È uscita a gennaio sugli schermi una nuova trasposizione cinematografica, per merito del celebre regista Luc Besson, delle avventure di Giovanna D’Arco (1412-1431) patriota, visionaria, comandante d’eserciti , vittima ed infine Santa (nel 1920).
Curioso che proprio in questi giorni, sbirciando qua e là in una annata della rivista “Tempo Illustrato” del 1955 [1], sia venuto a scoprire, per puro caso, dell’esistenza d’una figura femminile analoga in Italia, assolutamente contemporanea alla ben più celebre “Pulzella d’Orleans”.
L’articolo scritto da Antonietta Drago, allora ritenuta una grande esperta in costume e personaggi storici, forse attinge troppo da documenti romanzati ottocenteschi [2] ma la sostanza dei fatti storici dovrebbe essere rimasta intatta.
Quella che vi vado a raccontare non è però una storia fatta di pura spiritualità ,sacrifici ad oltranza e dialoghi con gli angeli, ma la vicenda d’una donna che decise di combattere il mondo dei maschi travestendosi da uomo per motivi personali.
Oggi sembra strano ma nell’antichità simili esempi di donne guerriere erano molto più frequenti di quanto si possa pensare, in effetti fu solo a partire in epoca napoleonica che ai volontari furono richiesti documenti d’identità e l’obbligo della maggiore età al momento dell’arruolamento.
Una vicenda da feuilleton d’appendice in cui la realtà storica è data per autentica, dove il fiorire della leggenda popolare è forse inferiore alla vera eccentricità dei fatti.
La nostra “eroina” ha però subìto la condanna all’oblio storico proprio perché non si prestava come esempio morale del tutto edificante, soprattutto per la sua carica di ribellione proto-femminista .
Sto parlando della pittrice Onorata Rodiani, nata nel 1403, soprannominata ad-hoc “la Giovanna d’Arco di Castelleone”, cittadina in provincia di Cremona.
Il suo “romanzo” comincia al momento in cui il pennello che stava indugiando attorno alle guance paffute di un putto ,le sfugge di mano e il gesto si tramuta in un atto di crudeltà capace di modificare in maniera stravagante il suo destino di donna.
Il fatto ebbe luogo nel palazzo di Cabrino Fondulo, ex capitano d’armi, che dopo molte avventure s’era ritirato a vita pacifica a Castelleone. Di lui si narravano gesta abbastanza raccapriccianti in piena armonia con quei tempi . Dedito ormai solo ad opere di bene, la figura cupa dell’avventuriero crudelmente ammalato di lussuria e sete di potere era stata dimenticata dai propri sudditi.
Il castello era già vecchio d’alcuni secoli di vita, molte volte distrutto dalle guerre e subito riedificato. Dal momento in cui sul torrione del castello sventolò lo stendardo del marchese Fondulo questi ,dopo averlo rafforzato e reso inespugnabile, si dedicò ad abbellirlo con affreschi, ricca mobilia e comodità, per rendervi più tranquillo il suo soggiorno. Ad eccezione del Torrazzo ,quel castello oggi non è più visibile, già da tempo in rovina fu raso al suolo all’inizio dell’800.
Per questo oggi non possiamo farci un’esatta idea del talento di Onorata Rodiani ,la quale eseguì gran parte degli affreschi su pareti e soffitti dei piani nobili.
Studi recenti [3] però hanno appurato che parte dei ruderi del palazzo di Cabrino Fondulo sarebbero stati inglobati nell’odierno palazzo Galeotti-Vertua e durante un restauro è affiorato un affresco straordinario rappresentante la Vergine col Bambino con ai lati S. Sebastiano e S. Cristoforo attribuibile alla pittrice.
Altri documenti d’archivio hanno comprovato anche il fatto che la Rodiani fosse figlia di un noto pittore castelleonese di nome Ilario e che lei stessa collaborò con i più importanti affrescatori lombardi dell’epoca.
