Tra le sue realizzazioni, l’annullo postale per la commemorazione del ventesimo anniversario dello “Stonewall” (la rivolta nel bar di New York che accese la miccia del movimento gay contemporaneo): era la prima volta che uno Stato ricordava in maniera ufficiale una ricorrenza del genere.
Alla sua morte, il settimanale “Rome Gay News” lo ricorderà con una grande mostra tenuta presso la “Gay House Ompo’s” il 2-5 luglio 1992, e pubblicando una sua famosa lettera che aveva scritto per conto di “ACT UP”, allo scopo di sollecitare donazioni a favore del gruppo di militanti impegnati nella lotta contro l’aids.
Haring era nato a Kutztown, in Pennsylvania, nel 1958, lo stesso anno in cui Gagarin viaggiò nello spazio.
Il padre era un operaio tedesco intellettuale, amante del disegno, che vide con piacere il figlio di appena tre anni cominciare anche lui a fare i primi scarabocchi pieni di significati.
Era perdutamente innamorato di New York, città dalla quale non riusciva a stare lontano per più di dieci giorni di seguito.
Fu uno dei primi a disegnare i graffiti sui treni della sua città, insieme a Jean Michel Basquiat, a George Lee Quinones, a Little Angel, fin quando Norman Mailer, a metà degli anni Settanta, non capì l’importanza del fenomeno al quale stava assistendo e ne parlò in un suo libro.
La tecnica era estremamente semplice e si usavano bombolette spray o gesso colorato per esprimere il proprio malcontento, la propria voglia di comunicazione. Era un’arte “povera”, popolare, spesso di matrice afro-americana, e gratuita, visto che stava a disposizione di tutti sui vagoni della sterminata metropolitana newyorchese. Ciò non vuol dire che fosse un’arte “ignorante”. Haring stesso aveva studiato alla “School of Visual Arts” e conosceva bene i pittori contemporanei e la storia dell’arte.
Il suo soggetto preferito era il “bambino radiante” (o “radioso”, o “radioattivo”... i critici italiani ancora non si sono messi d’accordo su come chiamarlo, gli americani lo definiscono “radiant baby”!), con il quale aveva cominciato la sua carriera riempiendone i pannelli pubblicitari della subway. All’epoca faceva grande uso di gesso bianco, fin quando scoprì il pennarello che ne cambiò la vita, il “magic marker”, con le sue infinite possibilità. Oltretutto, l’acqua non lo portava via, come succedeva con il gesso...
Venne a Roma nel 1984, invitato da Francesca Alinovi ad esporre nella mostra “Arte di Frontiera”. Nell’89 andò a Pisa. I suoi murali sono disseminati in tutto il mondo, fino in Australia.
Dopo la sua morte qualcuno pensò bene di sollevare una polemica sulla sua condotta sessuale. “Forse Haring era un pericoloso ipocrita?”, si chiedeva un giornalista del “New York Observer” il 18 marzo del 1991, insinuando che anche sapendo di essere sieropositivo l’artista continuava ad avere rapporti sessuali con minorenni.
Era una delle solite accuse che vengono regolarmente mosse ad ogni grande personaggio qualche tempo dopo la morte per aids, ed il 15 aprile successivo gli rispondeva un personaggio autorevole del primo movimento gay americano, lo scrittore David Thorstad, spiegando che il graffitista era passivo nel rapporto erotico, “altrimenti non si sarebbe infettato. Che tra i suoi partners ci fossero minorenni non è certo una novità. Ma nel sesso tra uomo e ragazzo di rado c’è attività anale, e quando c’è, il ragazzo è di solito quello che inserisce, non quello che viene inserito. Più comuni sono il sesso orale e la masturbazione reciproca, che non comportano quasi alcun rischio per nessuno dei partners”.
Questa “Lettera al Direttore” è sintomatica di quanto l’aids abbia profondamente cambiato il linguaggio dei giornali ed il loro rapporto con i lettori, permettendo di affrontare certi argomenti con particolari che una volta non solo sarebbero stati impensabili in un periodico destinato alle famiglie, ma lo avrebbero fatto sequestrare per “indecenza”!