Era nata nel 1929 a Francoforte sul Meno così, quando nel giugno del 1942 cominciò a buttare su un quadernetto le sue ansie, le sue paure, le sue piccole-grandi tragedie quotidiane... aveva solo 13 anni. Il quadernetto era la cronaca semplice, struggente, drammatica, di una quotidianità fatta di vita familiare, di problemi economici, di conflitti affettivi, di desiderio di sopravvivenza da parte di un gruppo di esseri umani braccati inesorabilmente da altri esseri umani: i Frank, infatti, insieme ad alcuni amici, vissero segregati fino al 4 agosto 1944 in un alloggio segreto ricavato nella soffitta di una casa del centro di Amsterdam, fin quando i nazisti li scoprirono e li deportarono.
Anna Frank finì nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, e non tornò più indietro. Solo il padre riuscì a salvarsi. E fu lui che nel 1947 fece pubblicare il diario della figlia, con il titolo di Het Hachterhuis ("La Retrocasa").
Nel 1959 ne venne tratto un film diretto da G. Stevens e poi la versione teatrale che la rese universalmente famosa con il titolo definitivo Il diario di Anna Frank, di F. Goodrich e A. Hackett.
Il "Diario" si interrompe al 1° agosto del 1944, tre giorni prima dell'irruzione nazista.
Ora, in via del tutto ufficiale, il Governo Olandese ha pubblicato la "versione integrale" del diario di Anna, attraverso il suo "Istituto per la Documentazione di Guerra".
E le sorprese non sono mancate. Se la storia era già struggente e commovente in sé, nella storia di questa bimbetta di Amsterdam troppo pallida per la mancanza di sole, troppo triste per la mancanza di amicizie, troppo torturata nella sua infanzia mancata... l'improvvisa conoscenza dei suoi sentimenti anche erotici, viene a ricordarci che pure lei era un essere umano, alla fin fine, e non solo il personaggio di una storia commovente. Tra i brani a suo tempo censurati, leggiamo della sua passione per Jacqueline:
A volte, mentre sono a letto durante la notte, ho un incontrollabile voglia di sentirmi il petto, e di rendermi conto di come calmo e sereno è il battito del mio cuore.
Credo che, inconsciamente, avevo delle sensazioni identiche prima di venire qui, perché so che quando avevo l'abitudine di passare la notte con Jacqueline, a stento potevo controllarmi, ed ero così curiosa del suo corpo, che lei mi teneva sempre nascosto e che io non ho mai visto... Avevo chiesto a Jacqueline se, come prova della nostra amicizia, potevamo sentire l'una il petto dell'altra. Ha rifiutato. C'è stata anche la volta che avevo avuto quella terribile necessità di baciare Jacqueline, e lo feci.
E poi, ogni volta che vedevo una figura nuda di donna, come la Venere nei libri di storia dell'arte...
A volte trovo tutto ciò così meraviglioso e bello che devo trattenermi dal cominciare a urlare".
Se solo avessi un'amica....
Per la "storia": prima ancora di pubblicarla su "Ompo", avevo proposto una versione un po' più ampia di questo articolo al quotidiano "Paese Sera", che mi venne respinta con la motivazione che non si poteva toccare un mostro sacro come Anna Frank.
Dell'omosessualità della ragazza di Amsterdam avevo sentito parlare per la prima volta... ad Amsterdam, nel novembre 1969, dal mio amico Leo Scheerder, che era stato anche lui in un lager e con il "triangolo rosa".
Fu Scheerder, tra l'altro, a darmi la prima copia del giornale del COC olandese con l'articolo di "Wolfgang Harthauser" (pseudonimo di Reimar Lenz): Il massacro degli omosessuali nel Terzo Reich.
La traduzione di questo articolo costituì il terzo numero (irrimediabilmente perduto!!!) del "Manifesto Gay" che, per espansioni continue, diverrà poi il ponderoso saggio Homocaust.
Scheerder, accompagnandomi a visitare la casa di Anna Frank, mi disse che probabilmente era lesbica e che per questo motivo la versione integrale del suo diario non sarebbe mai stata pubblicata. Io non sapevo neanche che quella che circolava era stata purgata!