Nel 1423 la pittrice aveva diciannove anni (curiosamente è la stessa età a cui Giovanna d’Arco fu messa al rogo),era bellissima e dotata di tutte le virtù richieste all’epoca da una donzella di rango: filare, tessere, governare la casa e saper intelligentemente rifornire la dispensa ad ogni stagione. Soprattutto ,però, Onorata si distingueva dalle altre coetanee per la sua versatilità nella danza, musica e soprattutto pittura, benché la sua intima natura nascondesse altre insospettate virtù di coraggio e spirito d’avventura ,che le circostanze non le avevano ancora dato occasione di rivelare. I suoi genitori erano morti precocemente, lasciandola alle cure dello zio Pietro Rodiani, che dopo aver provveduto egregiamente a raffinare l’educazione della sua pupilla, essendo tra l’altro molto amico di Cabrino , credette fare cosa saggia e lusinghiera accompagnandola a palazzo per farla entrare tra le dame d’onore di Pominia, moglie del feudatario. Ma ad Onorata, creatura dalla mente aperta e ricca di tanti talenti, la vita ristretta e pettegola della piccola Corte dovette diventare subito insopportabile. Seppur apprezzata nel suo giusto valore e, soprattutto ,prediletta dalla padrona di casa, le giornate trascorse tra chiacchiere, balli ed altre futilità non facevano proprio per lei. Perciò è comprensibile come, avendo udito che il marchese desiderava adornare con altre pitture il suo castello, Onorata si facesse avanti, sollecitando ardentemente di affrescare le camere dell’appartamento privato della sua Signora. Dopo essersi consultata col suo maestro di pittura Galeazzo Moretto della Barba la ragazza si mise al lavoro. La cosa finì per assorbire tutto il suo tempo e mise in agitazione il giovane Lanfranco, affascinante e nobile cortigiano ,che s’era innamorato della giovane con incoraggiamento e consenso del padrone di casa.
Un giorno che Onorata ,arrampicata su un’impalcatura che quasi toccava la volta, stava affrescando il soffitto della camera da letto di Pominia, Lanfranco si trovò per caso a gironzolare da quelle parti. Vuoi per il gran caldo, vuoi per essere meglio libera nei movimenti, Onorata s’era tolta l’abito pesante di broccati e ricami restando in sottoveste, sicura di non essere vista da nessuno fuorchè dal garzone Stefanello, di dieci anni, addetto a macinare colori, preparare colle e pulire pennelli. Lanfranco si rese conto che quelle stanze erano le più isolate del castello e fece in modo da convincere lo stuccatore, occupato tre sale più in là, che chiamasse Stefanello per spedirlo a procurarsi un paniere di gesso giù nel borgo.
Intenta nei suoi lavori ,Onorata non si oppose alla richiesta dello stuccatore di cedergli per poco il suo piccolo aiutante e non si preoccupò troppo d’essere restata sola in cima all’impalcatura.
Poco dopo udì scricchiolare la scala del soppalco , voltatasi per chiedere a Stefanello come mai fosse tornato così velocemente a suo servizio, si ritrovò invece davanti l’appassionato Lanfranco che le iniziò a rivolgere frasi accorate da innamorato. Onorata che lo aveva in antipatia (forse insospettita dal fatto che il marchese cercasse di aizzare il giovanotto per distoglierla dalla troppa attenzione rivolta alla padrona Pominia) iniziò ad urlare. Lanfranco rincarò la dose di melensaggini amorose ed iniziò a baciale una mano, la pittrice invece di liberarsi dal seccatore con un poco d’astuzia agì d’impulso con natura assai poco femminile ed incapace a compromessi.
