servente, Juana de San José.
La comunità in cui entra con il nome di Suor Juana Inés de la Cruz è una piccola città femminile; vivevano in essa cinquanta suore, ma con la presenza delle loro serve e delle sorelle laiche a loro affidate, il numero delle abitanti del convento era di circa duecento.
Le cosiddette celle delle monache erano veri e propri appartamenti, spesso su due piani, che comprendevano cucina, due o più camere da letto, salotto e bagno (quest’ultimo con impianto idraulico per l’acqua calda!).
Le sorelle di San Girolamo, nonostante i voti di povertà, possedevano beni personali, gioielli e, come nel caso di Juana, libri; potevano vendere e acquistare proprietà o effettuare investimenti tramite intermediari.
La regola del convento proibiva l’uscita delle monache e l’ingresso di visitatori esterni se non protetto dalla grata del parlatorio, ma quest’ultimo aspetto veniva generalmente ignorato.
Le fanciulle laiche e le monache giustificavano i loro interessi "mondani" con il fatto che San Girolamo era stato noto per le sue produzioni artistiche (musica, danza, teatro).
Il salotto monacale di Juana si trasformò ben presto, in tale contesto favorevole, in un salotto intellettuale.
Ella iniziò in questo periodo una fitta corrispondenza con altri letterati in Spagna ed in America Latina di cui abbiamo menzione in diversi testi, anche se nessuna delle sue lettere è stata finora rinvenuta.
Il Marchese di Mancera e sua moglie vengono sostituiti nel 1672, a resteranno a Città del Messico, a titolo personale, per quasi altri due anni.
Il Viceré che li sostituiva morì quattro giorni dopo il suo insediamento e il suo posto fu preso da un sacerdote proveniente dall’aristocrazia spagnola, Fray Payo Enríquez de Rivera.
Durante i sette anni di vicereggenza di quest’ultimo abbiamo scarse tracce che ci indichino cosa facesse Suor Juana: sappiamo che era la contabile e la tesoriera del convento e indubbiamente dobbiamo supporre che continuasse i propri studi.
"Bello composto in Laura or separato,anima eterna, spirito glorioso,
perché lasciasti corpo sì vezzosoe un’anima siffatta hai congedato?(...)
Vola, anima beata, con aneloe, dal tuo ameno carcere slegata,fra le porpore sue mutate in gelo,sali a venir di stelle incoronata:che è proprio necessario tutto il cieloperché pari dimora ti sia data".
Ad accogliere la nobile coppia c’è un arco di trionfo, come tradizione vuole; un arco di trionfo il cui disegno è stato commissionato a Suor Juana: sua la scelta architettonica, sua la composizione dei versi su esso iscritti, sua la scelta delle immagini dipinte.
Il testo ideato da Juana si intitola Neptuno alegórico e raffigura il Viceré e sua moglie come Nettuno ed Anfitrite.
María Luisa era una donna colta, oltre che, se dobbiamo dar credito alle descrizioni che di lei fa Suor Juana, supremamente affascinante: ella la definirà "transito ai giardini di Afrodite", "angelica forma", "cumulo di bellezze", "bùcchero di fragranze"...
"L’affetto di Suor Juana per la contessa di Paredes, a giudicare dal tono delle composizioni che le indirizzava, si trasformò rapidamente in un sentimento che può solo essere chiamato amore. Da quei testi si comprende anche che l’amicizia amorosa fu corrisposta con pari eccessi, effusioni ed impeti.
(...)
È fuori di dubbio che la relazione con la contessa di Paredes, dal 1680, divenne l’asse fondamentale della vita di Suor Juana".
"(...)
Ma a che serve proseguire?Come te, Filis, io ti amo;ché i tuoi meriti vedendo,questo è l’unico tuo elogio.Esser donna e starti assentenon impediscon di amarti;le anime, tu ben lo sai,distanza ignorano e sesso".
Con l’ingresso della Viceregina nella sua vita Juana Inés guadagna, oltre ad un periodo di intensa felicità, una protettrice potentissima: alle (pur blande, fino a quel momento) rimostranze che le vengono mosse dai superiori ecclesiastici per la sua totale dedizione agli studi, ora Juana può rispondere con baldanza, o addirittura ignorarle.
Ella è la beniamina della corte di María Luisa, che si preoccupa di far circolare le produzioni artistiche di Juana; è solo grazie alla cura che la contessa di Paredes ebbe dei versi della sua amata se noi, oggi, possiamo apprezzarli. Inundación Castálida, il testo teatrale El Divino Narciso, il poemetto Primero sueño, furono tutti stampati, fra il 1689 e il 1690, a spese della contessa di Paredes: omaggio al genio di Juana da cui, dal 1688, María Luisa ha dovuto separarsi, essendo scaduto il mandato di vicereggenza.