Cosa fu cosa non fu ma il brusco rifiuto di Onorata non fu bene accetto dall’appassionato ammiratore che bloccatala alla vita mentre cercava di fuggire giù per la scala la strinse forte a sé. La cronaca storica non ha specificato se ci fu effettivamente violenza carnale ma riferisce che la
pittrice cercando di svincolarsi riuscì ad afferrare il grosso compasso che gli serviva per prendere le giuste proporzioni sui dipinti. Con un gesto improvviso lo ficcò sdegnosamente nel collo di Lanfranco trapassandolo da una parte all’altra. Il giovane con un un urlo selvaggio precipitò dall’alto sul pavimento .Onorata si rivestì in fretta, riordinò le “sparse trecce” e discesa dalla scala si diede alla fuga. Stefanello e lo stuccatore non avendo udito nulla non pensarono neppure a fermarla. Poiché Lanfranco aveva dato disposizione di non entrare nella stanza non osarono disobbedire agli ordini.
Presa dal panico e per timore dell’ira del marchese Cabrino [4], Onorata gettò i suoi oggetti preziosi in un fagotto , uscì dal castello diretta alla casa della sua vecchia balia facendosi accompagnare da un valletto per non destare sospetti. Arrivata a destinazione disse al valletto d’informare i suoi padroni che si sarebbe fermata lì per il pranzo. Rimasta sola narrò tra le lacrime la sua tremenda avventura ,si mise degli abiti maschili e dopo aver scritto una lettera alla marchesa con una completa confessione montò in sella e fuggì lontano.
Al castello intanto avevano scoperto Lanfranco in una pozza di sangue che ancora si lamentava con il compasso piantato in gola. Fu dato l’allarme e le guardie trascinarono la balia con suo marito ai piedi del marchese. Consegnarono la lettera di Onorata e Cabrino dopo averla letta decise di scagionarla per legittima difesa. Fu incaricato lo zio della ragazza di rintracciarla e di farla tornare al castello perché la stessa marchesa Pominia “caldamente la desiderava”. Onorata che ben conosceva Cabrino, sospettandone la stretta complicità con Lanfranco, non rispose all’appello e scomparve per sempre. Per molti anni almeno. La scena di violenza a Castelleone aveva creato un abisso tra la fanciulla felice e una nuova creatura con impensabili vocazioni.
Ancora per poco Cabrino Fondulo avrebbe continuato a governare i propri sudditi e a battere moneta con la propria effige. Infatti ,tre anni dopo, nel 1525, Oldrando Lampugnani ministro di Filippo Maria Visconti, approfittando d’un viaggio a Milano del marchese, con la scusa di segrete trattative, lo fece arrestare a Cremona subito dopo averlo invitato a pranzo. Su due piedi subì un processo e fu condannato ad essere decapitato pubblicamente sulla piazza dei Mercanti. La cosa curiosa è che proprio nell’esercito comandato dal Lampugnani era subito corsa ad arruolarsi travestita da uomo la pittrice in fuga da Castelleone.
Paga d’una incerta giustizia trasvolò in veste di prode guerriero agli ordini di molti altri capitani di ventura, mentre gli anni passavano e il rude mestiere le induriva il corpo e lo spirito raggiungendo il grado di Capitano.
Tutto questo fu rivelato più in là nel tempo quando Castelleone, presa d’assedio dai veneziani, venne soccorsa e liberata dal duca Corrado Sforza nel cui esercito si trovava Onorata, in questa occasione comportandosi più eroicamente trattandosi della salvezza della sua città natale.
Ma in piena battaglia proprio sotto il Torrazzo che stava per cadere in mano veneta fu colpita da una sciabolata. Quando la trassero fuori dalla mischia e le tolsero la pesante armatura per metterne a nudo la ferita, soltanto allora i compagni d’arme, che pure da molti anni le vivevano accanto senza sospetto, con grande stupore scoprirono che era una donna. Ogni cura risultò vana e spirò, pare, dopo aver pronunciato una frase storica che indugiava sul suo nome: ”Onorata fui, onorata vissi, onorata muoio”. In quel mese d’agosto del 1453 la “Giovanna d’Arco di Castelleone”, come fu poi soprannominata con reverenza dai suoi concittadini, l’omicida e soldato per amore di castità e purezza compiva cinquant’anni [5].