Costui disprezzava il sesso femminile in modo quasi patologico: che una donna fosse riconosciuta come intellettuale era per l’arcivescovo già un affronto, ma egli trovava assolutamente intollerabile che una monaca scrivesse canzoni per balli, versi d’amore e testi di teatro che non avevano nulla di "sacro".
Particolarmente odiosa, per lui, fu la coincidenza che vide contemporaneamente il suo ingresso in città e la rappresentazione pubblica di una commedia di Juana, Los empeños de una casa: il secondo evento fu più rinomato del primo...
C’è da dire che l’unica differenza fra Juana ed altri religiosi che scrivevano di argomenti "secolari" era esclusivamente il suo sesso: nessuno rimproverò Lope de Vega per le sue poesie profane...
Per anni, l’arcivescovo aveva covato il suo rancore verso Juana inviandole, tramite intermediari, vaghe reprimende e ammonimenti ad abbandonare gli studi, impedito però nell’azione dal legame della monaca con le due viceregine.
Nel 1690 un passo falso, o un vero e proprio tradimento da parte di un amico, offrirono a Francisco Aguar y Seijas il modo di "vendicarsi": viene pubblicato quell’anno, infatti, un opuscolo dal titolo Carta atenagórica de la madre Juana Inés de la Cruz, sua prima ed ultima opera teologica, ovvero una serrata critica ad un famoso sermone gesuita dell’epoca e cioè alla corrente di pensiero a cui l’arcivescovo si rifà.
Il testo, in forma di lettera, era indirizzato a tale "Suor Filotea del convento della Santissima Trinità di Puebla", ma dietro allo pseudonimo si celava il vescovo Manuel Fernández de Santa Cruz, amico di Juana e da anni impegnato in una feroce lotta per il potere contro l’Arcivescovo.
Manuel Fernández pubblica infatti il testo, a guisa di vero e proprio attacco provocatorio al suo nemico di sempre, ma premurandosi di anteporvi un monito a Suor Juana, nel quale le si consiglia di volgersi alle cose sacre e si smussano o contrastano alcune affermazioni contenute nel testo stesso.
Lo scandalo che seguì a questa pubblicazione, anche se a noi oggi può apparire assurdo, fu enorme: apparvero immediatamente elogi a stampa del sermone criticato da Suor Juana e ancora nel 1731 il caso veniva dibattuto a Madrid con la pubblicazione di opere contrarie o favorevoli alla monaca.
Fu invece un’appassionata e splendida difesa della propria carriera intellettuale e del diritto delle donne alla conoscenza e agli studi.
María Luisa Manrique fu l’organizzatrice occulta della maggioranza di queste operazioni; impotente a difendere Juana in altro modo, poiché ormai vedova (dal 1692) e distante e non più in grado di esercitare, tramite il titolo del marito, un’influenza diretta sulla politica messicana, la contessa di Paredes non riuscì ad evitare la riduzione al silenzio della sua amata.
Sottoposta ad ogni genere di pressioni, mentre attorno a lei infuriano disordini civili, rivolte e lotte per il pane, infine Juana cede: dopo una lunga confessione in cui ammette di aver "vissuto nella religione senza religione", ella consegna all’Arcivescovo la sua amata biblioteca, i suoi strumenti scientifici e musicali, i doni preziosi che le erano stati fatti dai suoi ammiratori e si dà, secondo i biografi, a "crocifiggere le sue passioni" sottoponendosi ad ogni sorta di privazioni.
L’Arcivescovo vendette tutto a scopo di beneficenza e, non contento, confiscò i fondi del convento che Juana amministrava, sebbene solo una piccola parte di quel denaro le appartenesse.
Nell’anno successivo, Juana arriva a firmare con il proprio sangue una completa rinuncia agli studi. Forse si trattò dell’ultima strategia difensiva che le restava per non affrontare l’accusa di disobbedienza ai suoi superiori e quella, ben più temibile, di eresia; tuttavia, ridotta al silenzio, Juana si avvia quasi consapevolmente verso la fine.
Ella muore infatti di peste nel 1695, il 17 aprile, dopo essersi prodigata nelle cure alle altre monache colpite dal morbo.
Non si hanno notizie precise, invece, sulla data di morte di María Luisa, che era più o meno coetanea di Juana; c’è chi sostiene sia scomparsa nel 1696, e chi ritiene sia morta in esilio, in seguito ad una guerra di successione in Spagna, nel 1721.
L’ultimo scritto della poeta che l’amò è una richiesta di perdono alle consorelle, vergata pochi mesi prima della morte sul libro delle professioni di fede del convento, che Juana firma così: "Yo, la Peor de Todas", ovvero "Io, la peggiore di tutte".
E doveva davvero esserlo, una donna che nel Seicento scrive:
"Stolti uomini che accusate
la donna senza ragione,
ignari di esser cagione
delle colpe che le date;
(...)Io molti argomenti fondo
contro le vostre arroganze,
ché unite in promessa e istanze
l’inferno, la carne e il mondo".